Antichi casali della vallata del Neto: Calabrò, Caria e Altilia

Altilia di Santa Severina (KR), paesaggio presso la località “P.te di Neto”.

Una vecchia “Memoria” cerca di ricostruire la fondazione di “Casale Nuovo”. La descrizione, anche se in parte non condividibile, fornisce alcuni elementi per conoscere meglio la storia della vallata del fiume Neto. Vi si legge: “Il Corso di Casale Nuovo era in trasandati secoli una porzione del feudo denominato S. Stefano sito nel territorio della Città di S. S(everi)na, e posseduto dalla Mensa Arcivescovile. La vastezza del su d(et)to feudo esigea doversino fare più sezioni per potersi affittare ad uso di pascolo. Quel tenimento dunque circoscritto, e limitato a Settentrione dal fiume Neto, a Levante dal vallone Gana, a Mezzogiorno dal vallone Iofari ed a ponente dalla Rocca di Nicefaro, poi d(etta) Bernarda, fu denominato Corso di Casale Nuovo non senza ragione. Su le rovine di due villaggi chiamati Corio e Calabrò dall’Imperadore Federigo Secondo fu ordinato ergersi un altro casale, oggi d(ett)o Altilia e propriamente in quel sito, dove da più tempo era stata eretta una chiesa dalla pietà di Policronio vescovo di Gerenzia, sotto il titolo di Calabro Maria, indi decorata di un monastero di Cisterciensi e tuttociò, perchè tanto esigeano i suoi imperiali interessi per la sottoposta miniera del Sale di Nieti. L’accennata chiesa e monastero erano, come lo sono inclusi nell’ambito del su d(ett)o tenimento Mensale ed ivi a canto si piantarono i primi abbituri di quel nascente villaggio. Perciò tutto il comprensorio, come sopra confinato, fu denominato di Casale Nuovo anche per distinguersi da un’altra limitrofa Sezione del sud(ett)o Feudo di S. Stefano, d(ett)a di Casale Vecchio, giacche altro villaggio esistea così chiamato nel luogo, ove oggi dicesi Serre di Muganà Piccolo.”

Il “Fiume Nieti” (2), il “Vallone Gana che imbocca a Nieti” (3), il “Vallone Iofari che si renisce alla Gana” (4), e il confine del “Territorio Di Rocca Bernarda”, in una carta conservata all’Archivio Arcivescovile di Santa Severina.

I confini di “Casale Novo”

Così sono descritti i confini del corso di “Casale Novo”, situato in territorio di Santa Severina, in un atto del 1576, al tempo dell’arcivescovo Francesco Antonio Santoro: “Icomincia dali molina del mag.co Alessandro Infosino loco detto la Noce e saglie per il Vallone della Gane in sù e si gionge col vallone di ligorna e sagliendo per il Vallone di Iofari in sù esce alla Valle della Botte e sale alla Timpa dela Cita e per lo cristone cristone alle Colletelle e la crista Crista esce ad Monte Fiscaldo e Cala per lo Cugno abascio che stà mezzo Vallante et le Fontanelle e dalle Fontanelle descende sopra lo cristone di S. Mar. delli Frati et al timpone piczuto delle Terre di S. Mar. delli Frati e descende lo cristone in giù per mano sinistra fi al deritto della Valle che esce alle Vigne di Pietro Masso et lo Cristone Cristone della gabella del Furno esce alla Scala di Vitriolo e la fossa fossa che esce in piedi Crapari et anda per diritto al Cristone di Armirò e Caria e saglie alle Scallille di Altilia et esce alla lustra di Altilia e descende alla via dello Mercato e la via della Abb. de Altilia et esce al pizzo della Timpa e descende lo cristone abbascio sopra la salina et il Bosco detto Cincifroni e descende alla Colla affacciante alla salina vicino il Fiume di Neto et per il fiume in giù finche si congiunge con lo primo Vallone della Gane vicino li primi molina del mag.co Alessandro infosino primo confine.”[i]

La “Badia di Altilia” (14) e La “Timpa di Altilia” (15), nel particolare di una carta conservata all’Archivio Arcivescovile di Santa Severina.

Il feudo di Casale Novo ed il tenimento di Neto

Ritroveremo parte di questi toponimi nella descrizione dei confini del tenimento di “Neto” (1582), situato in territorio di Roccabernarda, ed appartenente al monastero di Santa Maria di Altilia: “Incominciando dal fiume di Neto dallo luoco proprio chiamato lo Cafaro, la Cabella di S.ta Maria di Molerà vecchio et ascende per le criste criste delli Nerei, et ascende alli terreni delli giuliani per le timpe timpe, et esce e confina alla Cabella della foresta, li frunti frunti de d.a cabella, et esce alli vignali di S.ta Maria de la magna della Rocca bernarda, e li frunti frunti di d.i vignali, esce alli vignali di S.to Nicola della Rocca p(redi)tta, li frunti frunti, et esce alla Cabella de Cuvalari nominata dell’her: del q.m Alfonso masso li frunti frunti et esce alla serra di S.to Andrea de la soprad.a Cabella di d.i her: e li frunti frunti esce alla Cabella de berardino di bona e frati nominata la cabella dello suvero, et esce allo timpone de castelluzzo, et discende lo timpone a bascio termino med.te et esce allo canale de Caria, et ascende lo vallone ad irto de caria confinando con lo castelluzzo, e confina alla serra de crapari, e de costa costa esce alla Cabella chiamata armerò, e le coste coste esce alle scalille, e de costa costa confinando ad armerò verso Levante, et esce allo timpone d’armerò, dallo quale timpone à bascio ferisce alle Terre, e scirarmaco di francesco delle serre, et lo scirarmaco scirarmaco esce allo vignale di S.to Nicola con lo quale confina termino med.te, con lo quale confinando sempre da man destra caminando verso ardavuri ferisce alla medesima Cabella d’ardavuri, e segue la serra a pennino cristone cristone, et esce alle Terre di francesco delle serre, et di battista delle pira, et lo termine termine esce allo cristone di S.ta Anastasia, e da esso Cristone cala a bascio confinando da man destra con li ficusi, e da man manca con la Cabella d’ardavuri, e fere allo termine di S.ta Anastasia, et termino mediante lasciando d.o termine da man destra termino termino ferisce ad un pezzo di terre, e molino d’Alessandro infosino acquaro mediante confinando con d.e Terre ferisce allo [giardino] delle molina dell’Ill.e S.r Gio. baracco, et seguendo la sepala sepala di d.o giardino ferisce allo galice prima dello prato di d.e molina venendo dalla Città di S.ta Severina, et ascendendo lo galice ad irto, et esce allo timpone dell’aira, e da d.a aira descende all’altro galice dello scinetto della cabella d’ardavuri, confinando da man destra de d.o prato, e … delle molina di d.o Ill.re S.r Giovanni, e da d.o scinetto ascende mezze coste, mezze coste, et esce allo timponello delli scini delle mezze coste, et esce all’altro timponello di più sopra sempre confinando da man manca quando se va alla salina de neto, e si vene dalla Città di S.ta Severina confinando de d.e terre di d.o Ill.re S.r Giovanni e ferisce alle timpe, e delle timpe timpe ferisce allo galice dove l’acquicella de femina morta, e de detta acqua ferisce al fiume di Neto e da Neto ad irto conclude allo primo fine sopra la Menta.”[ii]

Comparando i confini del feudo di Casale Novo con quelli del tenimento di Neto, si vede come, per un lungo tratto, il feudo ed il tenimento confinavano tra loro. Il primo era in territorio di Santa Severina, il secondo in quello di Roccabernarda. Il confine che, separava le due entità territoriali, correva lungo le località: “Caprari”, “Armirò”, “Castelluzzo”, “Caria”, “Bosco”, “Scalille di Altilia”, e “fiume Neto”.

Le località “Font.na di Caprara”, “M. Capraro”, “Armirò”, “M. Castelluccio”, “Bosco del Tornese”, “Serre di Altilia”, “Altilia” e “P.te di Neto”, presso l’attuale confine tra il territorio comunale di Santa Severina e quello di Roccabernarda, in un particolare del Foglio N. 570 Petilia Policastro della Carta 1:50000 dell’IGM.

Il monastero di Santa Maria di Calabro poi detto di Santa Maria de Altilia

Il toponimo “Calabro” rimanda ad una antica località situata sopra le famose ed importanti “Saline di Neto”. Il luogo sacro che vi sorse, dedicato alla Vergine Maria, aggiunse, come avvenne in altri casi similari, il nome della località al toponimo agiografico.

Nei documenti medievali troviamo: “De monasterio sanctissimae dei genitricis calabro mariae” (1099), nella concessione del duca Ruggero Borsa. “Monasterio in nomine gloriosissimae dei genitricis semper virginis mariae de calabro” (1115), nella concessione del conte Ruggero II d’Altavilla. Monastero “Calabro Mariae”, nella bolla del 31 agosto 1211 di Innocenzo III.[iii] “Ecclesia Sanctae Mariae de Calabro Mariae”, nei privilegi confermati da Federico II nel dicembre 1225 a Milo, abbate di Santa Maria di Corazzo.[iv] “Monasterium Calabro Mariae” (1228).[v] Monastero di “S. M. de Calabro Mariae Sanctae Severinae Dioecesis ord. Floren.”, in una concessione del tenimento di Alimati, situato in territorio di Roccabernarda, fatta da Errichetta Ruffo, marchesa di Crotone, all’abbate Benedetto de Teriolo, il 25 giugno 1439.[vi]

Verso la metà del Quattrocento e precisamente, dopo la sconfitta di Antonio Centelles da parte di Alfonso d’Aragona, la nomina dell’abbate del monastero fu oggetto di contesa tra il re e il papa. È in questo periodo che, rispetto ai documenti precedenti, nei quali compare con il titolo di “Sanctae Mariae de Calabromarie”, “B.tae Mariae de Calabromarie”, o semplicemente di “Calabromariae”, esso comincia ad essere chiamato S. Maria di Altilia.

Nella conferma dei privilegi concessa da re Alfonso d’Aragona il 26 gennaio 1445 all’abbate Benedetto de Teriolo, si legge ancora: monastero della “beate Marie de calabro maria de provincia Calabrie”.[vii] Troviamo citato per la prima volta, in un documento del 3 novembre 1450, il monastero di S. Maria di Altilia.[viii] Il 15 novembre 1451, Antonio de Genovisio è nominato abbate commendatario del monastero di S. Maria de Altilia.[ix]

Seguono altri documenti, che mostrano questo passaggio: il 21 aprile 1452, il papa Nicolo V nomina Enrico Modio abbate del monastero di “S. Mariae de Calabromaria alias de Antella” (sic), carica rimasta vacante per libera cessione fatta dall’abbate Antonello Barberio nelle mani dell’abbate di San Giovanni in Fiore Geronimo.[x] Seguono documenti con la vecchia denominazione di Santa Maria de Calabro-Maria, a volte seguita da “alias de Altilia”.[xi] Nei privilegi concessi dal principe di Santa Severina Antonio Centelles del 22 aprile 1465, troviamo scritto: “Abbas monasterii Sanctae Mariae de Altilia alias Calabro Mariae”.[xii]

Da quanto detto risulta che il cambiamento da Calabro Mariae ad Altilia, avvenne pochi anni prima della metà del Quattrocento, prima che l’abbazia passasse in commenda. Pertanto, la variazione è da attribuirsi ad uno degli ultimi abbati. Il monastero che, nel passato, pur essendo in diocesi di Santa Severina, aveva mantenuto una certa autonomia territoriale rispetto alla città (infatti nei privilegi troviamo “Calabro Mariae de Provincia Calabriae” o semplicemente “Provinciae Calabriae”), la perse dopo la sconfitta del Centelles.

Ferdinando d’Aragona il 25 febbraio 1466, approvava le richieste fatte dall’università di Santa Severina, tra le quali: che “lo monastero de Calabromaria, e de Santo Petro de Niffi, quali sono fundati intro lo tenimento de la d.a Città”.[xiii] Con tale atto il monastero entrava a far parte integrante del territorio di Santa Severina e quindi della sua giurisdizione.

Alla fine del Quattrocento esso era ormai conosciuto come Santa Maria de Altilia,[xiv] anche se, pure in seguito, specie nei documenti ecclesiastici, troviamo spesso il vecchio nome: “monasterium S.tae Mariae de Altilia als Calabro Mariae ordinis sancti Benedicti S.tae Severinae d.”,[xv] “conventus mon.rii Beatae Mariae de Altilia seu Calabro Maria Cistercien. Ordinis S. Severinae dioc.”,[xvi] “monas.rio di S.ta Maria d’Altilia al.s di Calabromaria Diocesi di S.ta Sever.na”,[xvii] “Sancta Maria de Calabro vulgariter Sancta Maria de Altilia” (1630).

Sigillo di Santa Maria di Altilia.

La gabella di Caria

In un atto del notaio Marcello Santoro del 25 febbraio 1570, leggiamo che la vedova Antonella Trombatore possedeva “unam gabellam dictam de Armirò sitam et positam in tenimento Civitatis S.tae S.nae iux.a serras S.tae Mariae de Altilia, iux.a serra Crapari cursus Casalis Novi, gabellam de Caria et alios si q. sint confines”.[xviii]

In una “Copia della Platea et inventario delli beni della R. Abbatia de Altilia”, relativa all’anno 1575, troviamo che l’abbazia possedeva “unaltra Cabella in detto territorio della rocca bernarda detta Caria confine il bosco di detta abbatia et la cabella de alimati et altri fini quali si sole affittare in massaria per tumula 90 de grano l’anno et quando se vende in herbagio per docati quaranta l’anno”.[xix]

La gabella di Caria ricompare in una successiva copia di platea antica del monastero del 1582. Essa risulta situata nel tenimento di Neto, in territorio di Roccabernarda, tra le località di “Castelluzzo” ed “Armirò”, come risulta dalla confinazione del tenimento, che dalla “cabella dello Suvero, et esce allo timpone de Castelluzzo, et discende lo timpone abascio termino med(ian)te et esce allo canale de Caria, et ascende lo vallone ad irto de Caria confinando con lo Castelluzzo, e confina alla terra de crapari, e de costa costa esce alla alla cabella chiamata Armerò”. In questa platea è descritta composta da “poche terre inculte di salmate vinti incirca”.[xx]

Ancora oggi è ben identificabile la località “Caria” sotto le “Serre di Altilia”. Essa è situata sulla trasversale che congiungeva la vallata del Tacina con quella del Neto, e sulla direttrice che, salendo dalle due vallate e guadando il Neto, risaliva a sinistra del fiume, per Santa Rania, verso la Sila.

Le località “Serre di Altilia”, “M. Castelluccio” e “Armirò”, in un particolare del Foglio N. 570 Petilia Policastro della Carta 1:50000 dell’IGM.

Il casale di Caria

In alcuni privilegi dell’abbazia di Santa Maria di Altilia, più volte ricopiati e modificati durante i secoli, si legge che il 18 ottobre 1149, in Messina, il re Ruggero II confermava all’abbate della badia di Altilia, i privilegi precedentemente concessi, dal duca Ruggero Borsa nel 1099, e dal conte Ruggero nel 1115. Il re, oltre al possesso del tenimento di Sanduca, e alla rendita di dodici once sulla Salina di Neto, aggiungeva anche: “licentia et potestate recipere aquam libere à flumine Neti pro faciendis molendinis, basinducis, et casale Corio cum tenimentis suis, et herbarum pascua libera in tenimento S. Severinae et Rocchae Bernardae pro animalibus eiusdem Monasterii, et pro extraneis qui fuerint cum animalibus praedicti Monasterii.”[xxi]

Il casale di “Caria” e non “Corio”, come erroneamente riporta l’Ughelli, per la sua importanza economica, è richiamato più volte nei privilegi dell’abbazia. Da quelli scritti “in carta pergamena”, fatti ricopiare il 15 luglio 1581 nella terra di Lattarico, su ordine dell’abbate commendatario Tiberio Barracco della città di Cosenza, dal “regius ad contractus judex” Petrus de Petrone e dal notaio Joannes Lauticinus, troviamo sempre il casale di Caria. Ricordiamo, tra tutti, la conferma dei privilegi dell’abbazia concessa dall’imperatore Federico II all’abbate Riccardo nel 1221, che comprende il “Casale Cariae cum omnibus iuribus et pertinentiis suis”.[xxii]

Troviamo un casale denominato Caria anche in una “Charta” dell’ottobre 1213, riguardante l’aggregazione del monastero greco di Calabromaria alla regola florense. In tale atto il protomonastero di San Giovanni in Fiore rivendica a sè anche il possesso di un oliveto del monastero greco, situato sopra la chiesa di Santa Anania. Così sono descritti i confini della località: “Incipit iuxta locum in quo constructa fuisse ostenditur olim basilica nomine S. Basilii, et ascendit per vallem, quae vocatur vallis S. Basilii et ferit in capite muri veteris et vadit ipse murus a parte orientis versus austrum per capita ipsius oleatriti iuxta vallem quam habet ex parte orientis et descendit in ipsam vallem et inde ascendit versus orientem et ita in directum, tendens per latus montis; demum in descensu torrentis unius ferit in vallem que vocatur de Clara, et inde vertens per meridiem descendit verus occidentem per magnam gravam usque ad viam veterem, quae venit a casali Cariae et terram, quae dicitur de Chury Anatholy et inde vertitur et per ipsam viam ex parte occidentis versus aquilonem per super pomarium praedicti S. Ananye et super fontem aquae, qui descendit in illum et habens eamdem ecclesiam a sinistra parte, vadit in directum et ferit in praedictam vallem S. Basilii et concludit in priori loco.”[xxiii]

Di questo antico possesso perduto del monastero Calabromariae, forse rimane traccia in una antica platea, dove è annotato: “Item una chiusa chiamata S.ta Rania confinata sincome la concessione di essa fatta appare la quale sarà qui di sotto inclusa. Nella platea non ci segue altro per chiarezza della detta chiusa di S.ta Rania.”[xxiv]

A causa delle poche notizie risulta difficile stabilire se il casale Caria nominato nel documento, corrisponda a quello situato presso l’abbazia, anche se la “viam veterem, quae venit a casali Cariae”, potrebbe essere effettivamente quella che, lasciato il casale e guadato il Neto, risaliva verso la Sila passando per Santa Rania. È certa, tuttavia, l’esistenza di una località chiamata “Caria” in territorio di Caccuri, situata però ai confini con la Regia Sila, sulla quale ancora nel Cinquecento gravavano numerosi censi dovuti alla mensa monacale di S. Giovanni in Fiore.[xxv] Questa località non è da confondere con il casale di “Caria” in territorio di Roccabernarda. Questo, appartenente all’abbazia di Calobromaria, era situato allo sbocco della vallata che univa la bassa valle del Tacina con quella del Neto, e dominava il passo sul fiume Neto verso i pascoli silani. Il casale era quindi molto importante per il controllo della transumanza del bestiame dalla marina alla Sila, che era uno dei principali fattori dell’economia badiale nell’alto Medioevo.

In seguito, il casale di Caria non compare in alcun altro atto, o documento medievale, nemmeno nei minuziosi elenchi delle terre appartenenti al giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana, compilati all’inizio della dominazione angioina. La scomparsa del casale dovette quindi avvenire nella seconda metà del Duecento, quando i nuovi dominatori si spartirono le terre degli sconfitti, che avevano parteggiato per gli Svevi. Sappiamo che, tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, il monastero di Calabro Maria ebbe in concessione o, meglio, gli fu nuovamente concesso, da Pietro II Ruffo di Calabria conte di Catanzaro, un tenimento che apparteneva alla curia del conte. Questo vasto territorio era situato nelle pertinenze e nel territorio di Rocca Bernarda. Tale privilegio fu confermato dal figlio, il conte Giovanni, che visse nei primi decenni del Trecento ma, in seguito, non fu rinnovato. Il tenimento, sul quale, verso la fine del Cinquecento, sarà fondato un nuovo casale, sarà nuovamente concesso quasi un secolo dopo, dalla marchesa di Crotone Errichetta Ruffo, figlia del marchese di Crotone Nicolò.

Il 25 giugno 1439, la marchesa di Crotone concedeva all’abbate di “S. Maria de Calabro Mariae Sanctae Severinae Dioecesis ord. Floren.”, Benedetto de Teriolo, il tenimento in territorio di Rocca Bernarda, già in passato concesso al monastero dal conte di Catanzaro Petro Ruffo de Calabria, e poi confermato dal figlio il conte Giovanni. Nel descriverne i confini di questo tenimento, il documento così si esprime: “Incipit tenimentum ipsum a loco qui dicitur Asteray a Burga videlicet quae dicitur de Molera, et ascendit per viam ad timpas forestae Stargonis et vadit per timpas ipsas ad locum qui dicitur Cadrum et vadit usque ad forestam ipsius monasterii, et deinde descendit ad Olicas Alimati per cristam S. Andreae et protenditur usque ad Castellucium, descendit usque ad Vallonum Cariae, descendens postmodum usque ad vallonem Salsum usque ad flumen Neti, et deinde vadit per flumen sursus usque ad Magrum per priorem locum qui dicitur Asterey”.[xxvi] Il monastero ebbe il tenimento libero ed immune, solamente con il peso di pagare 15 tari l’anno alla Curia di Rocca Bernarda della marchesa.

La località “Caria” presso Caccuri e l’abitato di Altilia in un particolare del F. 237 1:100.000 “S. Giovanni in Fiore”, 1927.

La fondazione del casale

Sempre nella stessa platea, già precedentemente citata, troviamo che gli incaricati a compilarla dal commendatario Tiberio Barracco: il regio giudice Gio. Petro Terzigno ed il notaio Gio Lucitino, nel maggio 1582, dopo essere stati nella terra di Rocca Bernarda, si spostarono “in casale Cariae”. Qui essi dichiararono che, “in d.o rure Cariae”, vi erano molte rendite e debitori dell’abbazia. Per tale motivo, per mezzo di un servente, fecero convenire innanzi a loro i molti censuari e, presa nota dei loro beni e di ciò che dovevano all’abbate, li obbligarono ad assolvere il pagamento dei relativi censi e le relative rendite, scadenti alla metà di agosto di ogni anno. Il giorno 15 maggio i due compilatori si erano trasferiti “in S.ta Maria de Altilia”.[xxvii]

Si deve a Tiberio Barracco, abbate commendatario dell’abbazia di Santa Maria di Altilia (1575-1604), la fondazione ed il popolamento del casale, entro i confini del territorio e presso l’abbazia. Tiberio Barracco (figlio ed erede di Alfonso, feudatario di Lattarico, morto nel gennaio 1570), era succeduto a Mario Barracco nella commenda dell’abbazia, anche se nei primi anni Settanta, i due compaiono insieme nella gestione dei beni dell’abbazia. Infatti, Tiberio Barracha, “utilis dominus terrae Lattarici”, e Mario Barracca di Cosenza, abbate di S. Maria de Altilia als Calabro Maria, il 28 maggio 1572 vendono quattro mulini situati alla riva del fiume Neto in località Ardavuri, ad Antonio Longo.[xxviii] La nascita del nuovo villaggio avvenne nei primi anni di commenda, con Greci, Albanesi e Schiavoni. Di questo ne siamo certi, in quanto “S. Maria d’Altilia suo casale”, compare tra i luoghi della diocesi di Santa Severina, in una lettera inviata dalla curia arcivescovile di Santa Severina l’ultimo giorno d’Aprile del 1578, per avvisare del prossimo inizio della fiera di Santa Anastasia.

Il nuovo abitato, all’inizio, dovette avere una vita piuttosto precaria, come un po’ tutti i casali sorti in quegli anni con gente proveniente da Levante, con fenomeni di popolamento e di “disabitatione” repentini e frequenti, specie quando erano in arrivo i contatori regi, che dovevano censire e tassare i fuochi. Era infatti frequente, spesso con il tacito consenso del feudatario che, all’avvicinarsi dei funzionari regi, la popolazione, per sfuggire alle tasse, disfacesse “i pagliara”, per poi rifarli, una volta venuto meno il pericolo, nello stesso luogo, o anche in luoghi vicini ma diversi.

È di quegli anni la stesura dei capitoli che, in futuro, avrebbero regolato i rapporti sociali ed economici tra il commendatario dell’abbazia, in qualità di signore e possessore del luogo, ed i vassalli che erano andati, o che sarebbero andati, a coltivare il territorio e ad abitare nel casale dell’abbazia. I capitoli, firmati dalle due parti contraenti, comprendevano le concessioni fatte dall’abbate commendatario e le prestazioni dovute dai vassalli. Tra le concessioni, vi era il pascolo in metà del bosco vicino all’abbazia, la possibilità di seminare in alcuni terreni, l’assegnazione del suolo per poter costruire le case, ecc. In cambio i nuovi coloni si obbligarono a fornire gratis annualmente, una giornata di lavoro con le loro bestie, a versare ogni anno due carlini ed una gallina per “casalinatico”, a pagare la decima sul bestiame e sul raccolto, a dare un carlino per ogni nuovo vitello, a prestare una giornata all’anno per la manutenzione del mulino, dove essi erano obbligati a macinare il loro grano, pagando “la giusta ragione”, ecc. Inoltre, essi promisero di edificare ed avere cura della cappella ed a mantenere il cappellano a loro spese.

Altilia di Santa Severina (KR), l’arme della famiglia Barracco sulla porta della chiesa di S. Maria.

I capitoli

“Capitoli concessi per l’Ill.mo e Rev.mo S.r Tiberio Barracco perpetuo commendatario dell’Abbadia di S.ta Maria d’Altilia alli vassalli che sono venuti e veneranno ad habitare nel territorio e casale di d.a Abbadia. In primis detti vassalli offereno a d. S.r Abbate commendatario di d.a Abbadia anno quolibet per ciascheduno d’essi una giornata a fatigare con loro persone ad elettione di d. Sig.re o di suo leg.mo Procu.re circa il tempo, e quelli che haveranno bovi promettono una giornata d’un paricchio di bovi per uno anno quolibet a seminare o ad altro servitio che loro saranno richiesti. Placet dummodo unusquique serviat eo modo quo poterit unus tantum die vel cum hominis, vel cum aliis animalibus quo habuerit. Item promettono per ciascheduno casalino de loro habitationi carlini due et una gallina anno quolibet. Placet. Item la decima di tutte le bestiami cioè pecore, capre e porci di loro allevi per ciascheduno anno. Placet. Item per ciascheduna vacca anno quolibet ogni vitella o vitello che nasceranno uno carlino. Placet. Item promettono anno quolibet portare et chiudere al bisogno tanto di paglia come di legna per la casa di d.o S.re Abbate o vero procuratore in d.a abba.a. Placet … Item promettono tutti li deritti e raggioni di vassallaggi. Placet. Item supplicano si degni farli immunità a capitolo che volendo fabricare case, o piantare vigni in d.o territorio che quelle possano vendere, alienare et permutare a loro arbitrio a chi loro piacerà. Placet habita prius licentia. Item promettono edificare loro cappella e tenere il loro cappellano a loro spese. Placet. Item promettono per ciascheduno miglaro de vigne che faranno a d.o territorio cioè in la cersa grana quindici per tomolata et a bascio un tari per tumulata. Placet dummodo in designatione vinear. faciendar. interveniat Procurator noster. Item promettono che edificando d. Abbate molino in suo potere pervenendoli a d. territorio convicino essi pr.tti habitanti siano tenuti andare a macinare in d.o molina e pagare la giusta raggione et a tempo che si guasta l’acquaro siano tenuti donarci una giornata per ciascheduno, e cossi un’altra giornata al portare delle mole quando accaderà gratis. Placet. Item supplicano che loro se conceda da detto S.r Abbate che possano con loro bestiame andare a pascolare alla metà del bosco che oggi possede d.o Sig. re d’ogni tempo gratis. Placet dummodo non escludantur animalia nostra et domus nostra. Item supplicano che d.o S.r Abbate loro voglia donare una parte di terreni che siano bastanti per il paricchio in d.o casale qual possano seminare et cultivare et delli frutti perveniendi offereno di pagare di qualsivoglia sorte di vettovaglie che li pervenerà di detti terreni che loro saranno concessi la decima debita. Placet. Item se contentano et promettono essi habitanti di non estraere le vettovaglie da d.o territorio se prima non richiedono a d.o Sig.re o suo procuratore e pagare la raggione della decima. Placet. Item supplicano che si degni concedere per qualsivoglia causa che appartenerà a d. S.r Abbate o sua corte, non voglia far procedere a officio, ma a richiesta de parte. Placet quantum in nobis extat. Item supplicano si degni concederli che possano in d.a parte di bosco fare il bisogno de stigli de massaria, che ci possano far frasche per loro bovi ultra le quercie et ogliastri e trovandone alcuno tagliar quercie o altri alberi fruttiferi in d.o bosco non si possa alterare la pena d’uno ducato pro quolibet vice. Placet. Item che per l’affittare che si farà in d.a Corte non siano tenuti pagare più di diece grana per atto. Placet. Item che l’officiale seu capitano locotenenti et m.o d’atti siano tenuti dare plegeria di stare a sindacato. Placet. Item la supplicano che si degni non ricevere in d.ta habitatione persone ingati o altri et loro promettono se alcuno ce ne accadera rivelarlo all’officiali di sua sig.ria. Placet. Item che loro bovi o altri bestiami essendo trovati querelati alle poss.ni et lavori in lo d. territorio non possano essere astretti ad altro solo che al danno alla parte et un tarì alla corte di pena per ciascheduna persona pro quolibet vice. Placet. Item la supplicano si degni favorirli che non siano aggravati per l’officiali delle terre convicine et esser conosciuti dall’officiali di S. E. Placet quod pro viribus procurabimus. Item la supplicano si degni favorirli che li monaci di d.o monasterio loro voglia vaditare l’olive di d.a abbatia in perpetuo per esse propinque dell’habitatione che loro offereno pagare il medesimo censo che alli monaci l’ha scomputato il S.r abbate passato.procurabimus. Item la supplicano che venendoli detta habitatione in complimento li voglia reformare li predetti capitoli in meglio forma. Iam reformavimus. Io Tiberio Barracco Abbate di S.ta M.a di Altilia mi contento et accetto ut. s.a. Antonio Intornicchia, Matteo Papaianne, Morchia Bansti, Antonio Naso, Pietro Menza, Antonio Schureri, Federico Severi, Andrea Basta Dima Instegneri, Marco Antonio Russo, Jo Maria Lafredi, Luca Butero, Stefano de Richetta, Minico Spupparo, Pietro Cordapoli, Ger.mo Pisano, M.o Aurelio Andisano.”[xxix]

Arme della famiglia Barracco.

Commendatari e feudatari

Se l’abbazia di Calabromaria era in territorio di Santa Severina, era altrettanto “vero che il casale d’Altilia stà posto e situato nel territorio di Rocca Bernarda, e anco verissimo che il sito di detto casale fu dato e donato all’abbadia dalla sopradetta S.ra D. Herichetta Ruffa”, come è scritto nella “Copia della Platea et inventario delli beni della R. Abbatia de Altilia” del 1579.[xxx]

Nel tenimento di Neto, concesso dalla marchesa di Crotone in territorio di Rocca Bernarda, erano incluse le gabelle di “Alimati”, “Neto”, “La Menta”, “Caria”, e “Bosco”. Si sa, inoltre, che gli abitanti del casale di Caria ebbero delle concessioni. La gabella chiamata “Bosco” era divisa in due parti: “parte della quale possedono li P. P. di d(ett)o monasterio per donatione della loro menza ut s.a nello territorio della Città di S.ta Severina (…) per l’altra parte del Bosco nel territorio di Rocca Bernarda lo quale possedono li habitanti del Casale di Caria vassalli di esso Ill.e e Rev.mo S.r Abbate conceduto da d(ett)o Sig.r per loro comuni come appare a d(ett)a concessione e cap(ito)li”,[xxxi] (“L’altra parte del bosco nel territorio di Rocca Bernarda la quale possedono l’habitanti del casale di Caria vassalli di esso Ill.e et R.mo S.r Abbate conceduto da d.o Sig.r per loro comuni come appare a d.a concessione et cap.li li quali saranno qui dietro inclusi di capacità di culte et inculte di salmate vinticinque incirca”).

La gabella “il Bosco”, metà della quale era situata in territorio di Santa Severina e metà in quello di Roccabernarda, era situata tra l’abbazia e la gabella di “Caria”, come risulta dalla descrizione contenuta nella “Platea delle robbe stabili tiene et possede l’abbatia de Santa Maria de Altilia sita e posta nel territorio et diocese di Santa Severina” del 1579: “Tiene et possede uno bosco circumcirca detta Abbatia la metà del quale tenino li R.di monaci di detta Abbatia in conto di lor mensa … et l’altra metà si è dato per comune alli habitanti del casale in ditto loco … tiene unaltra cabella in detto territorio della Rocca Bernarda detta Caria confine il Bosco di detta abbatia et la cabella Alimati”.[xxxii]

Gli abitanti del casale, inoltre, possedevano un oliveto, che confinava con le case del casale, la via pubblica ed il Bosco, col peso di ducati otto l’anno da pagare ai monaci del convento, e molte terre coltivate a vigna, per le quali pagavano un censo annuo all’abbate commendatario.

La località “Bosco del Tornese” in un particolare del Foglio N. 570 Petilia Policastro della Carta 1:50000 dell’IGM.

Da Caria a Santa Maria di Altilia

Non sappiamo l’anno in cui avvenne lo spostamento del casale dalla località Caria in un luogo più vicino all’abbazia che, oltre a determinare il cambio del suo nome, dapprima Santa Maria d’Altilia e poi semplicemente Altilia, favorirà una più stretta dipendenza dall’abbazia. Questo evento è situabile, comunque, negli anni in cui fu commendatario Tiberio Barracco, e precisamente tra il 1582 ed il 1589.

La posizione dell’abbazia rispetto al nuovo casale è così descritta in una relazione della metà del Seicento: “Il Monast(er)o di S.ta M.a di Calabro Mariae seu d’Altilia dell’Ord(i)ne Cisterciense Diocesi di S.ta Severina sta situato sop(r)a un Casale seu villagio habitato da vassalli, li q(ua)li stanno sottoposti al p(redi)tto Monast(er)o, seu Abb(atia), la q(ua)le di p(rese)nte sta comendata all’Em.mo Sig.r Cardinale Spada distante dall’habitatione di d(ett)o Casale per un tiro di pietra inc(irc)a”.[xxxiii]

Il casale mantenne per lungo tempo il nome di Santa Maria di Altilia, anche se, a volte, è chiamato semplicemente Altilia per distinguerlo dal monastero. Nel “Cedulario dei fuochi di Calabria Ultra” del 1604, il casale di Santa Maria di Altilia è tassata per 8 fuochi.[xxxiv] Il 5 giugno 1640 il chierico Francesco Geraldi dichiarava di possedere “una casa grande terranea posta dentro questo casale di Santa Maria d’Altilia confine le case di d.o monastero allo capo della spunta di d.o casale vicino lo canale”.

Il fatto che l’abbazia fosse situata in territorio di Santa Severina, mentre il casale sorgeva in un terreno vicino, ma in territorio di Roccabernarda, determinerà diverse dispute. All’atto del loro insediamento, gli abitanti del casale di Caria si erano impegnati a edificare la loro chiesa ed a mantenere un cappellano a loro spese. La chiesa del casale di Caria però, non risulta nominata in alcun sinodo, essendo quest’ultima divenuta la chiesa dell’abbazia posta in territorio di Santa Severina. La cura delle anime, tuttavia, rimase ad un prete di Roccabernarda, come risulta dalle relazioni degli arcivescovi di Santa Severina.

“Altilia è piccolo casale di sessanta anime, vicino a S. Severina tre miglia. La sua chiesa è la Badia di S. Maria di Altilia di valore di docati mille posseduta dall’Abbate Tiberio Barracca. È monasterio dell’ordine florense, seu cistersiense sottoposto alla Badia Florense, e vi stanno per ordinario sei ò sette monaci. La cura dell’anime è commessa ad un prete della Rocca Bernarda”.[xxxv] “Altilia è piccolo castello di 60 anime. La sua chiesa è l’Abbadia di S. Maria di Altilia di valore D. mille posseduta dallo Abbate [Iacopo] Sanesio. È monasterio dell’Ord.ne Cisterciense e vi stanno per ord(ina)rio sei o sette monaci. La cura delle anime è connessa ad un prete della Rocca Ber(nar)da”. Nel 1630 la chiesa abbaziale e del casale, oltre all’altare maggiore, ne aveva altri tre dedicati a San Bernardo, a Santa Caterina ed a Santa Maria della Grazia. Nel casale non c’è la chiesa parrocchiale per la povertà ed i pochi abitanti, e la cura delle anime è esercitata da un viceparroco scelto dall’ordinario, il quale celebra per i parrocchiani nella chiesa dell’abbazia ed amministra loro i sacramenti.[xxxvi]

Sigillo dell’università di Santa Maria di Altilia.

Nel Seicento

Sappiamo che fin dalla sua origine, il casale ebbe una vita precaria. La popolazione, composta da braccianti, coloni e massari, variava a seconda delle stagioni, delle annate, dei commendatari e di coloro che affittavano, o subaffittavano, i terreni dell’abbazia. Nel 1669 il casale fu tassato per 23 fuochi ma, in quegli stessi anni, una relazione dell’arcivescovo di Santa Severina porta 150 abitanti, mentre l’incaricato del commendatario conta ben 311 “bocche”. Segno tangibile di questo variare della popolazione è l’annotazione che troviamo nella “Platea” compilata al tempo del cardinale Spada, la quale ci informa che esistevano nel casale un uso ed una consuetudine, “che quando un vassallo non habiti in detto casale dove non habbia vignia ma casa sola, la medesima ritorni all’istesso Abbate”. Il compilatore proseguiva facendo presente che, in tal modo, i monaci si erano impossessati di molte case, che sarebbero spettate invece al commendatario.

In una visita del 1630, al tempo dell’arcivescovo di Santa Severina Fausto Caffarelli, si legge che il monastero possedeva “alcune caselle le quali alcune volte s’affittano et alcune volte no secondo che vengano ad habitare genti al detto casale”, mentre, venti anni dopo, i monaci sono divenuti proprietari di “molte case situate nel preditto casale” e di “certe grotte che servino per uso di capre”. Uno dei motivi dell’abbandono del casale da parte della popolazione, era per sfuggire alla tassa sui fuochi ed alle altre tasse: “gl’anni passati scasarno tutti i vassalli affatto d’Altilia per non poter comportar più gl’aggravii di fiscali regii e stetterono assenti per lo spatio di tre o quattro anni, in questo termine si presuppone che li P.ri del monastero s’impatronissero di molte case e giardini, che di presente godono senza poterne mostrare titolo veruno”.[xxxvii]

Un altro motivo riguardava il non volere subire soprusi da coloro che prendevano in fitto le gabelle del monastero. Da un processo tenutosi nel 1678, riguardante il diritto di “spica” della abbazia di Santa Maria di Altilia, si viene a conoscenza che nel 1675, l’abbate commendatario dell’abbazia di Altilia, il cardinale Fabrizio Spada, aveva dato in fitto l’abbazia di Calabro Maria con i suoi territori e prerogative, a Thomaso Mazzaccaro. A causa del comportamento del nuovo affittuario molti abitanti abbandonarono il casale e, sia nel 1676 che nella successiva annata, non presero in fitto a semina la gabella di Neto, che così in parte inselvatichì. La causa fu che il Mazzaccaro introdusse alcuni abusi. Egli pretese di esigere il diritto di “spica”, che mai aveva gravato sulla gabella.[xxxviii]

Così è descritta la situazione religiosa di Altilia in una relazione del 1678, al tempo dell’arcivescovo Muzio Suriano: “Altilia è piccolo casale di anime cento settanta, la sua chiesa, che è il monasterio dell’ordine cisterciense, o badia sotto il titolo di S.ta Maria d’Altilia posseduta dall’E.mo Sig.r Card. Spada, et in detto monasterio per ordinario vi stanno sette, ò otto monaci. Non vi è chiesa parocchiale, ma il viceparrocho solamente amministra il sacramento della penitenza dentro la chiesa del medisimo monasterio e gli altri sacramenti della communione et estrema untione l’amministrano li medesimi Padri, li quali ancora hanno penziero d’accompagnare nella loro chiesa i defonti, non vi in detta chiesa fonte battesimale, ma s’amministra il sacramento del battesimo in questa città di Santa Severina, ò nella terra di Rocca Bernarda per la vicinanza de luoghi.”[xxxix]

Altilia di Santa Severina KR, (foto fornita da Franco Daddo Scarpino).

Commendatari e feudatari

Il principe della Rocca Francesco Filomarino, feudatario di Roccabernarda, che vantava alcuni diritti sul casale, più volte tentò di ampliarli e di impadronirsi di esso. Il casale era soggetto al capitano di Roccabernarda, che era di nomina regia, ma il feudatario impose un suo baglivo ed un suo mastro giurato. L’operazione non andò tuttavia a buon fine, perché il feudatario si trovò di fronte il governatore del casale, inviato da Roma dal commendatario, il cardinale Spada, il quale minacciò la distruzione del casale con la fuga degli abitanti. Il principe della Rocca, “oltre l’haversi tirato a se tutta la giurisditione d’Altilia, andava pensando anco tirarsi il Casale istesso, e farsi Padrone del tutto come posto nel territorio di Rocca Bernarda à se spettante, et in conseguenza dovesse aspettare med(esimamen)te il Casale, e la giurisd(itio)ne insieme a lui ancora, et a tal effetto havea proibito che in Altilia non vi fusse Baglivo, e vi havea fatto il Mastro Giurato ancora preferirli al Cap(ita)no della Rocca Bernarda le cause che accadevano alla giornata … e cosi per mantenere il Jus della Giurisditione del Casale fu dal Governatore d’Altilia levato il Baglivo e Mastro Giurato posti d’ordine del d(ett)o S.r Principe cola prohibitione incontrario del scasam(ent)to di d(ett)o casale et altre pene et incontinente fu fatto il novo baglivo … e medesimamente fu fatto il novo mastro Giurato, e tutti gl’altri officiali appartenenti alla Giustitia et al buon governo dell’università d’Altilia.” Tolti di mezzo gli ufficiali del feudatario, con l’aiuto del governatore gli abitanti del casale si liberarono poi anche della presenza del capitano di Roccabernarda.

Sempre per rimarcare la loro autonomia, gli abitanti di Altilia si rivolsero al feudatario di Roccabernarda e fecero presente che come il nuovo governatore, inviato dal commendatario, era venuto da Roma ad Altilia a sue spese, così doveva essere anche per il nuovo capitano di Roccabernarda che ogni anno si recava nel casale per prendervi possesso: “… si è levato l’abuso che ben spesso fra l’anno ad ogni mutatione il Capitano della Rocca Bernarda andava in Altelia à prender il possesso del Casale come spettante alla sua Giurisd(ition)e per dir meglio andava a levare à quei poveri vassalli cinque o sei scudi per volta in spese, e denari contanti che pretendeva venirli per il suo viatico poi poiche fu ricorso per parte di vassalli dal S.r Principe della Rocca Padrone di d(ett)a terra di Rocca Bernarda acciò non permettesse questo aggravio che ben del continuo andavano patendo ad ogni mutatione di Capitano perche per la Giurisditione de capi che vi haveva sopra il Casale di già n’era stato preso il possesso dall’istesso S.r Principe nel bel principio della sua venuta in Calabria e però quanto era ansufficienza senza far novi aggravii a d(ett)i poveretti vassalli e con l’essempio anco che il presente Governatore d’Altilia era stato inviato pur da Roma dall’Em.mo Card.e Spada Padrone e caminato settimane intiere per l’arrivo in Altelia, e con tutto ciò non ha preteso, ne voluto emulem(en)to di sorte alcuna, ma il capitano della Rocca bisognandoli solamente caminare quattro miglia ne stava in pretendenza d’esser pagato per il suo viatico da sud(ett)i vassalli cinque o sei scudi per volta come si è detto e così si compiacque il medemo S.r Principe di dar ordine al sud(ett)o Capitano anco con corriero a posta, che non si movesse ne innovasse cosa alcuna senza suo avviso e però per all’hora cessò la pretentenza del d(ett)o capitano di andare in Altelia a prendere d(ett)o possesso e perche poi passato molti giorni dopo il medesimo capitano novo motivo d’esser ad Altilia per detto effetto e ne scrisse al sindico che lo stesse attendendo ma il governatore per mantenere la sua giurisditione le fece poi intendere che per li dui capi che il S.r Principe teneva sopra il casale d’altilia sarebbe stato accettato e che in questo caso non si pretendeva darli altro per il suo vitto, che una pagnotta un bechiero di vino et una sarda per esser quatragesima ma se poi havesse altra prethendenza di prender il possesso per altri capi spettanti alla giurisditione dell’Abbatia che non si scomodasse a venirci, perchè oltre che non sarebbe stato accettato haverebbe hautto poco gusto in modoche vedendo il capitano la persistenza de governatore in q.to fatto si mutò di pensiero e non vi fu a prender il possesso per verun capo, e cosi si è lasciato ordine al sindico, che in d(ett)a maniera venghi esequito per l’avvenire, perche altrimente sarebbe andato il tutto a sue spese e danni.”[xl]

Sempre in questi anni (26 maggio 1668), in una lite con il duca di Santa Severina Gio. Andrea Sculco, l’abbate commendatario dell’abbadia di Santa Maria d’Altilia Fabrizio Spada rimarcava il suo potere sul casale, dichiarando che egli possedeva “il casale di S.ta Maria d’Altilia con tutte le sue jurisdittioni sin come l’hanno posseduto tutti l’abbati predecessori da tempo più che memorabile”.

Ritratto del cardinale Fabrizio Spada (da Wikipedia).

La giurisdizione criminale

Dopo la morte del feudatario Francesco Filomarino, principe della Rocca dell’Aspro, lo stato di Cutro fu messo all’asta, e nel 1686 fu venduto a Hippolita Maria Muscettola. In tale atto compare per la prima volta la giurisdizione criminale del casale di Santa Maria d’Altilia, che era inclusa nella mastrodattia della terra di Roccabernarda. “Nel presente Regio Ass(ens)o si vende d.o stato di Cutri et signanter il criminale di S.ta Maria d’Altilia, la quale terra e della Prov(inci)a di Calabria Citra, et non ne appare d’essa Giurisd(ition)e, titulo ne concessione alcuna registrata nelli Regii Quinternioni ne tam poco ass(ens)o di vendita fatta inter partes della medesima Giurisditione oltre de poi, che mai ne sono stati pagati Relevii, ne meno per essa giurisd(ition)e appare andarne tassata persona alcuna in cedulario stante cio non solamente la parte doveria esibire il giusto titulo d’essa Giurisd(ition)e con Privil(egi)o Reale, ma anco se doveria la medesima Giurisd(ition)e tassare in Cedulario e pagare il decorso d’essa tassa per lo passato, et infuturum una con tutti li Relevii duvuti per le morti seguite dell’olim Possessori d’essa et assenzi prestiti sopra le vendite fatte inter partes della Giurisd(ition)e sud(ett)a”. A margine c’è la seguente nota: “Si dice che l’Altilia di Cal.a Citra non si possede ne si pretende ma solamente un certo terr(itori)o sito nelle pert(inenz)e di Roccabernarda che è dell’abbatia d’Altilia.”[xli]

All’inizio del Settecento gli abbati commendatari avevano ormai il pieno potere sul casale, come si ricava dalla testimonianza rilasciata nel gennaio 1716 da Antonio Diana. Il Diana, interrogato circa il territorio dell’abbazia, rispose: “Lo so benissimo perche sono nato cresciuto e vissuto in questo casale sino alla presente mia età, ò avuto più volte la carica di sindico di d(ett)o casale e sono stato erario dell’affittatori di d(ett)a abbatia, ò pratticato per la campagna con occasione di guardar bestiami, e far masserie in d(ett)o territorio, che consiste in più gabelle, come quella della Menta, Neto, Caria, Bosco et altre et la Giurisd(itio)ne e tutta dell’Em.o Sig. Card. Comend(atari)o vi à tenuto sempre, e tiene di presente il suo Gov(ernator)e che l’esercita in tutti li capi civili, misti, e criminali, fuorche di morte seguita, mutilatione di membro che spettano al Sig. Principe della Rocca e suo Gov(ernator)e.”

Arme della famiglia Filomarini: “di verde a tre bande di rosso filettate d’argento” (da bibliotecaestense.beniculturali.it).

Gli abitanti di Altilia nel 1678

“Vassalli e debito loro per vassallaggio devono ogn’anno nel mese d’Agosto al S.r Abb(at)e Comen(data)rio per una giornata di Casalinaggio et una gabella carlini sei per ciasched(un)o in riconoscimento.

Bocche 311.

Angelo di Diano, Damiano di Diano, Jacomo Secipiano, Stefano Ricci, Gio. Vincenzo Magliano, Parma Riccia, Gioseppe Richetta, Gioseppe Ricciuti, Gio. Fra.co Tassitano, Marc’Ant.o Garretti, Prudenza Giouele, Gio. Pietro Garetto, Nardo Schipano, Giuseppe Dattelo, Luige Parmieri, Fran.co Ant.o Dramis, Fran.co Ant. Gabrielle, Gioseppe Pedaci, Ant.o Lufreri, Decio Terzignia, Gio. Amino, Gio. Matteo Ioele, Gio. Batt.a Carbone, Simone Perito, Gio. Cedattoli, Gio. Dom.co Gangale, Pietro Gio. Melosi, Gio. Anella, Leonardo Mangone, Agostino Morgi, Gio. Scavello, Fran.co Gentile, Gio. Dom.co Scoliero, Fran.co Cola, Diego Dattilo, Fran.co Maria Prasco, Gio. Vincenzo Rossi, Jacomo lo Stocco, Diego Dandilo, Gio. Dom.co Barbiero, Paolo Garretti, Dom.co Vetera, Simone Verzino, Benigno Ceraldo, Gio. Paolo Verzino, Girolamo Ioele, Marc’Ant.o Teriotti, Ambrosio Lantano, Cola Teriotti, Maria Narberi, Gio. Dom.co Gelairo, Natale di Diano, Matteo di Ruggiero, Ciccio di Mattia, Paolino Perito, Scipione Maggio, Gio Paolo Capro.[xlii]

Note

[i] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 1A, ff. 90-90v.

[ii] ASCZ, Copia di Platea del 1582, ff. 1-2, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[iii] Ughelli F., Italia Sacra, t. IX, 88.

[iv] BAV, Vat. Lat. 7572, f. 44.

[v] Trinchera F., Syllabus Graecarum Membranarum, Napoli 1865, p. 385.

[vi] Privilegio di Errichetta Ruffo per il tenimento denominato Alimati in Regia Sila, scritto in carta comune, che porta la data de 25 giugno 1439. ASCZ, Atti relativi alla rimessa de’ libri ed altre carte originali appartenenti al monastero de cisterciensi di Santa Maria di Altilia, C.S. – S.E. Cart. 60, fasc. 1333.

[vii] ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 49-50v.

[viii] Russo F., Regesto, II, 11191.

[ix] Russo F., Regesto, II, 11250.

[x] Russo F., Regesto, II, 11264.

[xi] Russo F., Regesto, II, 11268, 12757.

[xii] ASN, Privilegi della abbadia di S.ta Maria de Altilia dello Eminenti.o et Reverend.o cardinal Spada abbate di detta Abbatia in Calabria, Archivio Ruffo di Scilla, inc. 697, ff. 11 sgg.

[xiii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 23A, ff. 99-99v.

[xiv] “Quaterno per … Matheo Palaczo procurator de labbatia de Sancta Maria de Attilia nome et parte … Francisci de Allegro de Neapoli delo introyto de lo a. VIII … de la predicta abbatia. a. 1490.” ASN, Economi Regi, 306, fs. 5.

[xv] ASV, Reg. Vat. 1899, f. 98, a. 1544.

[xvi] ASV, Sec. Brev. 334, f. 122, a. 1603.

[xvii] ASV, Sec. Brev. 402, f. 194, a. 1605.

[xviii] AASS, Notaio Marcello Santoro, Vol. I, f. 35.

[xix] ASCZ, Copia della Platea et inventario delli beni della R. Abbatia de Altilia, 1575, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[xx] ASCZ, Copia di Platea del 1582, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[xxi] Ughelli F., Italia Sacra, t. IX, 478.

[xxii] ASN, Privilegi della Abbadia di S.ta Maria de Altilia dello Eminent.o et Reverend.mo Cardinal Spada Abbate di detta Abbadia in Calabria, Archivio Ruffo di Scilla, inc. 697.

[xxiii] De Leo P., Documenti Florensi, 2001, p. 52.

[xxiv] ASCZ, Copia di Platea del 1582, ff. 4v-5, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[xxv] Maone P., Caccuri Monastica e Feudale, 1969, pp. 32, 44.

[xxvi] Privilegio di Errichetta Ruffo per il tenimento denominato Alimati in Regia Sila, scritto in carta comune, che porta la data de 25 giugno 1439. ASCZ, Atti relativi alla rimessa de’ libri ed altre carte originali appartenenti al monastero de cisterciensi di Santa Maria di Altilia, C.S. – S.E. Cart. 60, fasc. 1333.

[xxvii] ASCZ, Copia di Platea del 1582, f. 18v, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[xxviii] ASCZ, Copia della Platea et inventario delli beni della R. Abbatia de Altilia, 1575, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[xxix] ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[xxx] ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8, f. 22.

[xxxi] ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8, f. 2.

[xxxii] ASCZ, Copia di Platea antica con i pesi de’ vassalli, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8, f. 2v.

[xxxiii] ASV, S. C. Stat. Regul. Relationes, 16, f. 68.

[xxxiv] ASN, Tesorieri e Percettori di Calabria Ultra, fasc. 558/4162, ff. 83-87.

[xxxv] Relatione dello stato della chiesa metropolitana di Santa Severina, S.ctae Severinae 22 martii 1589.

[xxxvi] ASV, Rel Lim. S. Severina, 1675.

[xxxvii] ASCZ, Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8, f. 24v

[xxxviii] ASCZ, Processo per la spica della Badia fatto nel 1678, in Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579 -1782), fasc. 529, 659, B. 8.

[xxxix] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1678.

[xl] ASCZ, Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8, f. 23v.

[xli] ASN, Ref. Quint. Vol. 205, f. 105v.

[xlii] ASCZ, Miscellanea Monastero di S. Maria di Altilia (1579-1782), fasc. 529, 659, B. 8, ff. 25-26v.


Creato il 3 Marzo 2015. Ultima modifica: 12 Agosto 2024.

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