Economia e società a Cutro. L’importanza delle fosse granarie
Della fertilità delle campagne di Cutro, così ne scrisse Barrio “Cum linis non vulgaribus, et agro pascuo tritici, ac aliarum frugum feraci, e fu poco in riguardo al molto, che elleno producono; cioè grani di più sorti, orgi, legumi di tutte maniere, chiappari, fonghi, asparagi, latticini d’ogni animale, fin la mastice; ond’è che la Terra ne vive abbondante, e colla vendita del soverchio ne sforgia”. Alla fine del Seicento il Fiore descriveva quanto importante ed abbondante era la produzione di grano e di altri alimenti a Cutro, tanto da poterne esportare in gran parte.[i] Anche il Marafioti all’inizio del Seicento, descrive la “Terra di Cutro” “popolosa e nobile, molto abbondante ne’ pascoli, e frumenti”.[ii]
L’università di Cutro e l’arcivescovo di Santa Severina
Una supplica dell’università all’arcivescovo di Santa Severina, databile alla seconda metà del Cinquecento, evidenzia l’importanza che aveva per i Cutresi la raccolta e la conservazione del grano. L’arcivescovo di Santa Severina Giulio Antonio Santoro aveva scomunicato nel 1565 il commendatario dell’abbazia di Altilia Mario Barracco ed il barone di Lattarico Alfonso Barracco “quia suos operarios fecit diebus festivis in agris operam dare”.[iii] l’università di Cutro, per non incorrere nella scomunica, chiese invano con suppliche, che i suoi cittadini potessero nei giorni festivi raccogliere il grano dalle massarie e dai mulini, così da conservarlo nelle fosse.
“Ill.mo et R.mo Mon Sig.r
L’Uni(versi)ta della t(er)ra de Cutro Supp(lican)do fa intendere à V. S. I. come tutti li cittadini de essa fanno et fanno fare la maxaria et la magior parte de essi la fanno vicino lo mare dela spiaggia di tacina non sensa grande pericolo tanto deli frumenti et legumi come di garzoni et cossi anco li metitori. Supp.no V. S. I. resti servita concederli per spetial gra (tia) che nel tempo deli giorni festivi che sarrano, possano fare ventoliyare annutare li grani et tutti legumi et anco fare metere, dette le sante messe, et quelli conducere con carri et ogni altra sorta et modo portarle in salvo con metterli dentro le loro fosse et magazeni et dove meglio potranno il che serrà spetial gra(tia).
Observent festa.
Item Supp.no V. S. I. che atteso stanno lontano dale molina et non si può stare sensa magnare et per timore de ladri et malfattori et per sospetto anco de turchi reste servita farle gra(tia) che possano andare et retornare da detti molina con la loro farina et grano che si piglano di dette molina per loro sostentamento tanto nel giorno di festa come de giorno atteso non ponno pernottare in dette molina stante la ditta suspetione di detti giusti respotti et cossi ancora che possano aprire le loro fosse nelli giorni festivi ditte però le S(an)te messe et divini officii dela matina che si soleno celebrare.
Observent festa.
Item Supp.no V. S. I. che se degne permettere che li exattori deli R(eg)i pagamenti fiscali possano exigere le exigentie et taxe imposte per la uni(versi)ta per pagamento dessi neli giorni festivi dopo ditte le S(an)te messe atteso in detti giorni festivi tutti li homini stanno ala terra et nel giorno de lavoro tutti se ne vanno sopra dette loro maxarie et li exattori non li ponno havere et la R(egi)a corte non pò essere pagata al tempo et tanda che deve recepere lo dinaro de essa uni(versi)ta et non sensa suo grandissimo danno et interesse.
Item Supp.no V. S. I. che detta licensa se intenda concessa tanto in tempo de metere li grani come del ricoglere di essi come ancora nel tempo dele sementi quando sementano li grani et legumi appartenenti ad maxaria soltanto (?) li detti degni e giusti respetti il che pur sera gratia spetiale et cossi ancor nel tempo dele vindegne.
Observent festa.
Item Supp.no V. S. I. concederli per spetial gra(tia) che li matrimonii che si fanno et contrattano in dicta terra lo venerabile arcipreite possa far le debbite monitioni et trovando che non vi e impedimento di parentela overo di alcuno vincolo talm(en)te che non potessero contraher matrimonio detto vener(abi)le arcipreite loro possa dar licensa sensa pagamento de contrahere detto matrimonio quali occorreranno et questo per conto che multe poverette donne restano ad maritarse per non haver persona che comparisse inanti V. S. I. ad domandar detta licensa et anco per conto che non hanno de possir pagar lo m(agnifi)co mastrodatti per la dispesa et acti pagano per detto effetto et serra spetialissima gra(tia) et opera de charita ut Deus et.
Iam semper fuit provisum quod nihil exigatur, tam ab actuario quam ab arch(iepisco)pi, quo utro ad incommodum huc mittendi pro licentia fuit provisum per R.mum d.num archiep.um quod vicarius foraneus t(er)rae cutri per clericos coniugatos absque aliq.o salario et dispendio partis mittere habeat ad hanc metropolitanam curiam pro licentia.”[iv]
Il commercio del grano
Il grano della masseria una volta mietuto e raccolto era condotto con cavalcature (“à carrijare il grano della massaria tanto lo pollitro cavallino, quanto la sumera”) a Cutro e conservato nelle “horrea” e nelle “foveae”. “Li grani et maiorchi se per afa cominciano a “incaldirsi et fare pedocchie”, bisogna cernere i grani, levare i pidocchi e la “scagliola”, allargarli, cambiarli di magazzino e farli “palleare” e rinfrescare da “voltaturi” e “palliaturi” ogni tre giorni.[v] Nelle fosse rimaneva fino alla vendita, quando sfossato era condotto al porto di Crotone per essere imbarcato per Napoli ed altri luoghi della Calabria. Questi depositi ricavati nel terreno mettevano le granaglie al sicuro dalla luce, dalla umidità, dal caldo e dal fuoco. Qui esse potevano rimanere per anni all’oscuro, mantenendole al sicuro dal pericolo di fermentare.[vi] La fossa per lo più di forma conica era rivestita di pietra calcarea, chiusa e coperta.
Le fosse se da una parte permettevano una discreta conservazione del cereale, dall’altra erano fonti di numerose frodi. Spesso il grano della nuova raccolta era mescolato con quello rimasto della raccolta precedente, altre volte aveva muffe ed era mescolato con terra e altri cereali. I grani a volte erano punti, bagnati, terrosi, orgiosi, polverosi, pagliosi, acquosi e “coda negre”,[vii] mentre dovevano essere “sani, perfetti, di buona qualità, della prossima passata raccolta … ben conditionati, mercantibili et recettibili”.[viii] Tuttavia in certe annate particolarmente scarse “Cutro e Cotrone celebri granai di frumenti, vennero in necessità di provvedersi del necessario al vivere … la scarsezza delle acque, e il flagello de’ bruchi trassero in tanta abbondanza le lacrime dagli occhi, e’l sangue dalle vene … che venne detto … che le lacrime, e’l sangue … sarebbono stati bastanti all’inaffiar la terra”.[ix] In tali annate qualsiasi tipo di grani anche i più rovinati e maleodoranti erano preziosi e ricercati per saziare il morso della fame.
Le fosse granarie di Cutro
Molte notizie sulle fosse granarie di Cutro le conosciamo da una supplica inviata il 26 novembre 1621 a Prospero Leone, vicario generale dell’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani. I coniugi Giulio Cesare Pisani di Napoli e Maria Caraffa supplicavano il vicario generale di intervenire contro il diacono selvaggio Lupo Antonio d’Ambrosio, conservatore dei grani dell’arcivescovo e della sua mensa nella Terra di Cutro. I coniugi nei mesi di luglio ed agosto del 1618, avevano comprato dalla sede apostolica e suoi subcollettori, una massaria di grani in località Salica. Tale massaria era pervenuta in possesso della sede apostolica dopo la morte e spoglio del vescovo di Isola Andrea Giustiniano. Fatto il seminato “et fatta la scugna et raccoltene tumula di grano mille in circa et altri tumula quattrocento d’altri soi effetti”, il grano fu consegnato dal Pisani al diacono selvaggio. Egli doveva custodirlo et tenerlo in deposito in attesa di ordini. Oltre al grano appartenente al Pisani fu anche consegnato al D’Ambrosio quello della moglie, cioè “altri tumula quattrocento quaranta quattro et docati cinquanta per complimento di tumula di grano cinque cento”, che la Caraffa aveva acquistato al prezzo corrente dell’anno 1620.
Essendo venute per ordine del Pisani alcune barche di Reggio per imbarcare il grano, non si trova più il cereale. L’Ambrosio è andato via da Cutro e si è rifugiato a Cropani ed il grano è scomparso dalle fosse, perchè il diacono selvaggio lo ha venduto per conto proprio. Il Pisani, per far fronte ai suoi obblighi, deve perciò comprare altro grano al prezzo corrente dai mercanti, per poterlo consegnare alla barche di Reggio, che sono in attesa nel porto di Crotone. Per rivalersi del danno sul D’Ambrosio, ne chiede quindi il sequestro dei beni, querelandolo per furto. Il vicario, sentiti alcuni testimoni e fatto il processo nella curia arcivescovile, condanna il D’Ambrosio ed ordina che i suoi beni siano messi all’asta pubblica nella piazza di Cutro fino al valore di ducati 2550.[x]
Alcune testimonianze
Dalle testimonianze raccolte in Cutro dal vicario possiamo ricavare molte notizie sulle fosse granarie. Il 20 dicembre 1621 si presenta davanti al vicario generale dell’arcivescovo di Santa Severina Gorius de Puccio di anni 40 della terra di Cutro. Interrogato, il Gorio dichiara: “sono jacono selvagio sibene fra questo tempo ne fui levato et dopo ne haverà dui anni, che ci son tornato et in questa raccolta prossima passata, come in tutte l’altre io ho fatto duicento calami per la parti mia, et altri tanti ne hanno soluto fare l’altri jaconi selvaggi per ogn’uno, et incalamato le fosse, dove Lup’Antonio d’Ambrosio ha reposto li grani di Mons. Arcivescovo come li soi, et di altri, et Gio. Dom.co Mariella è calato alle fosse, et posto li calami, ch’ogn’uno di noi li portava et gettava dentro le fosse, et in questa raccolta si bene fecimo li calami tutti li jaconi, ne restorno la maggior parte, che si sono reposti dentro il magazeno davanti la casa di Scipione Azzarito et io mi son trovato solo all’incalamarsi alle due fosse davanti il magazeno novo di Lup’Antonio, et queste due fosse viddi impire di grano et non altre, perche steva un poco tramazzato, ma l’altri anni passati s’incalamorno et impirno tanto le dette due fosse, quanto due altre che sono inanti la casa della porta di detto Luc’Antonio et la quinta, ch’è pure inanti la casa ma vicino il muro di Franc(esc)o Ant(onio) et quando si ricolse il grano di Salica c’era di più un’altra fossa grande sopra il muro della casa della Margiocchina che l’impi di d(ett)o grano pervenutoli dalla masseria di Salica che comprò il Sig.r Giulio Pisani et non so se il grano di d(ett)e fosse se l’habbi pigliato, ne se l’havea questo anno …”.
Nello stesso giorno si presenta davanti al vicario Gio. Tomaso Ingazza diacono selvaggio di circa 50 anni della terra di Cutro ed interrogato così risponde: “È stato solito in tempo della raccolta che li jaconi selvagi di dare à Lup’Antonio d’Ambrosio li calami ch’ha voluto per incalamare le fosse, dove ha reposto il grano della Mensa Arcivescovale soi, et di altri, et io l’ho soluto dare trecento calami, et non mi ricordo bene se questo Agosto ce li donai, et so che le fosse, dove ha reposto li grani quest’anno et li altri precedenti, sono le cinque fosse dinanzi la casa sua, due delle quali sono le sue proprie, che l’una è avanti la porta, et l’altra più abascio vicino al cavalcaturo, che saranno di capacità di cento cinquanta tt.a incirca l’una, et due altre sono le mie proprie di capacità una di tt.a cento cinquanta et l’altra di tt.a cento e trenta, che ni è una avanti la porta della casa mia, et una sopra la porta di Gesimundo di Gio. Thomaso di Bona, et un’altra fossa di Francesco Antonio di Bona di capacità di tt.a duicento in mezo alla strada faccia afronte alla porta mia, et queste cinque fosse l’ha viste piene di grano nella prossima passata raccolta”.
La piazza di Cutro
Come risulta dalle testimonianze le fosse granarie di Cutro potevano contenere ciascuna da cento e trenta tomoli a duecento ed il loro valore di mercato era di circa cinque ducati l‘una.[xi]
All’inizio del Seicento nella piazza di Cutro, dove erano situate la chiesa di Santa Caterina, la torre, le botteghe e la casa universale, vi erano almeno sette fosse, cioè cinque davanti al magazzino e alle botteghe e due davanti la casa palatiata di Luc’antonio de Ambrosio. “Due fosse erano davanti le potighe della sua casa e l’altre fosse davanti la casa e sono quattro, due vicino la porta della casa di Luc’Antonio e l’altra inanti Gesimundo di Bona et l’altra inanti Rutilio di Bona”. Una fossa era davanti alla bottega di Scipione Foresta. Un’altra apparteneva ad Ottavio Quercio di capacità di tt.a duicento trenta incirca di grano “avanti la porta della casa et largo di D. Gio. Francesco Terranova, che restò meza di grano vecchio dell’anno passato et l’impi dopo di grano novo per il restante”.
Vi era poi sempre nella piazza un magazzino “nuovo” che confinava con le case del mastro Luca di Riggio e di Giulio Fera. Le quattro botteghe che si affacciavano nella piazza erano sotto la casa palaziata del diacono selvaggio Lup’Antonio d’Ambrosio, che confinava con le case di Gio. Thomaso Ingazza. La casa palatiata di Luca Antonio de Ambrosio è descritta “con le quattro poteghe di abascio, cellaro et gallinaro, puzzo, cortile et camerino di abascio con tre camere di sopra con camerino del furno et corrituro con l’integro suo stato et con il tetto di sopra. Le quattro poteghe sotto la casa palaziata di Lup’Antonio alla piazza di Cutro, “una la tiene allogata Gio. Dom.co Palmeri, l’altra Gio.e Guarino, l’altra Manilio Saccomanno per docati otto l’una, et l’altra Ottavio Pilò per doc.ti sei”.[xii]
Note
[i] Fiore G., Della Calabria Illustrata, I, p. 222.
[ii] Marafioti G., Croniche, p. 211.
[iii] Russo F., Regesto, 21494, 21754.
[iv] AASS, 002A.
[v] ASCz, Not. Protentino G.A., B.118, f.lo 1630, ff. 48 -50; ASCz, Not. A. Varano, B. 336, f.lo 1690, f. 66.
[vi] ASN, Provvisioni e Cautele di Calabria Ultra Vol. 293, f. 15. Ricorso dei cittadini al Tribunale della Regia Camera (1698) “… come due anni sono alcune persone della città di Cosenza fecero compra in d(ett)a città di Cotrone di tt.a 4000 in circa di grani forti e maiorche et non havendo quelli poi rivendute stante che cercavano prezzo esorbitante restarno nelli magazzeni nelli quali per està si ritrovarno riscaldati e punti, quelli posero dentro le fosse dove forno stare sino al mese di novembre dell’anno passato 1697 nel qual tempo perche correva penuria de viveri molti cittadini di d(ett)a citta di Cotrone e suoi casali per non morirse de fame furono necessitati comprare d(ett) o grano così marcito et di pessima qualita con obligo di doverlo pagare al prezzo che sarebbe corso al mese di maggio venturo, et perche essendo venuto il d(ett)o mese di maggio si conobbe che il prezzo de grani ancora era esorbitante …”.
[vii] ASCz, Not. H. F. Protentino, B. 229, F.lo 1657, f. 69. Crotone 29 dicembre 1701: Gio. Battista Barricellis deve vendere del grano di Domenico de Laurentis. Dopo averne venduti “a maggio e giugno prossimi passati buona parte a carlini nove il rotolo ne rimasero da tom(oli) Cento quaranta in circa, che non si potevano vendere a causa il grano era vecchio venuto dalle fosse di Cutro, ed anche havea mal’odore, quali tomoli cento quaranta in circa essendo sopravenuta l’està tanto calorosa patirono più di quello ch’erano patiti” (ASCz. Not. S. Cirrelli, B. 497, f. 81r). Crotone 10 maggio 1719: i bordonari crotonesi Francesco la Nocita, Antonio Zetera, Giov. Paulo Prossimo dichiarano che nel 1716 e 1717, su ordine di Domenico de Laurentiis si recarono nella terra di Cutro per caricare del grano, che doveva consegnarli Domenico Oliverio di Cutro. Arrivati, l’Oliverio “fece aprire una fossa et incominciò a far cavar fuori li grani vi erano dentro, quali grani in vederli essi costituti recusorno caricarli, tanto per la malissima qualità de’ grani senza colore a guisa delli grani di ricardia e fondali di terre, quanto ancora per esser due parti di veccia nera et una di grano” (ASCz. Not. S. Lipari, B. 612, f. 38).
[viii] ASCz, Not. P. Tiriolo, B. 253, f.lo 1670, f. 167. Crotone 18 giugno 1591: Gio. Andrea Pugliese consegna nel porto di Crotone “grano tumola cinque milia, et trecento buoni non punti, non bagnati, ma ben conditionati mercantili, et receptibili, non fetidi, non mescolati con solime di fosse, ne con barde di muri nè di soli seu astrachi di magazeni, nè dell’antepassate annate ma della proxima passata raccolta”, che devono essere imbarcati per conto della città di Napoli sulla nave del patrone raguseo Giovan Francesco Martino (ASCz, Not. G. F. Rigitano, B.49, f. 93).
[ix] Fiore G., Della Calabria Illustata, pp. 289-290.
[x] AASS. 003D, fasc. 2.
[xi] 19 Settembre 1577 sesta Indizione, in Cutro. Horatio Guarano di Rocca Bernarda compera tre fosse da Stefano Scachia di Cutro. Le “tres foveas sitas in ditta terra Cutri jux.a domos ipsius stefani a parte posteriori jux.a foveas mag.ci joannis dominici guarani jux.a domum Donnae caracciolae uxoris scipionis soprani et juxta domum jacobae viduae quondam nardi guercii et alios fines”. Le tre fosse sono acquistate per ducati 14 di carlini d’argento (ASCz, Not. Gio. Lorenzo Quercio, B. 13, f. 25). 17 gennaio 1578 sesta Indizione, in Cutro. Contratto tra il nobile Marco Antonio de Rasis di Cutro e Paulo de Tulello della città di Squillace abitante in Cutro. Il De Rasis possiede “duas domos et duas foveas” dentro la terra di Cutro nel luogo detto “alla rinella jux.a domum petri angeli farago et jux.a domum minici de mayda … et jux.a domum heredum q.dam venerabilis presbiteri dominici dinari et hortum nobilis fabii de bona via publica mediante et jux.a vias publicas ex duobus lateribus et alios fines”. Il De Rasis vende il tutto per ducati 125 al Tulello (ASCz, Not. Gio. Lorenzo Quercio, B. 13, f. 107).
[xii] Santa Severina, 27 settembre 1573. Contratto tra Vespasiano Carrafa e Macteo de Arcurio. Il Carrafa come cessionario a nome di eredità della fu contessa di Santa Severina Dianora de Aquino, possiede come bene burgensatico una “apotecam seu domum terraneam sita dentro la terra di Cutro in loco dicto la piazza p(ubli)ca iux.ta a parte inferiori secondam apotecam ipsius D.ni Vespasiani quam hodie praedicto die vendidit Hieromini Musca et a parte superiori jux.a sextam apotecam ipsius D.ni Vespasiani”. La vende per ducati 25. Seguono altre vendite di botteghe situate nella piazza di Cutro dal Carrafa a Hieronimo Musca (“apotecam seu domum terraneam in loco dicto la piazza” per duc. 25) a Macteo de Arcurio (“quarta apoteca” per ducati 25), ecc. (AASS, Not. Marcello Santoro Vol. IV, ff. 11, 12, 19).
Creato il 11 Aprile 2022. Ultima modifica: 11 Aprile 2022.