Il vino e le vigne di Cirò durante la seconda metà del Cinquecento
Anche se allo stato attuale mancano menzioni esplicite riguardanti il vino di Cirò durante il Medioevo, sembra che durante l’età di mezzo, il vino prodotto nel Crotonese abbia goduto di una certa fama, cui sembra riferirsi, durante la prima metà del Duecento, la citazione del “bono vino de galloppo” destinanto all’imperatore Federico II, prodotto nell’ambito della giurisdizione del “secretum Messanae”, comprendente a quel tempo tutta la Calabria.[i] Risale sempre a questo periodo del sec. XIII, anche una notizia che documenta l’approvvigionamento della curia imperiale “de vino greco” e “de vino grecisco”.[ii]
A tale riguardo, pone l’accento sulla particolarità del vino crotonese lo Yver, il quale, sottolineando il fatto che “les vins grecs de Naples, de Turpia et de Cotrone, en Calabre, de Patti, et Pouille, étaient particuliérement recherchés”, ne evidenzia la diffusione anche molto lontano dalla regione: “les vins grecs de Calabre figuraient parmi les produits mis en vente à Tana, aux confins des steppes tartares”,[iii] attraverso le transazioni registrate dal notaio veneziano Benedetto Bianco nel periodo 1359-1362, riguardanti il vino di Tropea, di Larissa, di Crotone, di Malvasia e di Grecia.[iv] Risale al marzo del 1362, un atto attraverso cui Andronico Ineoti, ambasciatore dell’imperatore di Costantinopoli, presentatosi al doge chiedeva, tra l’altro, che fosse proibita l’introduzione nell’impero dei vini di Crotone, di Tropea e altri.[v]
Le vigne
L’esistenza di vigne nella parte costiera del territorio cirotano, oggi in parte ricadenti in quello del comune di Ciro Marina (KR), risulta testimoniata già alcuni decenni dopo la conquista normanna della regione, come documenta un privilegio del 15 giugno 1115 conservato tra le antiche carte dell’ordine Gerosolimitano, attraverso cui il siniscalco Riccardo, al fine di ripopolare il “castrum Licie”, tra le altre cose, concesse alla “ecclesie S. Salvatoris de Monte Tabor” la “vineam, que fuit filii Neceforii”, nonché le terre coltivabili costituite dalla sua “dominicam culturam” posta “inter Liciam et castellum, quod dicitur Psichro” (Cirò), nonché un’altra “culturam” appartenuta a sua moglie. Quest’ultima confinava ad oriente con la “terra Joannis Bardarii”, ad occidente con “alia terra” del detto Joanne, “ubi est area ejus”, a sud con la “via puplica, que tendit ad mare”, e a nord con “altera via puplica, que a Licia similiter tendit ad mare”.[vi]
Gli atti dei notari del luogo, conservati presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, ci permettono di evidenziare che, durante la seconda metà del Cinquecento, quest’area posta tra il colle su cui si trova la chiesa di Santa Maria d’Itria ed il torrente Lipuda, la parte migliore e più fertile del territorio cirotano,[vii] era caratterizzata dalla presenza di vigne, realizzate nelle località attraversate dalle strade principali che collegavano il territorio di Cirò a quelli vicini. Le direttrici principali lungo cui era stato condotto il dissodamento, ed era avvenuta la messa a coltura del territorio.
Vigne e vignali, o cognali, alberati con alberi da frutto, esistevano nella località detta “valle de Alomia”,[viii] in corrispondenza delle due vie pubbliche, di cui una “veteram”, provenienti da Cirò, “per le quale se va alla donna hydria”[ix] nonché “ad aliciam reggionem”[x], e presso il “serronem dela donna hydria”.[xi] Altre vigne, alcune dotate di un “Torculare fabricato”,[xii] si trovavano in località detta “lo ceramidio”,[xiii] nel luogo detto “la marina sotto lo palazo”,[xiv] ossia “sobto lo palaczo dela lice”, oppure alla “marina sotto lalice”,[xv] dove passava la via pubblica “qua itur crotonem”, che transitava “subter aliciam regionem”,[xvi] per “lo ceramidio”,[xvii] per il loco detto “lo marinetto”, presso il torrente “de fraxa”,[xviii] ossia “brisi seu lo marinetto”,[xix] dove giungeva la “viam qua venitur dela Cropia”,[xx] e si diramava quella che conduceva “ad stomium”.[xxi] Superato il corso del Lipuda, la via attraversava il luogo detto “le aire donniche” e presso il mare, giungeva al vallone “de armerì”,[xxii] proseguendo per Crotone. Altre vigne ancora esistevano “sotto lo palazo delalice” e “sotto lalice”, in località “la Cutura”,[xxiii] ossia “la cultura in maritima aliciae”, e “sobto la Cotura”,[xxiv] dove giungeva la “viam pp.cam qua itur ad culturam”,[xxv] che transitava in loco detto “artino”.[xxvi]
Nel luogo detto “sotto lalice”, ossia “sobto la Cotura”, si trovavano anche “le pastine dela corte”,[xxvii] o “pastinas baronales”.[xxviii] Il 18 novembre 1590, nella piazza pubblica di Cirò detta di Santa Maria, Antonio Boino, servente ordinario della curia del capitano di Cirò, accesa la candela, provvedeva a mettere all’asta “l’apporciare delle vig.e giovene et vecchi di d(ic)ta Corte per quest’anno”, ossia “l’apporciare et annettare de dicte vigne per tutto lo mese di xbre” (dicembre), lavoro di potatura che si aggiudicò Antonio Marango per ducati undici ed una salma di vino.[xxix] Il 3 novembre dell’anno dopo, sempre nella stessa piazza, il detto servente incantò “le pastine et vigne dila Corte per approcciarle et dissarmentarle”, aggiudicandole ancora allo stesso Antonio Marango per ducati nove, carlini quattro, ed una salma di vino, “con declaratione che per tutto xbre p.o siano nette et conciate.”[xxx]
Nella cantina
Effettuata la vendemmia in campagna, il mosto prodotto era portato nelle cantine dell’abitato dette cellari, dove avveniva la fermentazione e dove il prodotto rimaneva fino a quando poteva essere consumato, oppure avviato alla vendita. Un inconveniente accaduto alle botti esistenti nel cellario del castello di Cirò, ci permette di essere informati circa le attrezzature presenti in queste cantine, a cominciare dalle grandi botti o dolii, in cui si faceva fermentare il mosto.
Il 10 ottobre 1583, dietro l’istanza di Petro Curto, erario della corte baronale di Cirò, nel “cellarium” del castello di Cirò, assieme ad alcuni testimoni, si costituivano i “fabri lignarii periti”, il magister Jacobo de Perre di Cirò e il magister Donato Gruppella “genere venetus”, al fine di appurare quale fosse stata la ragione della perdita di una parte del vino ivi conservato.
A tale riguardo sappiamo che, nel corso dell’anno passato 1582, il detto erario aveva fatto realizzare dal magister Probalis Consentino, “tria dolea magna capatia salmarum decem et novem in circa”, che erano stati riempiti con il mosto ottenuto nelle vigne della corte baronale, versandolo attraverso un coperchio dotato di fori (“rimulas seu varulas”), fino a lasciare in ciascuna botte un vuoto di “palmum unum et cum tribus digitis”. Era però successo che, dopo essere iniziata la fermentazione (“in aestu seu ebullitione”) del detto mosto, otto cerchi (“cantes seu circuli”) posti tra la metà e la “testa” di due “doleis” o “botti”, si erano crepati, come era successo anche ad altri tre cerchi della terza botte, facendo defluire il detto mosto “dali costati et lettere si per dette varole si ancora per defetto deli circhi crepati”. Ciò aveva determinato la perdita di una parte del vino, riguardo cui il detto erario si discolpava completamente, in quanto “in detto defetto non sence pote dare remedio alcuno”, come “oculariamente” i periti e i testimoni avevano potuto constatare.[xxxi]
La scarsa efficienza dei cerchi di legno nell’assicurare la tenuta delle doghe delle botti, è evidenziata anche da un altro atto del 14 gennaio 1586. Quel giorno ad istanza di Joannes Simeone Albozino, erario della corte marchionale della terra di Cirò, il notaro Baldo Consulo, il giudice a contratto e alcuni testi, si recarono assieme nel “cellarium” del castello di Cirò, dove trovarono un “dolium magnum” nuovo, dal quale “per circulas”, spandeva abbondantemente “vinum mistum seu rubrum vulgo dictum cirasolo”. Alla presenza dell’erario, il vino esistente in detta botte, misurato dal nobile Jo: Loisio de Lilla e da Landro de Acrio, risultò essere 15 “salmas” e 13 “Anforas seu lancellas”, fu permutato in un’altra botte posta alla sinistra della precedente entrando nel cellario.[xxxii]
Un sopralluogo effettuato nel cellario del castello l’otto novembre 1593, invece, mette in luce la difficoltà di conservare adeguatamente il vino, specie quello della vendemmia passata, sempre soggetto a farsi aceto. In quella occasione, su ordine dell’Ill.ma Virginia Caracciolo, marchesa di Cirò, messer Joannes Ant.o Matalono, erario della corte marchionale, alla presenza del nobile Federico de Amato di Crotone, capitano della terra, e di alcuni testimoni, si recò nel castello di Cirò, proprio dentro “lo Cellaro” della marchesal corte, per ispezionare “quibusdam doleis vini plenis eiusdem Curie”, che risultarono essere: “una botte piena di vino vecchio di s(a)l(m)e 18.1.2 bianco che manca due palmi, et mezo q(ua)le è acito, et dice, che se deve buttare per non guastare la botte, et per emperse d(ic)ta botte del musto di d(ic)ta Corte, et d(ic)ta botte mostra havere fuso dalla parte de dietro. Et de più ha provato unalt.a botte in d(ic)to Cellaro de s(a)l(m)e 5 cinque rosso, acito da buttarse via ut s(upra), et manca un palmo, et due dita, e non può indicare esso Er.o lo defecto et Causa, che dicto vino sia fatto acito, si bene ha visto, et vede, che molti altri vini simili se so guastati, e fatti acito, senza Causa de nessuno. Et de più ha visto et provato una botte sotto la Casa del m.co Coriolano Caruso de vino rosso, de s(a)l(m)e 5, acito perfectiss.o q(ua)le dice lo m.co Quintio Piccolo olim Er.o haverlo executo contra lo m.co Marco papa Jo(ann)e.”[xxxiii]
Una panoramica completa delle botti presenti nel cellario del castello e del vino contenuto in esse, c’è fornita da un altro inventario compilato pochi giorni appresso la devastazione di Cirò realizzata dai Turchi il 13 settembre 1594, che così ci descrive lo stato delle cantine del castello: “Allo Cellaro de vino ritrovammo, la prima botte grande di testa di salme 18 et l. 2. a man sinistra dove era vino ritrovammi sbuccettata dela quale dice il m.co erario n’era venduto vino salme 14. Il restante s’è fuso. La 3 botte di s. 18 et l. 7 dela quale era uscito cinque salme dice di vino bianco et il resto s’è fuso. La quarta botte de vino bianco da dove era uscito salme otto et lancelle 4 venduto a runzo il resto à complim.to di salme 18 et l. 7 s’è fuso et sbuccettato la quinta botte di s. 17 et l. 3 piena di vino bianco fu sbucettata et lo vino si fuse, così come evidentem.te appare d(ic)ta effusione di vino.[xxxiv]
Nel palazzo dell’Alice
Alla fine del Cinquecento, oltre ad essere conservato nel cellario del castello, una parte consistente del vino appartenente al feudatario di Cirò, in attesa di essere imbarcato, solitamente per Napoli, si conservava nel “Cellaro” e nel “Cellarotto” del palazzo Alitio, o dell’Alice, posto nei pressi della via costiera. Un inventario del 24 ottobre 1593 fatto dal notaro Gio. Domenico Durande di Crotone, ci permette di conoscere altri dettagli circa il luogo dove era conservato il vino a quel tempo, fornendoci anche qualche informazione sui difetti più ricorrenti di quello invenduto che, stazionando nei magazzini oltre l’anno, finiva spesso per diventare dolce o aceto.
Quel giorno, dietro la richiesta di messer Gio. Antonio Matalono, erario della corte marchionale, il notaro con il giudice ed alcuni testi “expertos”, alla presenza del capitano di Cirò e del magnifico Quintio Piccolo “olim erario” del feudatario, si recarono nel cellaro del “palaczo della lice” appartenente alla corte marchesale, per esaminare alcuni “vini deperditi” conservati in questo luogo, “qui pars est dulcis, pars vero aceti”.
Tra le dichiarazioni rese dai testi presenti, che provarono detti vini nell’occasione, riportiamo quella del capitano Jo. Jacopo Nicastro di Cirò che, avendo provato uno dopo l’altro, “detto vino vecchio” con un bicchiere, constatò che: “la p.a botte signata con lo .A. di salme dice è piena d’Acito, manca un palmo. la s(econ)da botte posta al n° 5 segnata con lo .E. di salme dicesette piena d’acito, et manca un palmo. unaltra botte sig.ta con lo .F. piena di salme sette, et lancelle due, è acito, manca un palmo, et una pianta. unalt.a botte à mezo la Corsia senza l(icte)ra, ne signo alc.o di salme quattro, è piena d’acito, et manca un palmo sempio. unalt.a botte di salme sei con la l(icte)ra .q. è piena di vino dolce, manca una pianta et è di conservarse, et non buttarse. Allo Cellarotto di d(ic)to palaczo have visto, et experimentato sei botte marinarische de Capacità di salme cinque luna, q(ua)le tutte sono piene d’acito, et mancano un palmo l’una. q(ua)le prenominate botte sonno del vino dell’anno 91. Item have provato ut s(upra) l’infr(ascritt)o vino che mò fini l’anno, cioè dell’anno 92. Et p.o una botte dentro d(ic)to Cellarotto di salme sette piena di vino dulce rosso, et manca un spango. Dentro lo Cellaro vide una botte con lo .b. di salme xj et lancelle 10 piena di vino bianco aboccato di dolce di conservarse, manca un palmo sempio. unalt.a botte posta al n° 6 sig.ta con lo .f. di salme 14. l. 10. Piena di vino bianco dolce di conservarse, manca un spango. unalt.a botte posta al n° 7 sig.ta con lo .g. di salme piena di vino bianco dolce di conservarse, di s(a)l(m)e 14. l. 8. manca un spango. unalt.a botte signata con lo .h. di s(a)l(m)e 13. l. 12. piena di vino bianco dolce di conservarse, manca cinque dita. la nona botte sig.ta con lo .j. di s(a)l(m)e 8. l. 12. piena di vino bianco dolce di conservarse, manca sei dita. la dec.a botte di s(a)l(m)e 10. con lo .K. piena di vino bianco dolce di conservarse, manca sei dita. l’undecima botte sig.ta con lo .L. di s(a)l(m)e 9. l. 12. di vino bianco dolce di conservarse, manca sei dita. unalt.a botte di vino rosso di s(a)l(m)e 10. l. 4. sig.ta con lo .M. di vino abboccato di dolce, bono et di conservarse senza malsapore, manca .5. dita. unal.a botte piena di vino rosso senza signo di sal(m)e 9. vino dolce senza malsapore manca sei dita. unalt.a botte di vino rosso senza l(icte)ra di salme sette in Circa, dolce, et sape delo ligno, manca sei dita. unalt.a botte piena di vino rosso di s(a)l(m)e 6. l. 4. dolce et mollo di conservarse, al p(rese)nte manca un palmo sempio. unalt.a botte piena di vino rosso di s(a)l(m)e 7. l. 2. senza l(icte)ra di vino dolce del sicco, di buttarse, manca sei dita. unalt.a botte piena di vino rosso con lo .N. di s(a)l(m)e 7. vino dolce che pare vino cotto seu mele di buttarse, manca un spango.”
A riguardo di ciò, il detto Jo. Jacopo Nicastro consigliava di buttare il “vino facto acito” in quanto non era in alcun modo conservabile, e così la botte di vino “dolce, et sicco”, e quella di “vino cotto”, mentre consigliava di vendere a qualsiasi prezzo, un’altra botte di vino dolce, per paura che potesse guastarsi del tutto. Raccomandava, inoltre di non provare assolutamente a spostare il detto vino dolce e di lasciarlo dov’era. Secondo il suo parere, tale vino si era fatto “dolce” “per esser stata l’uva piena di passoli, et per la poca acquata posta in esso, che l’uva era guasta, per dubio di non farse acito, et l’acito è fatto per lo Caldo del sole, et per sventare le botte da due anni indietro”.[xxxv]
Sulla piazza di Crotone
Alcuni documenti della seconda metà del Cinqucento, testimoniano che il vino di Cirò, pur essendo un prodotto secondario nell’economia crotonese, dominata dal commercio del grano e del formaggio, era ampiamente consumato localmente,[xxxvi] come si riscontra a Crotone dove, in quegli anni, era pagato a prezzi varabili tra i 10 e i 15 carlini la salma.
Il 30 settembre 1578 il castellano di Crotone Petrus Ramires de Areileano, nomina suo procuratore e nunzio generale Marco Antonio Lombardo “savoiense”, ma abitante a Cirò. Il Lombardo avrà il compito di comprare vino, olio e frumento e ogni altra cosa necessaria alla munizione del castello. A tale scopo, nello stesso giorno, i due stipulano un contratto per la fornitura di vino e olio. Il castellano consegna al Lombardo ducati 110, mentre quest’ultimo, tra le altre cose, si obbliga a consegnargli entro il mese di aprile, salme 161 e ½ di vino, ovvero: “sal(me) dieci de vino rosso et laltro bianco il q.ali sara de optimo colore sapore bene addohanato et delo miglio che si fara al ciro ad ragione de carlini undeci la salma”.[xxxvii]
Il 25 giugno 1575, il magnifico UJD Ansideo Curto della terra di Verzino, procuratore, percettore ed erario generale dell’Ill.mo domino Joannes Vincentio Spinelli, utile signore delle terre di Cirò, Verzino e Calopezzati, vende al magnifico Jo. Maria Casoppero di Cirò, procuratore generale del magnifico Marco Ant.o Casoppero suo fratello, della città di Crotone, 200 salme di “vini albi et rubei boni saporis et coloris ad justam mensuram solitam dictae t(er)rae”, per il prezzo di ducati 300 di moneta, alla ragione di carlini 15 la salma. Vino che al presente si trova conservato nel castello di Cirò, “conditum in doliis vig.ti”.[xxxviii]
Pochi mesi dopo, il 30 gennaio 1576, lo stesso Ansideo Curto vende al magnifico Antonio de Martino “hispanus”, abitante in Cirò, 160 salme di vini bianchi e rossi, “boni saporis et coloris juxam mensuram neapolitam”, consistente “in menzanellis sexdecim pro qualibet salma saecundum usum, ritum, et observantiam civium, et hominum dictae t(er)rae ac, et pro ut servatur, et dimetitur in civ.te crotonis”, alla ragione di un ducato la salma, per la somma di ducati 160 di usuale moneta di questo regno, alla ragione di carlini 10 per ogni ducato, impegnandosi a tenere e conservare il detto vino nel “cellario” del castello di Cirò dove si trova, fino a quando non sarà trasferito a Crotone, consegnandolo dietro semplice richiesta all’acquirente.[xxxix]
Il 18 giugno 1586, davanti al notaro si costituiva il magnifico Fabio Barbuscia di Cirò, asserendo che, nei mesi passati, aveva comprato da diverse persone le seguenti quantità di vino: da Gio. Cola Caiacza salme 4, da Antonello Risitano salme 4, da Gio. Battista e Pietro Barbuscia salme 6, e da Giuseppe de Martino salme 5, per un totale di salme 19. Considerato che il detto Fabio aveva fatto detto acquisto con il denaro dell’ex.te signor Diomede Cappellino, al fine di poter esigere il vino dovuto dai detti debitori, costituisce quest’ultimo come creditore.[xl]
La via del mare
Verso la fine del Cinquecento, il vino di Cirò oltre ad essere venduto e consumato localmente, risulta anche un prodotto estratto ed avviato verso la capitale, ed anche verso i principali centri marittimi del golfo di Taranto, potendosi giovare della presenza degli scali di Crucoli, Cirò, Crotone, ecc.
A tale riguardo, il 19 maggio 1579, Jo. Ant.o Cardamo di Gallipoli “patronus barcae oneraris”, innanzi a Marco Thegano, sostituto del regio percettore domino Joannes Camillo Tuscano, regio vicesecreto della regia portulania, asseriva di aver acquistato nella terra di Cirò 400 salme di “vini albi, et rubei”, dovendoli trasportare nelle città di Nardò e Gallipoli, e altri luoghi.[xli] Qualche giorno dopo, il 27 maggio, Jo. Battista Percuhlia di Gallipoli, “patronus navigii dicti s:tae mariae”, asseriva con giuranto, di aver acquistato nella terra di Cirò 110 salme di “vini albi”, impegnandosi a trasportarlo nelle città di Taranto, Gallipoli e Nardò.[xlii]
In questo commercio una parte importante era quella recitata dal feudatario locale, come evidenzia un atto del 20 aprile 1589 che, davanti al notaro Gio: Dominico Durante di Crotone, trova costituiti messer Joannes Baptista Casoppero, erario dell’Ill.ma Domina Virginia Caracciolo di Napoli, madre e balia dell’Ill.mo Domino Ferdinando Spinelli, marchese della terra di Cirò, e l’exc.e Domino Horatio Claro UJD di Cosenza, nel quale si afferma che, durante il precedente mese di settembre, il detto erario aveva venduto al detto Claro diverse partite di animali (bovini, ovini ed equini), per oltre 4000 ducati, “Et de più vino tra bianco, et rosso salme quattrocento, q(ua)le è imbottato parte dentro lo palazzo della lice, et parte nel Castello di d(ic)ta terra, à rag.ne d’un docato la salma, ascende à doc.ti 400.”[xliii]
Non sempre però tutto filava liscio, considerata l’insicurezza della navigazione legata all’attività di corsa praticata da fuste e galeotte turche, a quel tempo dedite a predare le imbarcazioni cristiane lungo tutte le coste del regno di Napoli. Ce ne offrono testimonianza alcuni atti relativi ad un viaggio compiuto dall’imbarcazione di Fabio Cacciottulo di Procida che, nel maggio 1591, per conto di Cornelia Spinelli, contessa di Martorano, e di Virginia Caracciolo, marchesa di Cirò, imbarcò a Crucoli e a Cirò: vino, olio, formaggio pecorino e altri generi, da portare a Napoli. Dopo un primo carico effettuato il 13 maggio “nella marina di Cruculi”,[xliv] due giorni dopo l’imbarcazione fece scalo a Cirò, dove fu stipulato un atto di fronte al notaio Gio Domenico Durande di Crotone.
In quella occasione il detto Fabio, patrone del barcone nominato Santa Catherina, innanzi al notaro e al magnifico Parisio Bisantio, erario della corte marchesale della terra di Cirò, dichiarò con giuramento, di aver ricevuto dal detto erario diverse merci, tra cui: “In p.s quindici botte nap.e piene di vino, octo piene di vino bianco, et sette altre piene di vino rosso bello, bono, et di buon colore, odore, et sapore, q(ua)le botte sonno bullate con la bulla dello Ill.mo s(ignor) Marchese di d(ic)ta t(er)ra, ch’è una l(icte)ra .F. imbarcato, carricato et tradocto sopra d(ic)ta barca sotto la torre della lice, sigillate d(ic)te botte con lo sig(il)lo di q(ue)sta t(er)ra allo Cacumine, seu mafaro, (il foro della botte nel quale si applica il tappo ndr) et attaccato con stringhe et nove taccie per ogni mafaro.” Vino che, assieme alle altre merci, prometteva e si obbligava a condurre nella città di Napoli, all’Ill.mo signor Giuseppe Spinello marchese di Cirò.[xlv]
Nella realtà però, il vino e gli altri prodotti non giunsero mai a destinazione, nelle disponibilità del marchese di Cirò perché, come riferisce un atto del 31 maggio seguente stipulato in Crotone, durante il proseguo del suo viaggio verso Napoli, dopo essere giunta sopra “il capo de manna”, posto in territorio di Isola, l’imbarcazione procidana fu predata da due galeotte turche.[xlvi] Fatti che continuavano ancora durante il decennio francese quando, nel 1810, “una felluca carica di vino venne aggredita da’ Corsari nel lido di Melissa, e prese scampo a terra nel littorale di Cirò al punto detto Armeri. Accorsero la Civica di Cirò e quella di Melissa, e fu protetta, e salvata. Anche per questa occasione si lanciarono tante palle che le piane di zappavia, ed aridonniche ne rimasero egualmente disseminate.”[xlvii]
I diritti dell’università
Oltre ad essere un prodotto sottoposto ai pagamenti dei diritti feudali della Bagliva (Catapania, Portulania, ecc.), per la sua rilevanza nell’ambito dell’economia del territorio, il vino era gravato anche da un dazio imposto dall’università di Cirò, che colpiva i padroni delle vigne. Il 13 ottobre 1591, nella piazza pubblica di Cirò detta di Santa Maria de Plateis, Antonio Boino, servente ordinario della curia del capitano di Cirò, accesa la candela, provvedeva a mettere all’asta il dazio del vino e quello dell’olio, secondo i relativi capitoli, ed in maniera conforme all’assenso regio.
Per quanto riguarda il vino, i detti capitoli prevedevano che chi si fosse aggiudicato l’incanto, assumendo le funzioni di “datiero”, avrebbe potuto riscuotere dai padroni delle vigne, per tutto il mese di maggio e nell’ambito di tutto il territorio ricadente sotto la giurisdizione dell’università di Cirò, un carlino per ogni salma di vino venduto. A tale riguardo, per evitare frodi, l’università avrebbe eletto uno o due “deputati” con il compito di assistere il daziero, controllando la misura e lo scandaglio del vino venduto, riconoscendo ai “patroni” uno “sfrido” alla ragione del 20 %.
Il daziero era tenuto a pagare detto dazio al sindaco e ai deputati di Cirò entro il mese di giugno e, indipendentemente dai diritti del feudatario, ma con il suo permesso, gli era riconosciuto il diritto di fare esecuzione “parata” nei confronti dei padroni insolventi, esigendo da questi la pena del quadruplo del dovuto. Della riscossione del dazio del vino, il daziero avrebbe dovuto fornire all’università di Cirò un idoneo rendiconto scritto (“plegiaria”) entro due giorni dalla riscossione. Contrariamente, invece, passato detto termine l’università avrebbe provveduto a rimettere all’asta detto dazio.
“In p.s vole d(ic)ta m.ca un.tà che lo datiero di d(ic)te gabelle de vino, et oglio possa esigere ut s(upra) et confor.e all’assenso r.o et l’oglio l’esiga alla fonte da quello p(at)rone che lo macinerà, et lo vino l’esigerà per tutto lo mese di maggio p.o verum vendendo lo vino innansi d(ic)to mese di magio, il d(ic)to datiero possa dali venditori p.ti, esigere la rag.e di dicto datio ad un Car.no per salma.
Item che d(ic)ta un.tà sub.o scorsi d(ic)ti datii, sia tenuta dare et eligere uno, o due deputati, li quali haveranno d’assistere con d(ic)to datiero per la t(er)ra à mesurare, et scandagliare lo vino, con darne per sfrido alli p(at)roni à rag.e di salme vinti per centinaro per ogne rag.e et sfrido : et che lo datiero sia ten.to pagare il denaro di d(ic)ti datii per tutto giugno p.o al m.co sin.co et deputati, seu deputandi.
Item d(ic)to m.co sin.co promette impetrare dall’Ill.mo S. Marchese, et suoi s.ri officiali, che il d(ic)to datiero habbia delle dicti datii l’esec.e parata, et possa esequire real(ite)r et pers(ona)l(ite)r, et dalli defraudati possa esigere la pena del quadruplo d’applicarse à d(ic)to m.co Datiero tanto dali p(at)roni, come dali trappitari.
Item vole d(ic)to m.co sin.co et un.tà, che si lo datiero non donerà la pleg.a idonea di d(ic)ti datii fra due dì, che d(ic)ti datii se possano denovo scorrere elasso d(ic)to ter.no, a risico, danno et periculo di quelli che non donerà d(ic)ta pleg.a, et se vende per tutto agosto primo.”[xlviii]
Note
[i] 21 gennaio 1240, si comanda al “secretum Messanae” di destinare a Napoli “centum barrilia de bono vino de galloppo”. Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1859, Tomo V pars II, p. 685. 16 marzo 1240, si comanda al giustiziere di Capitanata di mandare a Napoli via terra, i “centum barrilibus vini de galoppo” che, attraverso il secreto di Messina, si era comandato di portare a Napoli per mare, ma che ancora non erano giunti a destinazione. Ibidem, pp. 846-847.
[ii] 28 marzo 1240. Si comanda a Riccardum de Pulcaro di provvedere la “curiam nostram de vino greco saumas III, de vino grecisco saumas III, de vino fiano saumas III.” Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1859, Tomo V pars II, pp. 861-862.
[iii] Yver G., Le commerce et les marchands dans l’Italie méridionale au XIIIe et XIVe siécle, 1903 p. 142.
[iv] Balard Michel, Storia di Venezia (1997) in Treccani.it, che cita il fondo Cancelleria inferiore dell’Archivio di Stato di Venezia, b. 19, notaio Benedetto Bianco, atti del 1° agosto, 18 ottobre, 23 novembre e 3 dicembre 1362.
[v] Predelli R., I Libri Commemoriali della Republica di Venezia, Regesti, Volume 2, libro VI n. 308.
[vi] Delaville Le Roulx J., Cartulaire Général de l’Ordre des Hospitaliers de S. Jean de Jérusalem (1110-1310), Parigi 1897, tome second (1201-1260), pp. 900-901. Maone P., Contributo alla Storia di Cirò, in Historica n. 2-3/1965, p. 96 sgg. e Allegato n. 1.
[vii] “È costante in Cirò che il prezzo massimo delle terre migliori, e queste sono Artino, Aridonniche, Torrenova, e Fego, non valgono in proprietà più di duc. 18 a moggiata.” Pugliese G. F., Descrizione ed Historica Narrazione di Cirò, vol. II, Napoli 1849, p. 21.
[viii] 26 gennaio 1563, Ciro. Nell’inventario dei beni del quondam Fran.co Principato troviamo: una “continentia de vigne et pastine poste in loco ditto Valle de lumia”, confine le vigne di Iher.o de Aurofino, le vigne di Ant.o Cipparrone, le vigne di Angelo Buccuto e il cognale di Sibino Papandro. ASCZ, Notaio Cadea C., busta 6, ff. 8-8v.
[ix] 13 novembre 1573, Cirò. Alla dote di Gratiusa de Aversa che va sposa ad Ant.o Pandolfo, appartiene un cognale arborato posto a “valle de Alomia”, confine il cognale di Minico Marino, il cognale di Marcidonio de Venuto, “la via pp.ca per dove se va alla donna hydria” e altri confini, “con annuo rendito alla donna hydria de gr(ana) sette in perp.m”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 33v-34.
21 gennaio 1582, Cirò. Donna Gratiusa de Aversa, vedova del quondam Ant.no Pandolfi di Cirò, vende a Beatrix Marina, moglie di Matteo de Laquila, il “vineale” arborato con “ficubus”, sito in “loco valle de Alomia”, confine il vignale degli eredi di Joannes Battista Politi, il vignale di detta donna Beatrice, la “viam pp.cam veteram qua itur ad templum donnae hydriae” e altri fini, “reddititium dictae ecc.ae donnae hydriae in gr(anis) septem anno quolibet imperp.m”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 500.
2 ottobre 1576, Cirò. Petro Principato di Cirò vende ad Anselmo Marino di Cirò, una “poss.nem seu vineam cum amidoli arbore”, sita in loco detto “valle de alomia”, confine la vigna di Marco Ant.o de Lafontana, il vignale degli eredi di Angelo Buccuto, “viam pp.cam” e altri fini “cum annuo redditu gr(ana) quinque donnae hydriae”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 185v-186.
6 gennaio 1584, Cirò. Alla dote di Cassandra Marino, sorella di Aloisio Marino di Cirò, che va sposa a Jacobo Gratiano di Cirò, appartiene “uno cognale loco valle de alomia”, arborato con “fico, pira et celsi”, confine la vigna di Marcant.o Lafontana, la vigna di Nardo Abbate, “due vie pp.ce de dui lati per le quale se va alla donna hydria” e altri confini, “con lo solito rendito de uno car.no alla ven(erabi)le donna hydria imperp.m”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 78-78v.
12 settembre 1584, Cirò. Nei giorni passati donna Beatrix de Renda, madre di Aloisio Marino di Cirò, aveva venduto a Marcant.o Lafontana di Cirò, una vigna loco “Valle de Alomia”, confine la vigna di esso Marcant.o, “viam pp.cam” e altri fini, “cum Annuo redditu granorum quinque venerabile ecc.ae donnae hydriae imperp.m”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 108v-109.
27 settembre 1598, Cirò. In relazione al matrimonio tra Angela de Florio e Joannes Leonardo de Aloisio di Cirò, Giovanni de Florio di Cirò, padre della sposa, promette agli sposi un “horto de vigna a valle de Alomia”, confine la vigna di Hor.o Thegano, la vigna di Cola Giovanni Siciliano e altri fini “con lo solito rendito annuo de dui grana et mezo alla donna hydria”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, f. 454.
[x] “loco la valle de alomia” nel tenimento di Cirò, la “viam pp.cam qua itur ad aliciam reggionem” (1581). ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 428v.
[xi] 31 gennaio 1574, Cirò. Marco Puglisio di Cirò vende a Crucio Thegano di Cirò, una vigna con terreno coltivato e incolto contiguo, sita in loco detto “Valle de alomia”, confine la vigna di Joannes de Florio, la vigna di Catherina de Risolo, la “viam pp.cam qua itur ad templum donnae hydrjae”, le terre di Spetio Malvasio, le terre di Joannes de Florio, il “serronem dela donna hydria” e altri fini, “cum annuo redditu ipsi donnae hydriae gr(ana) quinque”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 42v.
21 settembre 1578, Cirò. Donna Catherina de Risolo di Cirò, promette in dote a sua figlia Hortensia Scutifero che va sposa a Nicolao Joannes Siciliano, una possessione con vigna, olivi, fichi e altri alberi, alla “Valle de lomia”, vicino la vigna di Cruce Thegano, la vigna di Antonello Cipparrone, via pubblica mediante, e altri fini, “con rendito de un car.no annuo alla donna hydria”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 291v-292.
[xii] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, f. 263.
[xiii] 6 gennaio 1580, Cirò. Alla dote di Villa de Orofino di Cirò, che va sposa ad Andrea de Rossano di Cirò, appartiene una vigna posta in loco “lo ceramidio” confine la vigna degli eredi di Antonello de Falcone, la vigna di Gio. Dom.co de Consulo, la vigna di donna Nucentia de Gallo, e altri confini “con annuo rendito de gr(ana) cinque alla ven(erabi)le chiesa dela donna hydria”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 370-371.
[xiv] 25 agosto 1578, Cirò. Alla dote di donna Isabella Caputa, figlia di Ottaviano Caputo di Cirò, che va sposa a Joannes Ferrario di Cirò, appartiene una metà di vigna loco “la marina sotto lo palazo”, che doveva essere recuperata dagli eredi di Marco Ant.o Mascambrone, “con gr(ana) dui et mezo alla donna hydria” per la detta metà, confine la vigna di Virg.o de Cotrone, la vigna di Cesare Thegano e altri fini. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 287v-288.
[xv] 31 agosto 1583, Cirò. Donna Censa e Joanna de Poherio, figlie della quondam donna Gesimina de Iuncta, avevano mosso lite nella curia del capitano di Cirò, contro Stephano de Lipari, detentore della vigna sita “in terr.o t(er)re Cirò loco dicto la marina seu sobto lo palaczo”, confine la vigna di And.a Jacobino che fu del quondam Renzo Mascambrone, la vigna di Jacobo de Felice e altri fini, “reddititiam anno quolibet ecc.e s(anc)te m.a de Itria in granis sex”. ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 145-145v.
21 gennaio 1582, Cirò. Donna Gloria de Basilio, moglie di And.a Jacobini di Cirò, permuta la sua possessione arborata “cum ficubus, olivis et quercubus et cum quedam vineam desertam”, sita in loco “lo barco delulmo”, con la “vineam arborata cum ficubus”, del R.do Fr.co Nicaster di Cirò, sita in loco “sotto lalice”, confine la vigna del mag.co Petro Casopero, la vigna di Stephano de Lipari, la vigna di Nicola de Juncta e altri fini, “cum annuo redditu gr(ana) quinque donna hydriae ut in platia”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 449-449v.
25 agosto 1583, Cirò. Alla dote di donna Vittoria de Libari, figlia di Stephano de Libari di Cirò, che va sposa a Jo. Dominico Alitio di Cirò, apparteneva una vigna loco “sotto lalice”, confine la vigna di Jo. Alfonso Scarnato, la vigna dotale di And.a Jacobino e altri confini, “rendititia Anno quolibet ala donna hydria grana cinque”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 53v-54v.
16 marzo 1586, Cirò. L’onorabile And.a Jacobino di Cirò vende al mag.co Petro Casoppero di Cirò, una vigna sita “in terr.o d(ic)te t(er)re loco dicto sobto lo palaczo dela lice”, confine le vigne di detto mag.co Petro da “tribus lateribus”, la vigna di Stephano de Lipari e altri fini, “reddititiam anno quolibet ecc.e s(anc)tae Maria de Hydria d(ic)te t(er)re in granis quinque vel quinque cum dimidio ut in platea”. ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, f. 270.
3 agosto 1586, Cirò. Donna Margarita de Junta, vedova del quondam Marco Ant.no Basami di Cirò, vende a Jacobo de Felice della terra di Scala, la sua “vinem desertam arboratam cum ficubus” sita “sub palacio aliciae”, confine la vigna del mag.co Petro Casopero, la vigna del mag.co Joannes Alfonso Scarnato, la vigna del clerico Nicolao Tegano e altri fini, “cum annuo redditu granorum sex venerabili ecc.ae donnae hydriae in monte Tabor inperp.m”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 185v-186.
21 luglio 1576, Cirò. Alla dote della onorabile Ber.na Siciliana di Cirò, che va sposa a Thoms de Consulo della terra di Melissa, appartiene una continenza di vigne “posta alloco sotto lalici”, vicino la vigna di Aprile de Venuto, la vigna del mag.co Jo. Petro de Parisi, “con lo solito rendito annuo alla chiesa dela donna hydria”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 173v-174. parte prima, 5490.
12 maggio 1585, Cirò. Alla dote di donna Ber.na Siciliana che va sposa a Carolo Simonetta di Strongoli, appartiene un “horto de vigna alla marina”, confine la vigna di Aprile de Venuto, la vigna di m.o Jo. Petro de Parise e altri fini, “cum rendito solito alla ven(erabi)le donna hydria v(idelicet) gr(ana) tre et mezo et tre cavalli”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 127-128.
30 settembre 1573, Cirò. La vedova donna Julia Nicastra di Cirò e sua figlia Laura de Rovito, vendono a Stephano de Lipari, incola in Cirò, una vigna sita in loco detto “sotto lo palazo”, confine la vigna di Aprile de Venuto, la vigna di Nicolao Matri, la vigna di Possidonio de Cotrone, la vigna di Gesimina de Juncta, la vigna dotale di Jo: Thoma Papaioannes, la vigna di Jacobo de Lafontana e altri fini, “cum annuo redditu gr(ana) quinque cum dimidio ecc.ae donnae hydriae”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 36v.
15 gennaio 1574, Cirò. Jacobo de Lafontana di Cirò vende a Joannes Casopero di Cirò, una “continentiam vinearum” sita “subter palatio Aliceo”, confine la vigna di And.a Polito, la vigna del mag.co Petro Ant.o Spoletino, la vigna dotale di Thoma Papaioannes, la vigna di Joannes de Aloisio, la vigna degli eredi di Nicolao Carusio e altri fini, “cum annuo redditu gr(ana) undecim ecc.ae donnae hydrjae”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 38v-39.
9 settembre 1574, Cirò. Laur.o Mascambrono di Cirò vende al R.do D. Fr.co Nicastro di Cirò, una vigna arborata con fichi, sita in loco detto “sotto lo palazo”, confine la vigna di Joannes Matteo Albozino, la vigna di Nicolao Carusio, la vigna di Stephano de Lipari, la vigna dotale di Joannes Thoma Papaioannes, “reddititiam anno quolibet donnae hydriae in gr(ana) quinque”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 74v-75.
11 maggio 1576, Cirò. Il mag.co Joannes Casopero di Cirò vende al mag.co Petro Casopero di Cirò, la propria parte di una “continentiam vinearum”, che i due detengono in comune e indiviso, posta in loco detto “subter palatio alitii”, confine la vigna del mag.co Petro Ant.no Spoletino, la vigna di And.a Polito, la vigna dotale di Joannes Thoma Papaioannes, la vigna degli eredi di Nicolao Carusio e altri fini, “cum annuo redditu granorum decem ven(erabi)li ecc.ae donnae hydriae sub titulo montis Tabor”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 169v.
6 novembre 1576, Cirò. Joannes de Aloisio di Cirò vende ad Ant.o Abbate di Cirò, una “vineam desertam” sita in loco detto “sotto lalice”, confine la vigna di Aug.a Papandrea ?, la vigna del mag.co Petro Casopero, la vigna degli eredi di Nicolao Carusio, la vigna di Stilla de Carusio, la vigna di Valerio Citera e altri fini, “cum annuo redditu gr(ana) quattuor ecc.ae donnae hydriae”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 195.
11 agosto 1578, Cirò. Il nobile Jo. Thomas Papaioannes e donna Rosa Pilusa, coniugi, vendono al nobile Marco Thegano di Cirò, una vigna sita in loco “sotto lo palazo”, confine la vigna del mag.co Petro Casopero, Petro Ant.o Spoletino e altri fini, “cum annuo redditu gr(ana) quattuor donnae hydriae”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 285-286.
9 marzo 1581, Cirò. L’onorabile Joannes And.a Calvo di Cirò, permuta il proprio oliveto “cum viridario” sito in loco detto “s(an)to vito”, con la vigna del monastero di S. Francesco di Paola di Cirò, sita “in terr.o d(ic)te t(er)re loco dicto sobto lo palaczo de lalice, sobto via”, confine le vigne del mag.co Petro Ant.o Spoletino, verso occidente, le vigne del mag.co Joannes Casopero verso scirocco, le vigne di Antonio Abbatis a oriente e altri fini, “reddititiam anno quolibet d(ic)tam vineam Donne de Itria d(ic)te t(er)re in granis quinque”. ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 22-22v.
11 settenbre 1583, Cirò. Ant.o Abbas di Cirò, in relazione al matrimonio tra donna Sena Abbatis sua nipote e Jacobo d’Urzo di Cirò, promette una vigna loco detto “la marina sotto lalice”, confine la vigna del mag.co Petro Casopero, la vigna degli eredi di Cola Caruso, “con rendito solito de grana sette alla ven(erabi)le chiesa dela donna hydria in perp.m”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 57v-58v.
30 maggio 1585, Cirò. Valerio Citerà di Cirò vende a Battista Serravalis di Melissa, una vigna sita in loco “sotto lalice”, confine la vigna del mag.co Petro Casopero, la vigna di Joannecto de Castellis, la vigna di Thoma de Acri, la vigna di Marco Caputo Consentino e altri fini, “reddititiam anno quolibet granorum sex venerabili ecc.ae donnae hydriae imperp.m”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 131-131v.
[xvi] “In loco subter aliciam regionem”, “viam pp.cam qua itur crotonem” (1580). ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 382.
[xvii] Loco “lo ceramidio”, “la via pp.ca che si va ad cotrone” (1562). ASCZ, Notaio Cadea C., busta 6, ff. 225-225v.
[xviii] “loco dicto lo marinetto”, “flumen de fraxa : viam pp.cam qua itur crotonem” (1578). ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 283v. “loco lo marinetto”, “viam pp.cam qua itur crotonem iuxtam torrentem de fraxa” (1580). ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 374v.
[xix] In “loco dicto brisi seu lo marinetto”, “viam pp.cam qua itur in civ.tem crotonis” (1581). ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 422. In “loco dicto brisi”, la “viam pp.cam qua itur in civ.tem crotonis” (1581). ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 428v.
[xx] “viam qua venitur dela Cropia et itur ad Civ.tem Crotonis” (1582). ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, f. 69v.
[xxi] “loco dicto brisi”, “viam pp.cam qua itur ad stomium” (1587). ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, f. 361v.
[xxii] “loco laere doniche”, “vallonem descendentem à Basilisca : viam pp.cam seu areas qua itur crotonem” (1581). ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 471-471v. Presso il “lictus maris”, “loco dicto la falda de … juxtam viam pp.cam qua itur ad Civ.tem Crotonis, juxtam viam qua venitur a loco dicto le aire donniche, et juxtam vallonum p.tum de armerì” (1583). ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, f. 123v.
[xxiii] 14 giugno 1573, Cirò. Il “no: virg.s mur.ne” di Umbriatico, vende a donna Laura Caputa di Cirò, una vigna sita in loco detto “sotto lo palazo delalice”, confine la vigna di Fabritio Spoletino, la vigna di Fran.co Pilusio, la vigna di Marco Ant.o Basami, la vigna di Marco Puglisio e altri fini, “cum annuo redditu solito donnae hydriae in g.s sexdecim”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, f. 24.
Settembre 1586. Esecuzione della vigna di Luca de Balsamo sita “in terr.o d(ic)te t(er)re loco dicto la Cutura”, confine la vigna del mag.co Fabritio Spoletino, la vigna dell’onorabile Paulo Masi e la via pubblica. ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, f. 450.
[xxiv] 24 giugno 1577, Cirò. In relazione al matrimonio tra donna Julia Murumanna, figlia di Joannes Murumanno di Cirò e Vincentio Colonna di Santa Severina, apparteneva alla dote della sposa, “uno horto de vigna alla cultura”, confine la vigna di Renzo Labalestra, vicino la vigna degli eredi di Nicolao Carusio e altri fini, “con reddito annuo alla ecc.a dela donna hydria de uno gr(ano) et mezo”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 229v-230.
19 novembre 1578, Cirò. Alla dote di donna Stilla Carusio, sorella di Joannes Carusio di Cirò, che va sposa a Petro Paulo Matto di Cosenza, appartiene una vigna “sotto lalice”, confine la vigna di Ant.o Abbate, la vigna di Vicenzo Colonna, la vigna di Renzo Labalestra, “le pastine dela corte”, e altri confini, “con rendito alla donna hydria de gr(ana) cinque annui”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 311v-312.
20 settembre 1581, Cirò. La vigna di Petro de Parisio sita “in terr.o d(ic)te t(er)re loco dicto sobto la Cotura”, confine i vignali della Curia, ovvero “pastinas baronales”, le vigne di Joannes Paulo Grassi e altri fini. ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 36v-37v.
24 giugno 1586, Cirò. I coniugi donna Stilla de Carusio e Petro Paulo Matto di Cosenza, vendono al clerico Januario de Orofino di Cirò, una vigna sita in loco detto “la cultura in maritima aliciae”, confine la vigna di Laurentio de Labalestra “cum Arbore ficus m.te in limite”, la vigna di Ant.o Abbatis, la vigna di donna Fr.ca de Morello e altri fini, “cum Annuo redditu solito ven(erabi)li ecc.ae donnae hydriae in gr(ana) quinque”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 177-177v.
[xxv] 13 gennaio 1566, Cirò. Nel suo testamento, Carolo Casopero dispone che rimanga a suo figlio Marcello, la vigna sita in “loco ditto la marina”, confine le vigne degli eredi del quondam Nic.o Fran.co Susanna, le vigne del nobile Joannes Casopero, le vigne di detto testatore e la “viam publicam, qua itur ad culturam”. ASCZ, Notaio Cadea C., busta 6, ff. 1-2v.
20 gennaio 1578, Cirò. Jo. Ant.o de Jughia abitatore in Cirò, vende a Puccio Mascambrone di Cirò, il “petium terrarum cum una Arbore sycomi”, sito in loco “subter palatium alitii”, confine la vigna di detto Puccio, la vigna di donna Isabella Candiota, la vigna di Minico Scutifero e altri fini, “cum Annuo redditu S.tae Mariae donnae hydriae in gr(ana) tribus et quadrante”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 262v-263.
31 maggio 1582, Cirò. Donna Joannella Bisantia vedova del quondam Fr.co Ferri di Cirò, cede a Puccio Mascambrone di Cirò, una “cont.a vinearum” sita in loco “subter palatium alitii”, confine la vigna di Fr.co Candioti, la vigna di Ant.no Marangoli, la vigna di Vito Cochi, la “viam pp.cam qua itur ad culturam” e altri fini, “reddititiam ecc.ae donnae hydriae in gr.s sex decim anno quolibet”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 510v-511.
31 marzo 1591, Cirò. L’onorabile Puccio Mascambrone di Cirò, vende a Fran.co Candioto di Cirò, una vigna che “consistit in una petia”, sita “il terr.o t(er)rae Cirò loco dicto sotto lo Palaczo”, confine la vigna di detto Fran.co, la vigna degli eredi di Cesare Gratiani e un’altra vigna del detto Puccio, “reddititiam anno quolibet s(ac)tae mariae d’Itria in granis quinque”. ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 137-137v.
[xxvi] 26 gennaio 1563, Ciro. Nell’inventario dei beni del quondam Fran.co Principato troviamo: “uno cognale posto alla marina in loco detto artino”, confine le terre di Marcant.o Juliano, “la via pp.ca per la quale si va alla cultura” e altri fini. ASCZ, Notaio Cadea C., busta 6, f. 8-8v.
[xxvii] 19 novembre 1578, Cirò. Alla dote di donna Stilla Carusio, sorella di Joannes Carusio di Cirò, che va sposa a Petro Paulo Matto di Cosenza, appartiene una vigna “sotto lalice”, confine la vigna di Ant.o Abbate, la vigna di Vicenzo Colonna, la vigna di Renzo Labalestra, “le pastine dela corte”, e altri confini, “con rendito alla donna hydria de gr(ana) cinque annui”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, ff. 311v-312.
[xxviii] 20 settembre 1581, Cirò. La vigna di Petro de Parisio sita “in terr.o d(ic)te t(er)re loco dicto sobto la Cotura”, confine i vignali della Curia, ovvero le “pastinas baronales”, le vigne di Joannes Paulo Grassi e altri fini. ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 36v-37v.
[xxix] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, f. 117.
[xxx] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, f. 234.
[xxxi] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, anni 1583-1599, ff. 70v-71.
[xxxii] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, anni 1583-1599, f. 158.
[xxxiii] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 415-416.
[xxxiv] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, 1594, f. 472v.
[xxxv] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, parte seconda, ff. 407-409v.
[xxxvi] Pesavento A., Tra taverne e bettole, storia del vino a Crotone, www.archiviostoricocrotone.it
[xxxvii] ASCZ, Notaio Ignoto, Busta 15, anno 1578, ff. 368-369.
[xxxviii] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, anni 1572-1582, ff. 111-111v.
[xxxix] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, anni 1572-1582, ff. 157v-158.
[xl] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 284-284v.
[xli] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, anni 1572-1582, f. 341v.
[xlii] ASCZ, Notaio Consulo B., busta 8, anni 1572-1582, f. 343-343v.
[xliii] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 11v-12v.
[xliv] ASCZ, Notaio Rigitano F., Busta 49, anno 1591, ff. 72-76.
[xlv] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 157-157v.
[xlvi] 31 maggio 1591, Crotone. Il mag.co Giulio Caco, erario dell’Ill.ma Cornelia Spinelli contessa di Martorano, asseriva che, il 13 maggio 1591, “nella marina di Cruculi”, era stata caricata la barca patronizzata da Fabio Cacciuttolo di Procida, con trenta botti di vino e una di olio, da portare a Napoli per conto della detta contessa, e di Virginia Caracciolo marchesa di Cirò. Partita per seguire il suo viaggio, assieme ad un’altra barca di Marcello Saraca di Reggio, “che havea carricato allo ziro di vino”, giunta che fu sopra “il capo de manna”, la barca fu pigliata da due galeotte turchesche. ASCZ, Notaio Rigitano F., Busta 49, anno 1591, ff. 72-76.
[xlvii] Pugliese G. F., Descrizione ed Historica Narrazione di Cirò, vol. II, p. 218.
[xlviii] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 227-229v.
Creato il 19 Ottobre 2022. Ultima modifica: 19 Ottobre 2022.