I Salnitrari di Santa Severina
Nel documento di “Reintegra” del conte di Santa Severina Andrea Caraffa del 1521 troviamo che, nell’inventario dei “Censualia Curiae Civitatis Sanctae Severinae”, sono censite 24 grotte, mentre un’altra quarantina risultano nell’elenco dei “Bona dictae Curiae noviter reintegrata intus Civitatem p.tam S. Severinae”. Le grotte appartenevano ad una cinquantina di proprietari e buona parte di esse, secondo il feudatario, era detenuta illegalmente. Quasi tutte erano state scavate “circumcirca le ripe de ditta Città”, specialmente lungo il versante orientale, tra le località “Porta Nova” e “Porta dela Grecia”, anche se non mancavano sia dentro la città che in altri luoghi della timpa.
La loro posizione indica un uso generalmente agricolo-pastorale, in quanto le troviamo in luoghi comunicanti direttamente con la pianura sottostante. Le località dove esse erano situate sono così descritte nel documento: “In loco dicto La Favata”, “in timpa de la Bagnola”, “intus dittam Civitatem in loco ditto La Torretta”, “in loco ditto Monte Fumero”, vicino la porta “de la Grecia”, sotto la chiesa di Santo Marco, nel luogo detto “Santo Nicola deli Greci”, “sopra la fonte de Grecia”, sotto la città “in timpa seu rupa versus Januam veterem”, “in loco dicto la Grecia”, “sotto la Porta Nova”, “in timpa portae S.ti Nicolai”, “retro sedilem eiusdem Civitatem”, in parrocchia di “S. Maria de Puccio”, “in timpa de Piccileo”, “subtus ecclesiam S.ti Blasii”, “in timpa de la Grecia”, “in la Sala Verde”, “in timpa de Boccaccio,” e “in timpa de Goctonero”.[i]
Ricovero per gli animali
Da altri documenti successivi sappiamo che molte grotte erano, o erano state utilizzate “ad usum porcorum”, “per uso di capre”, e per altri usi legati all’allevamento: “una grutte dove sta la paglia per uso di animali”. Specialmente vi si rinchiudevano i numerosi maiali, che fornivano un sostentamento primario alla popolazione e che alimentavano anche il commercio.
In una supplica, inviata all’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisano nel luglio 1620, il suddiacono Francesco Antonio Mancuso chiedeva all’arcivescovo, di emanare scomunica contro coloro che gli avevano ucciso e portato via dei maiali: “Come lunedì sera prossimo passato havendo un suo garzone chiusi quaranta porcelli dentro una grotta sopra la fontana, la mattina seguente ne trovò innante di quella dieceotto uccise et altri duo non l’ha potuti trovare da nessuna maniera et di poi quelli uccise ne furono pigliati la maggior parte senza saputa sua et li detti porcelli valevano ventisei docati incirca”.[ii]
La presenza di numerosi maiali, allevati nel territorio cittadino ed in quelli vicini per commercializzarli, è richiamata in diversi documenti. Per acquistarli era necessario avere a disposizione ed anticipare del capitale. Per sostenere l’operazione finanziaria si costituivano delle società, che procedevano all’acquisto, alla gestione, ed infine alla vendita dei suini. Un esempio di tali società è la convenzione stipulata presso il notaio di Santa Severina Marcello Santoro il 9 settembre 1581, tra il fornitore del capitale Sertorio di Lauro e gli addetti alla gestione ed all’allevamento, Giovanni Tommaso Piluso di Roccabernarda, Regno di Stilo e Salustio de Petruzo del casale di Santo Vito: “… qualmente tra essi teneno cento settanta tre porci tersigni dato da esso S.r Sertorio al detto Jo. Tho. a gaudagno in virtu di patto tra essi facto … al presente sincome veneno a conventione con lo m.co Regno de Stilo di S.to Vito et Sallustio de Petruzo di S.to Vito essi Sertorio et Jo. Tho. li donano alli p.ti Regno et Salustio et ciascuno di loro in solidum li p.ti cento settanta tre porci tersigni a guadagno et ci li poneno a ragione di carlini trenta ciascuno porco et lo di piu, seu guadagno che ni pervenerà de dicti porci deli trenta carlini ad alto sia in comune: la metà di lo guadagno sia di esso Sig. Sertorio et laltra metà deli p.ti Regno, Salustio et Jo. Tho. quale Jo. Tho. vole di piu esser et trasire allo preditto guadagno et perdita di dicti porci et esser obligato così come li sup.ti Regno et Salustio con patto che li p.ti Regno et Salustio in modo alcuno debbano vendere dicti porci se prima non ni daranno aviso ad esso S.r Sertorio … con pacto che morendo alcuno ò parte di decti porci per volontà di Dio che li p.ti Regno Salustio et Jo. Tho. non siano tenuti pagarli ma mancando o perdendosi alcuno per loro defecto siano obligati pagarli come si venderanno l’altri et con altro patto che spendendo esso S.r Sertorio ad aglianda qualche quantità di denari che la p.ta spesa et capitania possa prima alsalse et poi dividersi lo guadagno che ni pervenerà et che li p.ti Regno Salustio et Jo. Tho. siano tenuti così come prometono guardare dicti porci alloro spesa et darne chiaro et lucido conto declarando che di tutto il guadagno che sarà deli trenta carlini in su levate le spese che si faranno per dicti porci la metà di esso intera sia di esso Sig.r Sertorio ut s.a et l’altra metà si ne debba fare doi parti una parte intera di esso Regno et l’altra parte di esso Salustio et Jo. Tho. et esso S.r Sertorio promette spender tutto il denaro che bisognerà per la compera di l’agliandagio et per alsarsilo con la Capitania”.[iii]
Il salnitro
In natura il nitrato di potassio si rinviene nelle cantine, nelle stalle, nelle grotte, ecc., dove si trova in abbondanza, sotto forma di efflorescenze ed in croste cristalline, nelle pareti e nel suolo. Gli ambienti umidi e tiepidi favoriscono l’azione dei batteri nitrificanti, ed il salnitro si presenta sulle pareti e sui pavimenti, come una lanuggine e come una polvere bianca. Con la scoperta della polvere nera e l’avvento delle armi da fuoco (XIV-XV sec.), la domanda di salnitro aumentò in maniera vertiginosa e la sua produzione fu posta sotto la vigilanza di ufficiali regi.
All’inizio del Cinquecento la produzione del salnitro richiedeva un procedimento lungo e complesso. I luoghi, dove si realizzava, erano situati ai margini degli abitati, in quanto maleodoranti, malsani ed infestati da insetti. Nel nostro caso la produzione del salnitro avveniva in grotta, luogo particolarmente adatto perché, oltre ad essere al riparo dalla pioggia, forniva l’umidità ed il tepore necessario per la nitrificazione ad opera dei batteri. Inoltre, permettendo la ventilazione e la rivoltatura, si favoriva la fermentazione.
Le grotte a Santa Severina non mancavano. Innumerevoli erano quelle che erano state scavate nella timpa lungo le vie di accesso alla città. Dapprima si formava una nitriera dove avveniva la fermentazione del letame, che era mescolato con cenere, calce e terra calcarea. In questa fase il deposito era periodicamente aerato e rivoltato per favorire l’opera dei batteri. Quindi periodicamente era irrorato con liquami di letamaio ed orine. Passato un certo tempo si procedeva innaffiando con sola acqua lisciviata per arricchire il composto di potassio.
I materiali così nitrificati erano poi posti in recipienti diversi e comunicanti, che erano ripetutamente attraversati e lavati dalla stessa acqua, che rimaneva per un certo tempo a stagnare in un recipiente, prima di passare nel successivo. Alla fine, il liquido così ottenuto era raccolto e fatto filtrare per uno strato di cenere per arricchirlo ulteriormente di potassio. In tale maniera i nitrati di calcio e di magnesio si trasformavano in nitrato di potassio, con precipitazione di carbonati di calcio e magnesio. Si otteneva così un liquido contenente sia il salnitro che i cloruri di sodio e potassio. Questo liquido era posto in una grande caldara a bollire e l’evaporazione dell’acqua faceva precipitare i cloruri. Si poteva così separare la soluzione concentrata di salnitro che, posta in contenitori, cristallizzava.
La produzione del salnitro a Santa Severina
L’estrazione del salnitro era facilitata dalla presenza del numeroso bestiame stabulato nelle grotte, soprattutto maiali, le deiezioni dei quali, per trasformazione, fornivano la materia prima. Nell’“apprezzo” del 1688 questo patrimonio zootecnico era così descritto: “Dall’abitanti seu cittadini si possedono diverse sorti di animali, cioè tra i bovi, e vacche numero 400. Capre numero 800. Porci numero mille, cavalli di basto, e giumenti di sella numero dieci, muli numero tre, e somarini numero venti”.[iv] A questo si aggiungevano e facilitavano il processo, gli ambienti umidi e caldi costituiti dalle grotte, i folti boschi, che fornivano il legno per il fuoco delle caldare e la cenere, la presenza di acque sorgive vicino alla timpa sulla quale era costruita la città (“Bagnora”, “fonte de Grecia”, “fonte di Gottoneri”) e la calce.
Calcare e calcinari non mancavano, soprattutto essi avevano avuto un grande sviluppo quando avevano fornito il materiale per la costruzione delle nuove fortificazioni della città e del castello. Ne sono segnalati già durante la prima metà del Cinquecento, vicino alla rupe della città a Santo Nicola dei Greci (“Jacobus Basoinus … dixit tenere et possidere hortum unum cum duabus gruttis et calcinariis situm et positum intus dittam Civitatem prope rupam Civitatis eiusdem in loco ditto S.to Nicola delli greci … cum scquiglio”, 1521),[v] alla Grecìa (Federico Palazo possiede “uno carcinaro alla Grecia” che era stato di Marcantonio Zafarana, 1555),[vi] vicino alla porta della Grecìa,[vii] ed in altri luoghi del territorio (Federico Palazo possiede “uno fosso de carcara ad S.to Giorgi”, 1555).[viii]
Tutte queste condizioni avevano facilitato la nascita e l’affermarsi dell’arte del salnitraro. La richiesta, sempre più crescente di questo composto, essenziale per preparare la richiestissima polvere nera da sparo, aveva fatto sorgere nelle grotte di Santa Severina dei laboratori per la sua estrazione e lavorazione, che avveniva per lisciviazione con bollitura in grandi caldare. Particolarmente attivi in questa attività erano alcuni ebrei, i quali si attrezzarono, ricavarono e commerciarono il nitrato di potassio e la polvere da sparo. Quest’ultima, molto richiesta, sia per la grande passione per la caccia, sia per uso militare, era ottenuta dalla combinazione del nitrato di potassio con lo zolfo ed il carbone, entrambi di facile reperibilità in loco. La presenza di grotte, dove era bollita la soluzione acquosa e colava e “quagliava” il salnitro, è documentata fin dall’inizio del Cinquecento e, conscio della importanza di questa produzione, il conte Andrea Carrafa ben presto se ne impadronì.
Tra i beni nuovamente reintegrati alla curia comitale nel 1521 al tempo di Andrea Carrafa, situati nella città di Santa Severina, troviamo: “gructae duae in quibus fit salinitrum in timpa ditta dele bagnora iux.a gructam Joannis Cosentini Cur(iae) reddititiam et al.s fines et iux.a viam publicam”.[ix] Dallo stesso documento sappiamo che la grotta di Giovanni Cosentino era situata “supra Fontem de Grecia”, vicina alla grotta di Nicola Sacco[x] e, sempre nella stessa località, c’erano altre grotte, tra le quali le due grotte di Angelo e Bolotta de Luca. Queste ultime erano situate alla “Favata”, e propriamente nel luogo detto “le Bagnora”, vicino alla via pubblica.[xi] La località era vicina alle timpe della Grecìa, alla fonte della Grecìa e al “locum qui d.r de Judea”.[xii]
La bottega del salnitraro
Il nove settembre 1584, su richiesta di Vespasiano Marsano, procuratore del conte di Santa Severina Vespasiano Carrafa, il notaio Marcello Santoro si recò nelle case che erano state di Jacobo Casopero dentro la città, nelle quali si faceva il salnitro, e fece l’inventario degli oggetti che vi si trovavano e che costituivano tutta l’attrezzatura adatta a produrlo.
Dalla lettura del documento spuntano i nomi di due altri salnitrari: Marcantonio Zaffarana e Tommaso Sala. Il notaio inventariò “omnia bona et argostilia”, cioè: “Una caldara grande dove si bulle lo salinitro. Uno cascione vacuo dove teneno lo salinitro, tre tinelli, tre sporte vecchie, una tina dove colava lo salinitro quale disse m(astr)o Thomaso Sala nitraro essere di Marcant(oni)o Zafarana. Una tina grande piena di acqua di salinitro et unaltro tinello, octo limbuni per quagliare lo salinitro, quattro cati grandi et un altro cato per portare acqua. Quattro tinelli pieni di acqua di salinitro et uno vacante. Una tina grande, una sporta piena di salazo. Uno caccavo grande di rame cinque barili. Uno cascione dove si cola la rena et acqua di salinitro”. Tra i presenti alla compilazione dell’inventario, oltre a Vespasiano Marsano, sono citati Joannes Gallutio, Prospero Vecchio e Marcantonio Zafarana.[xiii]
Produzione, frodi e contrabbando
All’inizio del Seicento a Santa Severina sono all’opera i “salinitrari” Francesco Laoro, Francesco Magliano, Cicco Sacco, Cicco Ragalia e Girolamo Sala. Un richiamo alla produzione del salnitro, alle frodi ed al contrabbando, lo ritroviamo nei “Memoriali di scomunica di particolari publicati in diversi tempi dal m.co R.do Cantore”.[xiv] Tra le suppliche presentate all’arcivescovo Alfonso Pisano vi sono quella di Giulia Caivano, vedova di Francesco Laoro, presentata l’otto aprile 1622, e quella di Francesco Magliano, presentata l’otto maggio 1623. Dall’analisi del loro contenuto è possibile intravedere i sospetti e le frodi legati al commercio di questo prodotto.
“Ill.mo e R.mo Monsig.r.
La povera Giulia Caivano serva di V.S.Ill.ma vedova del q.m Fran.co Laoro della Città di S.ta Sev.na supplicando li fa intendere, come due anni sono passo di questa vita à meglior vita il detto q.m Fran.co suo marito, e gli lasciò quattro figlie femine tutte quattro zite di marito, et senza sustanza di un pane per una sera, et anco molti debiti, et particolarmente alla Reg(i)a Corte molti cantara di salinitro, et per non vedersi travagliare da commissarii, et da altri creditori per non venderli quattro canali di casa, che essa have, si risolvettero essa povera supp.te con suoi figliuoli fare detta arte di salinitro e là travagliarre; acciò corrispondessero alli debitori, lasciati per il detto q.m Fran.co Laoro suo marito, viene di notte un malevole invidioso, quando li genti si stavano à riposare à letto per non essere visto, ò conosciuto, et messe una certa mestura dentro l’acque delle tinelle, et della terra per non fargli riuscire, ò quagliare detto salinitro, et tutto lo fà, acciò non corrispondesse à pagare detti creditori, e la Regia Corte, acciò venessero commessarii à vendergli detta casa, che essa povera supp.te hà, et non solo Monsig.r Ill.mo l’ha fatto sei, o sette volte, ma ha continuato un’anno intiero, et li ne pervenuto più di cento cinquanta docati d’interesse.
Supplica ancora V. S. Ill.ma essa povera supp.te, che a tempo, che viveva detto suo marito pagava li pagamenti Reggii, li contributioni et altre imposte, che si mettevano à detta Città, et gli essattori di quelli (dopo morto suo marito) ci l’hanno ripetiti di nuovo et ci l’hanno negati, et gli è stato necessario pagargli.
Supp.ca ancora V.S.Ill.ma come due anni sonno tenea dentro monasterio di S. Domenico di questa Città uno magazzeno con molte quantità di grano, andarono certi con chiavi false, l’hanno rubbato la miglior parte di detto grano, et così anche dall’aira à tempo, che facea massaria, et molti porcelli dalla grotta, perciò ricorre al tribunale di N. S. Dio, che altro remedio essa povera supp.te non ha, et alle gratie di V.S.Ill.ma voglia concedergli licentia, che facciano li debiti monitioni contra tutte quelle persone havessero messo, ochi l’havesse visto, ò da chi l’havesse visto mettere, et chi n’havesse notitia di mettere detta mestura à dette acque, e terra, et così anco contra detti essattori che gli hanno negato detti danari, et contra quelli, che hanno rubbato detto grano tanto dal magazzeno, quanto dall’aira et li porcelli di detta grotta, tanto chi l’ha rubbato, ò visto rubbare ò in qualsivoglia modo n’havesse notitia lo voglia revelare al R.do Cantore di questa Città”.
Tenendo conto di tale situazione economica, in cui pochi sono in grado di anticipare i capitali necessari per portare a compimento processi produttivi di esito incerto e che, comunque, richiedono molto tempo per dare profitti, risultano di particolare interesse le suppliche di Francesco Magliano, il quale l’otto maggio 1623, così si rivolgeva al vicario generale dell’arcivescovo Alfonso Pisani: “Ill.mo et R.mo Sig.r.
Francesco Magliano di Santa Severina humil(men)te suppl(ican)do a V. S. Ill.ma dice come per l’infrascritte cause si ritrova estremamente danneggiato, et non può avalersene per essere cose occulte et perciò supp(li)ca V. S. Ill.ma resti servita concedere ad esso supp.te monitorio di escomunica per potere avalersine civilmente.
In primis contro chi sapesse che esso supplicante sia stato danniggiato, da Cicco Sacco, Cicco Ragalia et Girolimo Sala Siciliano suoi compagni nell’acconcio che molti mesi hanno insieme fatto de salinitri, no haver venduto, dato, o prestato alcuna quantità di detti salinitri in danno, et interesse di esso supp.te con revelare la quantità, il tempo, et la persona distintamente.
Item contro chi sapesse che Gasparo Lanzalone affittò l’anno 1621 a Giulio Sfilanga il frutto delle sue olive dette di Bella per litre duicento, et diceotti effettivi, et nella obliganza per apparenza li posero litre duicento trenta et quattro tumula di olive, che il tutto si riceveno a gratia di V. S. Ill.ma.”
Sempre il Magliano il 28 gennaio 1628 così supplicava:
“Gio. Fran.co Magliano di questa Città supplicando fa intendere a V. S. Ill.ma come havendo fatto società con Gio. Geronimo Grimaldi di questa medesima Città in vendere e comprare alcune robbe commestibili esercitandosi esso supp.te in una Pothega lorda, e mentre hanno atteso in detto esercitio per commodo del detto Gio. Geronimo esso Gio. Fran.co l’ha donato in contanti molte partite di dinari tanto in detta Pothega quanto in casa quali partite volendosi far conto fra d’essi li vengono negate dal detto Gio. Geronimo in grave danno d’esso esponente e così ancora havendo seminato insieme esso Gio. Fran.co ha speso molti dinari soverchi come anco semente per la qualcosa li restano esso Gio. Geronimo debitore in docati nove quali medesimamente dice non ricordarsi venendone gravemente interessato esso supp.te. Perciò se ne ricorre da V. S. Ill.ma”.
I mastri salnitrari
L’abilità dei mastri polverari santaseverinesi, cioè di estrarre il salnitro e di confezionare la polvere da sparo, è documentata anche nella seconda metà del Seicento. Il 13 giugno 1667, con atto del notaio Gio. Tomaso Salviati di Crotone, Antonio Ruggiero di Santa Severina acquistava da Jo. Baptista Cavarretta “uno concio per farse il salinitro e polvere”. Tale concio, che il Cavarretta aveva acquistato da Pietro Pisanelli, era situato in Crotone dentro la lamia “dove si fa’ detto salinitro e polvere”, vicino al convento di S. Francesco d’Assisi. Il concio consisteva in “uno caccavo di rame posto sopra la fornace nel modo che si trova, tre cascie di tutta tavola, quattro tine, tre grandi et una piccola, doi mortari per farce detta polvere con suoi pistoni e pertiche, una maylla per sgranarce la polvere, doi cati, due pale, uno zappone, una quatità di terreno per far salinitro et doi criti vecchi per servitio di detta polvere”.[xv]
Nel catasto onciario di Santa Severina del 1743 troviamo ancora due famiglie di salnitrari: quella del salnitraro Lupo Briti di anni 48, sposato con Palma Demme di anni 55, e del figlio Pietro Angelo di anni 21, che esercita la stessa arte,[xvi] e quella di Tommaso Rizza, mastro salnitraro di anni 65, sposato con Faustina Sacco di anni 65, che vive con i figli Marco Antonio di anni 28 e Nicola di anni 19 pure salnitrari.[xvii] Anche nel catasto onciario del 1785 sono presenti i mastri salinitrari Pasquale Merrene[xviii] e Tommaso Rizza di anni 30.[xix]
Entrate feudali
Nel bilancio dell’entrate dei corpi feudali della città di Santa Severina troviamo spesso annotato l’affitto delle grotte per fare il salnitro. Il feudatario affittava sia le case che i conci. Tra le entrate feudali di Santa Severina alla morte del conte avvenuta nel 1600, è annotato che dall’affitto delle case e dei conci del salnitro provenivano ducati 100 annui (“Salnitrari 100”). In seguito, però, secondo quanto riporta il “Relevio”, le “Case et acconcio di salnitro non si affittano per ordine della Camera”. Tale nota è anche riportata nei relevi successivi. Nell’entrate del 1618 è annotato che “Le case et conzi de salinitri si teneno per la Regia Corte per l’effetto de salinitro”, e così anche negli anni successivi, tanto che in una nota datata 10 luglio 1627, è scritto che poichè nel passato l’introito proveniente dai salnitrari era di 100 ducati ci si deve informare e si “ha da produre l’ordine come le case et conci de salnitri non s’affittano. Poichè nel affitto del anno 1601 stanno per duc. 100”.
L’introito proveniente da questa voce fu poi sottostimato, infatti tra le entrate feudali di Santa Severina alla metà del Seicento, vi sono ducati 15, che il feudatario percepiva “dalli congi de salenitro di Santa Severina”. Nell’Introito dell’anno 1648 e 49 è annotato: “Affitto de Salenitro a Gabriele Catalano d(oca)ti 15”, mentre tra le botteghe presenti in città nel 1653, sono segnalate quelle di “tre polveristi”.[xx] Tale entrata è segnalata anche in seguito: “Li Salinitrari per li conci del salnitro in d(ett)a Città di S.ta Severina d(oca)ti 15” (1657), e “Per quello pagano li salinitrari de S.ta Sev.na riscosso da Mutio Curcio d(oca)ti quindici” (1665).
Una dichiarazione dell’università convalida quanto dichiarato dal feudatario: “Facciamo piena, et indubitata fede et con giuramento à chi la presente spetterà o sarà in quals.a modo presentata In Judicio, et extra, et signanter alla R.a Camera della Summaria, Noi Sott.i Sindici, et eletti della Città di S. Sev.na come la Portulania non rende più di ann(ui) D(oca)ti venti, e li Salinitrari non pagano più di docati quindici l’anno, e che li territorii, quando si donano à maiisare, non rendono cos’alcuna, eccetto che qualche cosa che si tira per accordio, e che S. Dom.ca territorio di d.a Città nell’anno 1656 fu data à maiisare, e non si hebbero più di docati sedici et similmente la gabella di Condarcuri fu data à maiisare, e si n’hebbero tt.a quaranta di grano, e docati venti; e parimente, che l’herbaggio di Serino in detto anno non s’affittò, benche si suole affittare docati cento cinquanta, ma lo pascolò Paulo de Bona erario a queltempo con l’animali del Sig, Duca padrone; onde a fede di questa verità si habbiamo firmata la p.nte, de n.re p.prie mani, e sigillata con il sugello. Data in S. Sev.na li 30 9bre 1665.
Michel’Angelo Faraldi sind.co/ Grispino Baccaro sind.co/ Pietro Fran.co delle Pera eletto/ Giuseppe Modio eletto/ Giuseppe Aversa eletto/ Gio. Martino Rossi eletto.”
La case e i conci del salnitro rimarranno in potere del feudatario. Dall’apprezzo del 1688 troviamo tra i corpi feudali: “Possiede l’utile Sig(no)re della d(ett)a Città, e proprio vicino l’ospitale certe grotte, dove si fa il salnitro nel quale sito vi sono le caldare per la composizione di esso, quali grotte importano an(nui) d(oca)ti dieciotto”.[xxi] Anche nel catasto onciario del 1743, tra i corpi feudali del duca della città Pier Mattia Gruther, è annotato l’affitto “delle grotti per far salnitro, che rende ducati annui 14”.[xxii]
Note
[i] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A.
[ii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 3D fasc. 1.
[iii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., vol. IX, ff. 7-8v.
[iv] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, p. 142.
[v] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A.
[vi] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 4A.
[vii] È del novembre 1622, la supplica presentata all’arcivescovo da Gio. Battista Cavallo, il quale “fa intendere a V.S. Ill.ma qualmente gli anni passati li fu rubbata dalla casa di D. Camillo Mingaccio che tenea in affitto una caldara grande di libre quindici incirca et di più ultimamente una gaccia grande, due galline dalla casa, et una sarcina e meza di lino et dalla carcara calce et frasche”. AASS, Fondo Capitolare, cartella 3D fasc. 1.
[viii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 4A.
[ix] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A, f. 61v.
[x] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A, f. 12v.
[xi] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A, f. 19v.
[xii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A, f. 61v.
[xiii] AASS, Fondo Arcivescovile, protocollo Santoro M., 1984, f. 11.
[xiv] AASS, Fondo Capitolare, cartella 3D fasc. 1.
[xv] ASCZ, Busta 313, anno 1667, ff. 91v-92.
[xvi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7009, 1743, f. 65.
[xvii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7009, 1743, f. 96v.
[xviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7009, 1785, f. 20.
[xix] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7009, 1785, f. 21v.
[xx] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 31A, f. 13v.
[xxi] ASN, Commissione liquidatrice del debito pubblico busta 4411.
[xxii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7009, 1743, f. 22.
Creato il 4 Marzo 2015. Ultima modifica: 3 Aprile 2023.