La cattedrale scomparsa di San Leone “graecus”
Leonia e San Leone
Secondo alcuni storici San Leone non sarebbe altro che l’antica Leonia, città situata tra Crotone e Santa Severina, distrutta dagli Arabi verso la metà del secolo IX, al tempo della caduta di Santa Severina. Sempre secondo questi scrittori, la città avrebbe mutato il proprio nome in San Leone con il passaggio alla fede cristiana, conservando per lungo tempo il rito greco.[i]
L’esistenza di questo legame tra Leonia e San Leone rimane tutto da dimostrare, in quanto la scarsa documentazione, non solo non fa luce sull’origine e sulla storia antica di questa, o queste città, ma non ci assicura nemmeno che il piccolo casale di San Leone sia stato elevato a vescovato in età bizantina, come è affermato da altri. Dai documenti analizzati risulta che del vescovato di San Leone non si trova traccia prima del Duecento.
Primi documenti riguardanti il casale
Nel 1278 l’abate di Santa Maria di Corazzo, Pacifico, fa trascrivere in Messina i privilegi dell’abazia, dichiarando che essi erano stati concessi da Federico II nel 1225. Tra i possessi troviamo il “tenimentum Focae in territorio Sanctae Severinae cum omnibus pertinentiis suis, quod sic dividitur : ab oriente est tenimentum Leuc. de Cutrone : ab occidente serrae de Scandalio : ab aquilone tenimentum Sancti Pantaleonis : ab austro tenimentum Leonis”.[ii]
“Sanctus Leo” risulta, poco dopo la conquista angioina, tra le terre del giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana, ed è tassato nel 1276 per 6 once,[iii] con una popolazione presunta di circa 300 abitanti.[iv] Sette anni prima, nel 1269, essendo i casali di Torlocio, S. Leone, Scandale e Labonia, restituiti alla regia curia da Giovanni de Notolio, il re Carlo I d’Angiò ne aveva investito Giovanni di San Felice.[v] In seguito, nel 1280, lo stesso re aveva confermato metà della tassazione di San Leone a Manassario, figlio primogenito del fu Stefano de Ramagio.[vi] Quattro anni dopo, San Leone, assieme a Turlocio e Lutrivio, furono donate al milite Petro de Filyos o Foliuso.[vii]
Nell’annata 1291-1292, re Carlo II d’Angiò, per i servizi ricevuti e per quelli fatti a suo padre, concedeva a Iohanne Vigerio, marito di Beatrice, “filia quondam Iordano de Sancto Felice militis”,[viii] una rendita annua di 32 once d’oro su alcune terre e beni fiscali del regno di Sicilia e, particolarmente, sui beni già detenuti dal “quondam Petrus Follusus miles”, e che, per sua morte, erano ricaduti alla regia corte, consistenti: “in casalibus Torlocii, Sancti Leonis, Lutrurii (sic, ma Lutrivii) et Sancte Venere, sitis in iustitieratu Vallis Gratis et Terre Iordane”.[ix]
Il vescovato di San Leone
Proprio nel Duecento compare il vescovato di San Leone, tra i suffraganei della arcidiocesi di Santa Severina;[x] esso, invece, non è riportato dal Synecdemus, che rimonta alla seconda metà del secolo IX, dalla Notizia III della Diatiposi, che è di poco anteriore all’anno Mille,[xi] dalla bolla di papa Lucio III che, nel 1183, conferma i privilegi del metropolitano di Santa Severina,[xii] e neppure dal Provinciale Vetus (Albini) del 1190 circa.[xiii]
Per la prima volta il vescovo di San Leone appare nelle liste dei partecipanti al IV Concilio Lateranense del novembre 1215,[xiv] e sempre risalente al secolo Tredicesimo, tra l’elenco dei suffraganei dell’arcivescovo di Santa Severina troviamo “S. Leonis grecus”. Nelle collette del 1275-1279 erano collettori presso il vescovato di San Leone, Constancius e Sirletus. Il vescovo in quell’occasione, versò a Constancio per tutti i sei anni che doveva, 12 once d’oro.[xv] Alcuni anni dopo, nel versamento delle decime alla Santa Sede del 1310-1311, il vescovo per sé, per il capitolo ed il clero della sua città e diocesi, ad integrazione delle decime, versò quattro tari.[xvi]
Nelle collette del 1325 compaiono il vescovo di San Leone Iohannes, il prothopapa Theodorus, il dompnus Andreas de Deodato e l’arcidiacono.[xvii] Il vescovato che, ancora alla metà del Trecento, conservava il rito greco, era situato presso la gabella San Leo nel tenimento di Santa Severina, e confinava con la diocesi di Crotone. I suoi vescovi, ancora nel Cinquecento, possedevano la gabella detta “la manca delo episcopo de S. Leo”.[xviii] Essi non vi facevano residenza, ma spesso usavano il loro titolo solo per goderne i privilegi e le rendite.
Spopolamento del casale
Il casale continuò ad esistere durante il Trecento. All’inizio del Quattrocento a causa della povertà, Geminianus, eletto vescovo di San Leone, fu esonerato dal papa Innocenzo VI dal versare la tassa alla Santa Sede.[xix] Al tempo di Antonio Centelles, San Leone fu concesso dal marchese di Crotone al miles “Theseus moranus” di Catanzaro. Il 17 marzo 1441, da Gaeta, re Alfonso d’Aragona gli confermava il possesso del “feudum unum vocatus Sanctus Leo Turriccius (sic, ma Turlutius) et Scandalus”, sito in territorio e distretto di Santa Severina, con tutti i diritti e gli obblighi pertinenti, concessogli da Antonio Ventimiglia, alias Centelles, e da Enrichetta Ruffo di Calabria, marchesa di Crotone e contessa di Catanzaro.[xx]
Troviamo memoria di San Leone spopolato e distrutto, nei privilegi concessi all’università di Santa Severina dal re Alfonso d’Aragona alla fine di novembre 1444, dopo la ribellione del Centelles: “Cutro, Sancto Ioanne Monacho, Santo Mauro, Corio, Sancto Leo, Scandale, Sancto Stefano … non habetano che su disfacti”.[xxi] Il 7 marzo 1445, nel castello di Cosenza, re Alfonso, per successione del nobile “Cubelli de sancto felice”, genitore del nobile “Carolo de sancto felice”, gli confermava il possesso del feudo di Bisignano, e dei “cassalia sancti Leonis torleti et sancti leo motte sandalis in territorio Sancte Severine”, concessi al trisavolo di detto Carolo da re Carlo I d’Angiò, e confermati al padre da re Giacomo di Borbone e dalla regina Giovanna II d’Angiò in Napoli il 23 dicembre 1415.[xxii]
Fu proprio tenendo conto dello spopolamento e dell’abbandono in cui versava la piccola diocesi, che il papa Nicola V tentò di sopprimerne il titolo vescovile. Egli, infatti, il 2 maggio 1449 ordinava al vescovo e al tesoriere di Strongoli, ed al canonico di Bisignano Populo Castagnaro, di sopprimere la chiesa cattedrale di San Leone e di ridurla a parrocchiale, assegnandola al prete Loysio de Pagliaminuta di Castrovillari.[xxiii] La cosa tuttavia non andò in porto, anche se il 10 ottobre 1452, il papa tenterà nuovamente la soppressione, incaricandone l’arcivescovo di Trani ed il vescovo di Strongoli, i quali, dopo aver consultato l’arcivescovo di Santa Severina Antonio Sanguagalo, e assegnata un’annua pensione al vescovo di San Leone Guberto, avrebbero dovuto ridurre la chiesa a parrocchiale dandola in commenda al Pagliaminuta.[xxiv]
Anche se ormai spopolato, San Leone manterrà per tutto il Quattrocento il titolo vescovile.[xxv] La chiesa ed il casale appaiono nella descrizione dei confini di Apriglianello che, in un atto del 1475, confinava: “ad occidente, il vallone che viene dal casale di S. Leone, la chiesa di S. Leone e per la serra di Mezzaricotta, sino alla via pubblica …”.[xxvi] Alla fine del Quattrocento, il feudo di San Leone era ancora in possesso dei San Felice. Giulio e Diomede di S. Felice ne rimarranno spogliati, avendo militato per i Francesi contro re Ferdinando il Cattolico.[xxvii] San Leone con gli altri due feudi disabitati di Torrotio e Scandale, passò nel 1513 in potere del conte di Santa Severina Andrea Carafa,[xxviii] e vi rimase anche se Giulio di San Felice cercò con una lunga vertenza giudiziaria di contestarne il possesso.[xxix] Alla morte di Andrea Carrafa il “corso di S. Leo”, che faceva parte della contea di Santa Severina, passò al nipote Galeotto Carrafa. Alla sua morte, avvenuta nel 1556, la contea passò al figlio Andrea e, quindi, nel 1569, pervenne al figlio di quest’ultimo Vespasiano.[xxx] Ancora pochi anni ed il titolo vescovile sarà soppresso.
La fine del vescovato
Nel 1566 era stato consacrato arcivescovo di Santa Severina Giulio Antonio Santoro, detto il Cardinale di S. Severina. Molto probabilmente, si deve alla sua opera la soppressione di San Leone. Morto nel 1567 il vescovo di San Leone, il portoghese Alvaro Magalenus, il 27 ottobre 1570 il papa Pio V incaricava il vescovo di Umbriatico, Vincenzo Ferrari, di istruire un processo sulle qualità della chiesa di San Leone, che doveva essere soppressa a causa della sua desolazione.
Il 7 novembre dell’anno dopo, su proposta del cardinale Marco Antonio Maffei, era emanato un decreto della concistoriale, il quale stabiliva che la chiesa cattedrale di San Leone, che è solo “aequata” e manca di vescovo, assieme alla dignità episcopale e alle altre prerogative vescovili, fosse soppressa ed estinta, venendo aggregata alla chiesa metropolitana di Santa Severina, la quale ne avrebbe incorporato le giurisdizioni, i beni e le rendite della sua mensa vescovile, che così sarebbero andate a far parte della mensa arcivescovile della metropolitana.[xxxi]
Una bolla del papa Pio V emanata lo stesso giorno 7 novembre 1571, pur recependo la soppressione e l’unione del vescovato di San Leone alla chiesa metropolitana di Santa Severina, imponeva alcune condizioni, e cioè che, a ricordo del vescovato, fosse eretta una grande croce sul luogo dove sorgeva la cattedrale, e che fosse elevata una maestosa cappella intitolata a San Leone nella cattedrale di Santa Anastasia Romana di Santa Severina.
Il 26 agosto 1572, tramite il suo procuratore e vicario generale Don Antonio Grignetta, il Cardinale di Santa Severina ne prendeva reale possesso. In quel giorno il sacerdote Alfonso de Rasis di Santa Severina, arciprete del casale di San Mauro e notaio per autorità apostolica, convocati alcuni testimoni, su richiesta del procuratore del cardinale, andò nell’episcopio di San Leone, posto in tenimento di Santa Severina, presso la gabella di San Leo. Il Grignetta, dopo aver mostrato l’atto di procura e la bolla di soppressione, prese possesso dapprima dell’episcopio in abbandono e ormai ridotto ad un cumulo di macerie, “lapides movendo per ipsum deambulando”, e poi delle proprietà fondiarie del vescovato, costituite da un’unica gabella detta “La manca dello episcopo de S. Leo”. Qui egli strappò l’erba, spezzò alcuni rami e fece tutti quegli atti che mostravano il pieno, reale e pacifico possesso.[xxxii] Il vescovato privo di popolo, di clero e con rendite che non arrivavano a 25 ducati annui, fu così aggregato alla metropolitana di Santa Severina.
La cappella di S. Leone nella cattedrale di Santa Severina
L’arcivescovo di Santa Severina e ora anche vescovo di San Leone, il cardinale Antonio Santoro, si interessò a fare erigere subito nella cattedrale di Santa Severina una cappella dedicata a San Leone Confessore, con l’altare privilegiato in perpetuo, dove verranno celebrate molte messe da parte dei componenti del capitolo.[xxxiii] Così il Nola Molise lo descrive: “Va compreso in questo Arcivescovato il vescovato della Città detta Leone, anticamente Leonia, già destrutta da Saracini; fu poi da Sommi Pontefici aggregato questo Vescovato al detto Arcivescovato, del quale l’Arcivescovo se n’intitola Vescovo hoggi dì ancora. Nell’Arcivescovato è una sontuosa Cappella con il titolo di S. Leone in memoria di detto Vescovato; quale Città di S. Leone era conforme hoggi se ne vedono le reliquie dishabitate, nell’ultimi confini del territorio di S. Severina, e quel di Crotone, via pubblica per il mezzo, vicino le Terre dette Spataro, e Mezzaricotta di Crotone”.[xxxiv]
I ruderi della cattedrale rimasero per molti anni sulla collina ora detta “Galloppà”. Il titolo di vescovo di San Leone è ancora presente negli atti del sinodo di S. Anastasia del 28 maggio 1634, al tempo dell’arcivescovo Fausto Caffarello. Tra i vescovi delle diocesi suffraganee risulta citato anche il “R.mus E.pus Sancti Leonis eiusdem civitatis – non comparuit”.[xxxv]
A ricordo del vescovato rimase la cappella di San Leone, istituita e dotata dal “cardinale di Santa Severina”, l’arcivescovo Antonio Santoro, nella cattedrale di Santa Severina. Nell’altare veniva celebrata una delle tre messe giornaliere, alle quali era obbligato il capitolo. La messa, che veniva celebrata all’alba, era in suffragio delle anime dei defunti.[xxxvi] Vi si celebrava sempre nella stessa cappella, ogni giorno una messa per l’anima del cardinale di Santa Severina ed i chierici del seminario, ogni lunedì mattina vi dicevano l’ufficio dei defunti.[xxxvii]
L’altare era privilegiato in perpetuo, perciò quasi tutte le messe dei testatori come prescritto vi si dovevano celebrare; aveva un sacello in marmo e l’icone. Quest’ultima fu rinnovata nei primi anni di vescovato a spese dell’arcivescovo Antonio Ganini (1763-1795), mentre l’antica fu bruciata.[xxxviii] Alla metà del Settecento esso era il secondo altare nel lato dell’Evangelo; tra l’altare di San Leone e quello di San Giovanni Battista era situata la sacrestia, e nella cappella si apriva una delle due porte che mettevano in comunicazione la cattedrale con il palazzo vescovile.[xxxix] Sempre a ricordo del vescovato, in tutta l’arcidiocesi se ne celebrerà la festa il 20 febbraio di ogni anno, giorno in cui la chiesa festeggia il santo Leone di Catania detto anche “il Meraviglioso” cioè il taumaturgo, presbitero di Ravenna e vescovo di Catania, vissuto tra il 703 e il 787, stimato per la sua erudizione e la sua vita piena di molti simpatici aneddoti, anche se poco credibili.
A ricordo rimane il piccolo fondo di San Leone,[xl] e nella cattedrale di Santa Severina si può visitare la cappella di San Leone. Essa è posta accanto alla sacrestia ed il suo altare è sormontato dalla grande immagine del santo e da iscrizioni, mentre nel pavimento c’è la lastra tombale dell’arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri. L’arcivescovo, consacrato il 30 novembre 1678 e morto il 5 gennaio 1719, fu seppellito in cattedrale nel sacello di San Leone in un distinto sepolcro con le insegne gentilizie della sua famiglia e con una umile iscrizione da lui stesso dettata quando era in vita: “D.O.M/ Carolus Berlingerius/ Archiepiscopus. hujus. Metropolitanae. Ecclesiae/ Sanctae. Severinae/ Hic. Jacet. In sinu. Suae. Dilectae. Sposae”.[xli]
Note
[i] Ughelli F., Italia Sacra, t. IX, 512.
[ii] BAV, Vat. Lat. 7572, f. 46v.
[iii] Minieri Riccio C., Notizie storiche tratte da 62 registri angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, Napoli 1877, pp. 215-216.
[iv] Pardi G., I registri angioini e la popolazione calabrese del 1276, in Archivio storico per le provincie napoletane, Ser. NS, vol 7 (1921), p. 26 sgg.
[v] Dito O., La storia calabrese e la dimora degli ebrei in Calabria dal secolo V alla seconda metà del secolo XVI, 1989, pp. 101-102.
[vi] Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, p. 73.
[vii] “Mandatum pro Petro de Filyos mil. et fam. de tenimentis occupatis et terris suis Gorleti (sic) et Sancti Leonis in Iustitiaratu Calabrie.” Reg. Ang. XXVII (1283-1285), p. 61. “Terra Sancti Lei, Turluti et Lurrurii (sic) de Iustitieratu Vallis Gratis et Terre Iordane de novo donantur Petro de Foliuso.” Reg. Ang. XXVII (1283-1285), p. 194.
[viii] Reg. Ang. XL (1291-1292), p. 25.
[ix] “Pro Iohanne Vigerio. Scriptum est eidem principi et c. Propter grata servltia que Iohannes Vigerius fidelis noster dare memorie domino patri nostro et nobis olim exhibuit prestatque nobis ad presens et prestare poterit in futurum, de annuo redditu unciarum auri triginta duarum assignando sibi in terra et bonis fiscalibus regni nostri Sicilie que de mero nostro demanio non existant, eidem lohanni et suis heredibus ex ipsius corpore legitime descendentibus utriusque sexus natis iam et in antea nascituris in perpetuum gratiose duximus providendum, ita videlicet ut, cum idem Iohannes vel heredes eius terram vel bona huiusmodi valoris annui fuerint de nostra Curia consecuti, illa tenere debeant immediate et in capite a nobis et heredibus nostris sub servitio militari, quo ad rationem de annuis unciis viginti pro uno servitio militari inde continget iuxta usum et consuetudinem dicti regni. In cuius gratie nostre assecutione tantum de bonis que quondam Petrus Follusus miles a Curia nostra tenuit, per obitum eius sine liberis ad nostram Curiam devolutis, que bona consistunt in casalibus Torlocii, Sancti Leonis, Lutrurii et Sancte Venere, sitis in iustitiariatu Vallis Gratis et Terre lordane, dicto Iohanni ac heredibus suis concessimus, unde diete uncie triginta due in meris redditibus sibi proveniant annuatim, retentis tamen inibi in manibus Curie nostre fidelitatibus hominum, feudis et feudotariis in capite, salinis, iuribus marinarie et lignaminum, maritimis et maritimarum custodia, collectis generalibus, pascuis animalium, arenarum, marescallarum et massariarum nostrarum, causis criminalibus, cognitionibus defensarum que sub invocatione nostri nominis hominibus ipsorum bonorum imponentur et contempte fuerint ac penis ipsarum appellationibus ac omnibus et singulis aliis que nobis maioris dominii ratione debentur, sicut ea habemus et habere debemus in aliis locis et partibus dicti regni, salvis etiam iuribus Curie nostre et alterius cuiuscumque; igitur filiationi tue precipimus quatenus de predictis bonis dicto lohanni vel suo pro eo nuntio presentes tibi licteras assignanti tantum facias assignari sub servitio, modo et forma predictis quod de eius redditibus et proventibus diete triginta due uncie annuatim sibi valeant provenire. Quod si forte ad mandata nostra tibi facta vel de mandato viri magnifici domini Roberti comitis Atrebatensis consanguinei nostri carissimi bona ipsa alii fuerint assignata, ut predictus Iohannes diete gratie nostre frustretur, effici volumus tibique precipiendo subiungimus quod in aliis bonis fiscalibus dicti regni, que de mero nostro non sint demanio, dictum valorem annuum sub servitio et forma predictis sibi facias assignari, significaturus nobis per licteras tuas districte et particulariter quid et quantum in predictis vel aliis bonis sibi assignari feceris, ut exinde privilegium nostrum in consueta forma sibi fieri iubeamus. Executioni autem presentium obstare nolumus mandatum nostrum tibi dudum directum, per quod tibi iniUngitur quod non procedas ad assignationem aliquorum bonorum ….. faciendam nisi novum mandatum nostrum ad te inde perveniat, quod assignanda bona distinguat ac etiam per privilegium nostrum sub aurea bulla vel utriusque sigillis nostris, magno scilicet et parvo secreto, de concessione bonorum huiusmodi tibi plenaria fides fiat, cures tamen actente quod, facta dieta Iohanni assignatione presentis provisionis nostre, si qua alia bona idem Iohannes ex concessione dicti comitis a nostra Curia obtinebat, illa ad manus eiusdem Curie facias revocari. Datum Crespey, anno Domini et c., die XIII februarii V indictionis.” Reg. Ang. XL (1291-1292), pp. 23-24.
[x] Russo F., Regesto, I, 200.
[xi] Russo F., Storia della chiesa in Calabria, Rubbettino Ed., 1982, Vol. I, pp. 202-203.
[xii] Scalise G.B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, p. 16.
[xiii] Russo F., Regesto, I, 87.
[xiv] De Leo P., Dalla tarda antichità all’età moderna, in Crotone, storia cultura economia, Rubbettino Ed. 1992, p. 146.
[xv] Russo F., Regesto, I, 173.
[xvi] Russo F., Regesto, I, 242.
[xvii] Russo F., Regesto, I, 336-337.
[xviii] Scalise G.B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, p. 115 sgg.
[xix] Russo F., Regesto, II, 134.
[xx] ACA, Cancillería, Reg. 2905, ff. 74v-75r.
[xxi] Caridi G., Un privilegio inedito di Alfonso il Magnanimo alla città di Santa Severina, Estr. Nuovi annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina, 2 (1984), p. 157.
[xxii] ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 242v-243v.
[xxiii] Russo F., Regesto, II, 319.
[xxiv] Russo F., Regesto, II, 333.
[xxv] Tra le suffraganee dell’arcidiocesi di Santa Severina del 1458, risulta il vescovato “grecum Sancti Leonis”. Russo F., Regesto, II, 362.
[xxvi] Vaccaro A., Kroton, Mit 1965, I, p. 284.
[xxvii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, III, p. 327.
[xxviii] Con Regio Assenso del 18.11.1513 Andrea Carrafa acquisì i feudi spopolati di S. Leone, Torrotio e Scandale. Maone P., San Mauro Marchesato e le sue vicende attraverso i secoli, Mancuso Catanzaro, 1975, p. 106.
[xxix] Caridi G., Chiesa e società in una diocesi meridionale, Falzea Ed. 1997, p. 108.
[xxx] ASN, Ref. Quint. vol. 207, ff. 78-122.
[xxxi] Scalise G.B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, p. 115.
[xxxii] Scalise G.B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, pp.115 sgg.
[xxxiii] ASV, Rel. Lim. S. Severina, 1678.
[xxxiv] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, pp. 88-89.
[xxxv] Scalise G.B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, p. 24.
[xxxvi] “Le messe quotidiane, alle quali è obligato il Capitolo sono tre, la prima si celebra all’alba per l’anima de’ defonti nella cappella di S. Leone eretta dall’istesso Sig.r Cardinale di S. Severina con l’altare privilegiato, e questa nella fine dell’Avvento, e quaresima si canta conventualmente, overo essendo dì di festa si celebra della giornata nella cappella della Beata Vergine”. ASV, Rel. Lim. S. Severina. 1589.
[xxxvii] “… si ne celebra un’altra ogni giorno nella cappella di S. Leone per l’anima del S. Cardinale di S. Severina di b. m. et un’altra si ne canta al med.mo altare per l’anima del med.mo dando per esse la limosina a sufficienza ad d.to capitolo il presente arcivescovo in tre terzi l’anno”. ASV, Rel. Lim. S. Severina. 1603.
[xxxviii] Per le due nuove icone, quella di San Leone e quella della B. V. degli Angeli, l’arcivescovo Ganini spese ducati 30. ASV, Rel. Lim. S. Severina. 1765.
[xxxix] ASV, Rel. Lim. S. Severina. 1765.
[xl] Il fondo San Leone era della mensa arcivescovile di Santa Severina e venne aggiudicato nel settembre 1868 al barone Luigi Berlingieri, che lo comprò dal demanio assieme a molti altri terreni provenienti dall’Asse Ecclesiastico. AVC, Quadro dei fondi comprati dal barone Luigi Berlingieri dal Demanio.
[xli] Scalise G.B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, p. 273.
Creato il 2 Marzo 2015. Ultima modifica: 18 Maggio 2023.
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