Dalla Petelia “metropoli dei Lucani” al vescovato di Strongoli
In ricordo dell’amicizia preziosa di Mimmo Siniscalco di Strongoli.
Secondo il mito tramandato da Diodoro siculo[i] (sec. I a.C.) che rende conto della fondazione di Crotone da parte degli Achei, durante la sua decima fatica, mentre attraversava l’Italia conducendo la mandria dei buoi di Gerione, Ercole uccise erroneamente Crotone, avendolo scambiato per il ladrone Lacinio che tentava di rubargli il bestiame, così, per espiare la sua colpa, gli innalzò una tomba, predicendo che un giorno, sul luogo sarebbe stata fondata la città.
I limiti territoriali dove si ambienta questo gesto sacro compiuto da Ercole che prelude alla fondazione di Crotone, sono evidenziati dallo stesso Diodoro siculo,[ii] che riporta il vaticinio dell’oracolo delfico, in cui si menzionano i luoghi assegnati all’ecista di Crotone Miscello dal volere di Apollo: il “Capo Lacinio”, la “sacra Crimisa” e il “fiume Esaro”, i punti di riferimento fondamentali per orientare anche il più sprovveduto navigante.
Il mito di Filottete
Gli elementi fondanti fissati da questo primo racconto, consentono di comprendere le informazioni provenienti da altre fonti antiche che, relativamente alle vicende conseguenti all’arrivo degli Achei, attraverso il mito di Filottete, ci informano circa i fatti che determinarono il passaggio del territorio posto tra le città di Sibari e Crotone, da una dimensione pastorale e selvaggia ad una civilizzazione che si evolverà nella direzione segnata dalle due polis.
Riassumendo la sua epopea, troviamo che inizialmente, le vicende dell’eroe sono messe in relazione alla morte di Ercole, quando quest’ultimo passò dalla condizione di mortale a quella di divinità immortale. Filottete, infatti, raccogliendo la richiesta di Ercole morente, lo aiutò nell’ultimo ed estremo episodio della sua vita eroica, dando fuoco alla pira che serviva a cremare il suo corpo e ricevendo in cambio le frecce e il suo famoso arco.
Il possesso di questa eredità fa di Filottete una figura principale nel panorama degli eroi Achei che parteciparono alla Guerra di Troia. Comandante dei Tessali che partirono per questa spedizione, durante il viaggio, a causa di una ferita al piede che non trovava guarigione, egli fu abbandonato dai compagni a Lemno: “Famoso arciero li reggea da prima / Filottete; ma questi egro d’acuti / spasmi ora giace nella sacra Lenno, / ove da tetra di pestifer angue / piaga offeso gli Achei l’abbandonaro. / Ma dell’afflitto eroe gl’ingrati Argivi / Ricorderansi, e in breve.”[iii]
Qui però, ad un certo punto, tornò a riprenderlo Ulisse perché, secondo la profezia, Troia non sarebbe caduta senza l’intervento dell’arco di Ercole che era in suo possesso. Ritornato in patria ma rifiutato dai suoi, l’epilogo del mito lo vede giungere in Italia, dove erige un tempio ad Apollo consacrandovi le armi di Ercole, fonda alcune città e muore, dopo aver combattuto gli Ausoni al fianco dei Rodii.
Per quanto riguarda quest’ultima fase, i luoghi interessati dalle vicende narrate dal mito di Filottete compaiono già nell’Alessandra di Licofrone, opera che si fa risalire al sec. III a.C. in cui, comunque, l’autore inserisce molti riferimenti più antichi, dove troviamo menzionati il fiume “Esaro”, la “piccola città” di “Crimisa”, i fiumi “Crati” e “Nieto”, e “Macalla”, luogo dove sarebbe stata eretta la tomba dell’eroe,[iv] mentre lo Pseudo Aristotele la indica nei pressi del fiume Sibari, ricordando la fondazione ad opera di Filottete di Macalla (Μύκαλλα), a 120 stadi da Crotone, la consacrazione delle frecce di Eracle nel tempio di Apollo Aleo, e la sottrazione di queste frecce compiuta dai Crotoniati che le portarono nel loro tempio di Apollo.[v]
Lucani e Brettii
Rispetto a questa situazione remota fissata dal mito, informazioni più circostanziate circa l’evoluzione storica degli abitanti di questi luoghi, ci sono proposte dal geografo Strabone (nato circa il 64/63 a.C. e morto intorno al 24 d.C.), il quale, tenendo sempre presente che “chi si propone di trattare la geografia della terra deve esporre sia le cose come sono attualmente, sia, in qualche misura, anche come furono prima, soprattutto quando si tratta di cose illustri”, ci descrive le località abitate dai Lucani sulla costa ionica dell’Italia meridionale.
Attraverso la sua ricostruzione, sappiamo così che la loro presenza qui non era così antica come sulla costa tirrenica, e che prima che i Greci assumessero il controllo del golfo di Taranto, questi luoghi erano appartenuti a “Conî ed Enotrî”. I Sanniti, scacciati questi ultimi, avevano poi insediato in questi territori alcuni Lucani[vi]. Strabone, infatti, nella sua ricostruzione relativa alle vicende di questi antichi popoli, faceva discendere i Brettii (Bρέττιοι) dai Lucani e questi ultimi dai Sanniti.[vii]
Al tempo di Strabone però, in conseguenza della loro romanizzazione, di tali antiche realtà succedutesi nel tempo rimaneva ben poco. Escludendo infatti le poche città greche (Taranto, Reggio e Napoli), il resto dei luoghi risultava abitato parte dai Lucani e dai Brettii, parte dai Campani, “per quanto costoro li occupino solo a parole, perché in realtà li controllano i Romani: e infatti questi popoli sono divenuti Romani.”.
Soffermandosi sulla presenza dei Lucani che abitavano l’entroterra nella zona posta all’interno del golfo di Taranto, Strabone evidenzia poi la scomparsa dei loro caratteri distintivi e la scarsa importanza dei loro insediamenti, sottolineando che “costoro come i Brettî e i Sanniti loro progenitori, soggiacquero a tante sventure che è oggi difficile persino distinguere i loro insediamenti. Infatti di ciascuno di questi popoli non sopravvive più nessuna organizzazione politica comune e i loro usi particolari, per quel che concerne la lingua, il modo di armarsi, e di vestirsi e altre cose di questo genere, sono completamente scomparsi; d’altra parte considerati separatamente e in dettaglio, i loro insediamenti sono privi di ogni importanza.”[viii].
Nella sue esposizione relativa a “questi popoli che abitano nell’interno, vale a dire i Lucani e i loro vicini Sanniti”, Strabone individua in primo luogo “Petelia” (Πετηλία) ma, a differenza di Tito Livio (59-17 a.C.) che evidenzia più volte l’appartenenza di questa città al territorio dei Brettii,[ix] e di Appiano (sec. II d.C.) che, riferendo dei fatti avvenuti al tempo della seconda guerra punica, dice che “Petelia”, non era ormai più occupata dai “Petilini”, espulsi da Annibale, ma dai Brettii,[x] afferma invece che la città era “considerata metropoli dei Lucani”, popolazione che abitava “nell’interno”, ed era ancora “abbastanza abitata”. L’autore afferma poi che essa occupava “una posizione ben salda”, già precedentemente munita dai Sanniti, “press’a poco” negli “stessi luoghi” in cui si trovava “l’antica Crimisa” e che, analogamente a quest’ultima, era stata fondata da Filottete.
La fondazione di “Petelia” ad opera di Filottete è ricordata anche da Virgilio (70 a.C.-19 a.C.),[xi] ed è riportata più tardi come fatto notorio da Solino (sec. III-IV d.C.): “Notum est a Philoctete Petiliam constitutam”,[xii] mentre un passo di Silio Italico indica la città come il luogo in cui si conservavano le frecce di Eracle (fine del sec. I d.C.).[xiii]
Coerentemente con la sue affermazioni precedenti, che cercano di ricostruire un orizzonte originario, citando Apollodoro, Strabone efferma poi che, anticamente, “in questi stessi luoghi”, ma “un po’ all’interno” rispetto al promontorio di Crimisa, Filottete aveva fondato anche “la città di Chone, dalla quale, quelli che abitano li, presero il nome di Coni.”[xiv]
La “metropoli”
Sulla scorta di questi racconti, possiamo quindi affermare che, prima della fondazione di Sibari e Crotone, quando non è possibile neanche immaginare l’esistenza di realtà urbane più antiche, il popolamento del territorio, ancora privo di centri abitati di rilievo in età augustea come afferma Strabone, doveva essere caratterizzato da una civiltà pre-urbana legata all’economia silvo-pastorale di quest’area interna.
A tale assetto fa riferimento l’affermazione di Strabone che descrive la Petelia dei suoi tempi in qualità di “metropoli”, termine riferibile ad un centro urbano, sede di un potere politico esercitato nei confronti d’insediamenti d’ordine gerarchicamente inferiore, e riguardante la gestione di una “organizzazione politica comune” di un territorio, come dice lo stesso Strabone. Assetto che trova riscontri attraverso l’indagine archeologica[xv] e i documenti,[xvi] e che ha confronto con la formazione della “metropoli” di Cosenza, avviatasi con la costituzione della confederazione dei Brettii, la cui struttura urbana delocalizzata in casali perdurerà durante il Medioevo, come nel caso dell’altro centro interno di Taverna.
A tale proposito bisogna tener presente che le fonti, pur facendo esplicita menzione di città (Crimisa, Macalla, Chone), ricorrono all’uso di questo termine perché cercano di rappresentare con un nome la realtà precedente a quella urbana, allo scopo di affermare uno svolgimento dei fatti storici che attribuisce agli Achei il ruolo di assoluti dominatori dei luoghi.
Il lungo processo che, invece, condusse le popolazioni autoctone verso una dimensione politica tale da entrare in competizione con le città greche, dimostra di avere avuto una svolta importante attorno alla metà del sec. IV a.C, al tempo in cui, secondo Strabone, i “Brettî” avevano assunto il loro nome affrancandosi dai Lucani: “infatti questi ultimi chiamano «Brettî» i ribelli. Questi Brettî dunque, che prima erano dediti alla pastorizia al servizio dei Lucani, essendo poi divenuti liberi per l’indulgenza dei loro padroni, si ribellarono, a quanto dicono, quando Dione fece guerra a Dionisio e sollevò tutti questi popoli gli uni contro gli altri.”[xvii] (357 a.C.)
Il racconto di Pompeo Trogo riassunto da Giustino, inoltre, ci informa che i pastori del luogo avevano costituito la confederazione dei “Bruttii” assumendo come etnico il nome di una donna (“Bruttiam mulierem”) intervenuta in loro favore in questa occasione,[xviii] fatto che avrebbe condotto così alla fondazione di “Consentia, metropoli dei Brettî”.[xix]
La città romana
Risalgono invece al sec. III a.C., quando si data, seppure con incertezza, l’inizio della monetazione di Petelia,[xx] le prime notizie che documentano l’emergere di una popolazione strutturata secondo un modello urbano, durante i fatti della seconda guerra punica (218-202 a.C.) quando, nell’autunno del 216 a.C., dopo la sconfitta di Canne (2 agosto 216 a.C.), a eccezione di Petelia e Cosenza, i Brettii abbandonarono l’alleanza con Roma passando dalla parte di Annibale.
Lo storico romano Tito Livio ci informa che, avendo richiesto invano l’aiuto di Roma, i “Petelinos” dovettero sostenere l’assedio di Brettii e Cartaginesi[xxi] comandati da Imilcone, luogotenente di Annone, il quale era stato posto da Annibale al comando del Bruzio e della Lucania. La città resistette eroicamente per undici mesi e alla fine fu presa solo per fame,[xxii] così “ad Annibale toccò prendere non Petelia, ma il sepolcro della fedeltà petelina.”[xxiii] Poco dopo cadeva anche Cosenza.[xxiv]
Un comportamento da parte degli “optimates” di Petelia che, analogamente a quello tenuto dalle élites al potere nelle città greche, appare giustificato alla luce del ruolo che la città assumerà durante la successiva dominazione romana, quando si distinguerà rispetto ad altri centri vicini, ancora essenzialmente legati all’attività pastorale, per la sua posizione di controllo e imbarco delle risorse che, dalla Sila e dal suo territorio, attraverso la vallata del Neto, fluivano per essere esportate.
Una felice posizione
L’esistenza di una rocca munita in condizioni da poter sostenere un assedio, evidenziata attraverso l’episodio della seconda guerra punica, che appare funzionale a sottolineare il ruolo dell’élite cittadina di Petelia alleata dei Romani, trova conferme in un altro episodio di questo conflitto quando, nel 208 a.C., questi ultimi cercarono di impossessarsi di Locri, approfittando del fatto che l’esercito di Annibale era acquartierato lontano dalla regione.
In questa occasione, mentre Claudio Flamine da Taranto marciava con l’esercito lungo la via costiera ionica (“ab Tarento viam”), le navi di Lucio Cincio Alimento salpavano per dirigersi contro Locri. Annibale, venuto a conoscenza del piano terrestre-navale dei Romani, inviò un corpo di 5.000 fanti a tendere un agguato “sub tumulo Petiliae”, che avendo sorpreso l’esercito romano in marcia riuscì a sbaragliarlo.[xxv]
Dopo la definitiva sconfitta di Annibale, la collocazione di Petelia (Πετελίαι) lungo la via costiera ionica è evidenziata in una lista epigrafica che si fa risalire entro il primo quarto del sec. II a.C., quando la città risulta tra le tappe toccate dai theoroi di Delfi, passati da Taranto ed Eraclea, e in proseguimento per Locri fino a Reggio,[xxvi] mentre confermano l’importanza strategica del luogo nell’ambito dei collegamenti lungo la costa ionica e in correlazione all’attraversamento dell’istmo tirrenico, alcune vicende avvenute successivamente nel Bruzio durante la rivolta di Spartaco (73/71 a.C.).
Avendo tentato invano di passare lo Stretto per andare in Sicilia, Spartaco ruppe l’accerchiamento, riuscendo a passare il fossato che i Romani, al comando di Marco Licinio Crasso, avevano scavato tra il mare Jonio e il Tirreno. Successivamente l’esercito servile si rifugiò sulle colline di Petelia, dove Spartaco sconfisse l’esercito romano comandato da Tremellio Scrofa, questore di Crasso. Abbandonata questa posizione favorevole, l’esercito servile si diresse in Lucania, dove fu definitivamente sconfitto.[xxvii]
Posta da Tolomeo (sec. II d.C.) tra le città interne della Magna Grecia (Mεγάλης Ἑλλάδος μεσόγειοι),[xxviii] la posizione interna della città di “Petelia” e del monte “Clibanus”, rispetto al “golfo” che iniziava dal promontorio Lacinio, in cui s’incontravano nell’ordine: la città di Crotone, il fiume Neto, e la città di Thurii, è riferita da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.),[xxix] nella stessa sequenza che troviamo in seguito anche nella carta medievale detta “Tabula Peutingeriana”, che si ritiene copia di un originale romano databile circa al 300 d.C.,[xxx] nella “Cosmographia” dell’Anonimo di Ravenna (sec. VII d.C.)[xxxi] e ancora, nella “Guidonis Geographica” (sec. XII d.C.).[xxxii]
La Petelia medievale
A queste testimonianze che si riferiscono alla città durante l’Alto Medioevo, si aggiungono alcune dubbie notizie risalenti al sec. X, che non trovano riscontro attraverso le fonti più certe del periodo,[xxxiii] ma che cominciano ad emergere in un manoscritto attribuito ad Arnolfo, intitolato “Chronicon Saracenico-Calabrum ab anno 903 usque ad annum 965”, pubblicato per la prima volta dal Tafuri alla metà del Settecento[xxxiv] che, relativamente agli anni 933-934, riporta: “933. Saklabius habens sub sua dittione Saracenos volvit ampliare suum dominium, obsedi, & submisit Tabernum, Simmarum, Belcastrum, Petilium interfecit Cives et alios captivos in Aphricam misit. 934. Calabri noctis tempore intraverunt in Simmaro, occiderun omnes Saracenos, iverunt Belcastro, & omnia gladio, & igne, quae poterant consumens, loca praeter Regium, Catanzarium, & Cusentiam, in quibus ipsi consederant auferrent.”[xxxv]
Queste notizie furono riprese un secolo dopo dal Grimaldi[xxxvi] e successivamente, dal Moscato[xxxvii] e dal Vaccaro, che riporta anche quanto riferisce il Pochettino relativamente all’anno 950: “Hassan-ibn-Alì nel luglio del 950 respingeva i Greci dalla Calabria oltre il Crati, occupava Cassano e Gerace, e presso questa città batteva i Greci tornati alla riscossa. Indi dilagava su Tropea, Petilia, Mileto, e Cosenza.”[xxxviii] Ancora il Vaccaro ci informa di un indizio individuato presso il “R. Archivio di Napoli”, il quale gli lasciava ritenere che l’antico nome della città fosse stato mantenuto anche durante i secoli dell’Età di Mezzo.[xxxix]
Una evidente testimonianza dell’esistenza di Petelia durante il periodo medievale ci proviene, invece, verso la metà del sec. XI, attraverso una platea o “brébion” della metropolia di Reggio, ovvero di “Calabria” (Καλαβρίας) dove, tra i numerosi possedimenti di quest’ultima, sono elencati gli abitati o casali (“chôria”) di “Salina” (Xωρίoν Ἡ Σαλίνα) e di “Ptéléa” (Xωρίoν Ἡ Πτελέα), entrambi appartenenti interamente alla metropolia ed esenti, nonché il monastero di Santa Marina (“Hagia Marina”), con i suoi beni fondiari a “Ptéléa” e a La Melissa (“Ta Mélissa”).[xl]
Strongoli
L’esistenza di Strongoli (’.st.runǵ.lî), abitato posto a sei miglia dal mare, che in atti del sec. XVI è ancora detto “civ.tem petiliae”,[xli] comincia ad essere documentata verso la metà del sec. XII, quando il geografo arabo Edrisi ne fa menzione più volte, in relazione alle distanze che lo separavano da Santa Severina,[xlii] Crotone e Umbriatico,[xliii] e al percorso del fiume Neto: “Il nahr nîtû (fiume Neto) scende da ’aṣṣîlâ (la Sila) a destra di ǵ.runtîah (Cerenzia) e si dirige verso levante. A sinistra di questa città esce un altro fiume (fiume Lese) che si unisce col precedente nel luogo chiamato ’al mallâhah (“la Salina” in oggi Salina di Altilia), distante da ǵ.runtîah, che dicesi pur ǵ.ransîah (Cerenzia), nove miglia. Il Neto quindi continua il suo corso fino a che passa sotto śant samîrî (Santa Severina) lontano un miglio e mezzo, e proseguendo tra qutrûnî (Cotrone) e ’.str.nǵ.lî (Strongoli) mette in mare.”[xliv]
La comparsa di questo nuovo toponimo: Strongoli oppure “Strumbulo” (1178),[xlv] che, secondo la testimonianza dei suoi vescovi, si riferisce alla forma rotonda del monte su cui sorgeva l’abitato (“Strongylon, quod est mons in girum elatus”),[xlvi] può essere messa in relazione all’erezione del suo vescovato dopo la conquista normanna che, rispetto al periodo precedente, quando Petelia costituiva un possedimento della metropolia di Reggio, comportò la definizione di un nuovo territorio diocesano autonomo coincidente con quello della città di Strongoli che, secondo i nuovi criteri feudali, andò a dipendere dalla metropolia di Santa Severina.
Un vescovato chimerico
Il vescovo di Strongoli che non compare al tempo dell’erezione della metropolia di Reggio, esistente “nei primi del secolo IX”,[xlvii] da cui dipendevano tutte le sedi vescovili della Calabria, e neppure in occasione della costituzione della metropolia di Santa Severina, al tempo di Leone VI il Filosofo (886-911),[xlviii] compare per la prima volta nel Provinciale vetus di Albino, che risale alla fine del sec. XII: “Metropolis Sancte Severine hos habet suffraganeos episcopos: Hembriacensem, Stroniensem, Genecocastrensem, Cotroniensem, Gerentinum”.[xlix]
In questo periodo che segna l’inizio della cronotassi ricostruita dall’Ughelli,[l] è riportato che un vescovo di Strongoli sarebbe stato presente al Concilio nella Chiesa Lateranense (marzo 1179)[li] mentre la notizia dell’esistenza di un vescovo “Giropolensem” risulta nel falso privilegio di Lucio III (1183) conservato nell’archivio arcivescovile di Santa Severina,[lii] a cui fa eco una affermazione del Barrio riportata dal Fiore: “Soggionse Barrio averlo ritrovato scritto Tiropoli, se non più tosto Tiriopoli”.[liii]
La creazione tarda del vescovo di Strongoli, che spiega il ricorso ai falsi che menzionano questo vescovato chimerico, è segnalata anche dal titolo assunto dalla sua cattedrale, dedicata ai SS. Pietro e Paolo, circostanza che pone in evidenza come la sua consacrazione si realizzò al tempo in cui il suo vescovo passò all’ubbidienza papale che, nell’ambito dell’arcidiocesi, come evidenziano le notizie relative all’arcivescovo di Santa Severina (1235),[liv] coincide con la presenza degli Svevi sul trono di Sicilia.
Note
[i] Diodoro siculo, IV, 24.
[ii] Diodoro siculo, VIII, 17.
[iii] Omero, Iliade lib. II, vv. 965-971.
[iv] “E le correnti dell’Esaro e Crimisa, piccola città d’Enotria, accoglieranno colui, che è morso dal serpente e che spegne la fiaccola fatale – che già la stessa Pallade Trombettiera colle sue mani dirigerà la punta del dardo scoccando l’arco dei Maioti – colui, che un giorno sulle sponde del Dira, per aver bruciato il fiero leone, si armò le mani del micidiale arco scita che scaglia inevitabili dardi. Egli cadrà in battaglia, e il Crati ne scorgerà la tomba verso il luogo in cui sorge il tempio del nume Aleo di Patara, dove il Nieto scarica le sue acque in mare; giacchè a lui toglieranno la vita gli Achei d’Ausonia quando muoverà in aiuto dei condottieri Lindi, cui lungi dal Termidro e dalle montagne di Carpato sospingerà errabondi la forte bufera di tramontana, destinati a fermarsi, stranieri, nella terra di altra gente. E là, in Macalla, innalzeranno intorno alla sua tomba un grande tempio quei del luogo e con libazioni e sacrifici di bovi lo onoreranno eternamente come dio.” Ciaceri E., La Alessandra di Licofrone, 1901, vv. 911-929, pp. 105-106.
[v] “Παρὰ δὲ τοῖς Συβαρίταις λέγεται Φιλοκτήτην τιμᾶσθαι. κατοικῆσαι γὰρ αὐτὸν ἐκ Τροίας ἀνακομισθέντα τὰ καλούμενα Μύκαλλα τῆς Κροτωνιάτιδος, ἅ φασιν ἀπέχειν ἑκατὸν εἴκοσι σταδίων, καὶ ἀναθεῖναι ἱστοροῦσι τὰ τόξα τὰ Ἡράκλεια αὐτὸν εἰς τὸ τοῦ Ἀπόλλωνος τοῦ ἁλίου. ἐκεῖθεν δέ φασι τοὺς Κροτωνιάτας κατὰ τὴν ἐπικράτειαν ἀναθεῖναι αὐτὰ εἰς τὸ Ἀπολλώνιον τὸ παρ᾽ αὑτοῖς. λέγεται δὲ καὶ τελευτήσαντα ἐκεῖ κεῖσθαι αὐτὸν παρὰ τὸν ποταμὸν τὸν Σύβαριν, βοηθήσαντα Ῥοδίοις τοῖς μετὰ Τληπολέμου εἰς τοὺς ἐκεῖ τόπους ἀπενεχθεῖσι καὶ μάχην συνάψασι πρὸς τοὺς ἐνοικοῦντας τῶν βαρβάρων ἐκείνην τὴν χώραν.” De mirabilibus auscultationibus, 107.
[vi] Strabone, Geografia VI, 1, 2.
[vii] Strabone, Geografia V, 3, 1; “I Lucani sono di stirpe sannitica” (Strabone, Geografia VI, 1, 3).
[viii] Strabone, Geografia VI, 1, 2.
[ix] “Praeter Petelinos Brutti omnes”, Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXII, 61. “Eodem tempore Petelinos, qui uni ex Bruttiis manserant in amicitia Romana”, Ibidem, XXIII, 20. “Petelia in Bruttis”, Ibidem XXIII, 30.
[x] Appiano, Annibalica, 57.
[xi] “Hic et Narycii posuerunt moenia Locri et Sallentinis obsedit milite campos Lyctius Idomeneus, hic illa ducis Meliboei parva Philoctetae subnixa Petelia muro” (Virgilio, Eneide, III, vv. 399-402). “Hic Philoctetes postea orrore sui vulneris ad patriam redire neglexit, sed sibi parvam Peteliam partibus fecit” (Servio, Ad Aeneados, III, vv. 401-402).
[xii] Solino, II, 10.
[xiii] “fumabat uersis incensa Petilia tectis, infelix fidei miseraeque secunda Sagunto, at quondam Herculeam seruare superba pharetram.” Silio Italico, Punica XII, 431-433.
[xiv] “Parlerò dunque in generale, senza fare distinzioni, di quel che ho appreso su questi popoli che abitano nell’interno, vale a dire i Lucani e i loro vicini Sanniti. Petelia viene considerata metropoli dei Lucani ed è ancora oggi abbastanza abitata; fu fondata da Filottete, esule da Melibea in seguito ad una ribellione. È in una posizione ben salda, cosicchè anche i Sanniti una volta la fortificarono. È fondazione di Filottete anche l’antica Crimisa, che si trova press’a poco in questi stessi luoghi. Apollodoro, nel suo Catalogo delle Navi, parlando di Filottete, racconta che secondo alcuni egli, giunto nel territorio di Crotone, stabilì un insediamento sul promontorio di Crimisa e, un po’ all’interno rispetto ad esso, fondò la città di Chone, dalla quale, quelli che abitano li, presero il nome di Coni”. Strabone VI, 1, 2-3.
[xv] Mollo F., Guida Archeologica della Calabria Antica, 2018, pp. 487-496.
[xvi] 1 marzo 1626. Joannes Jacobo de Torres di Policastro, vende al clerico D. Ottavio Vitetta di Policastro per ducati 600, la “gabellam seu terr.o dittam, et dittum della moraglia seu marina” arborata di olivi con un pozzo dentro, posta nel territorio di Strongoli confinante con “la spiaggia del mare”, redditizia alla Mensa vescovile di Strongoli per grana 25 e “modiorum seu tumolorum” 4 di “frumento” all’anno “In feudo Capi sacchi”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 296, ff. 21v-22v.
[xvii] Strabone, Geografia VI, 1, 4.
[xviii] “Itaque fatigatus querelis sociorum Dionysius, Siciliae tyrannus, sexcentos Afros ad conpescendos eos miserat; quorum castellum proditum sibi per Bruttiam mulierem expugnaverunt ibique civitatem concurrentibus ad opinionem novae urbis pastoribus statuerunt Bruttiosque se ex nomine mulieris vocaverunt.” Giustino, XXIII, 1, 11-12.
[xix] Strabone, Geografia VI, 1, 5.
[xx] Caccamo Caltabiano M., La Monetazione Annibalica di Petelia, in Quaderni Ticinesi, 1976, pp. 85-101.
[xxi] “Eodem tempore Petelinos, qui uni ex Bruttiis manserant in amicitia Romana, non Carthaginienses modo qui regionem obtinebant sed Bruttii quoque ceteri ob separata ab se consilia oppugnabant. Quibus cum obsistere malis nequirent Petelini, legatos Romam ad praesidium petendum miserunt. Quorum preces lacrimaeque- in questus enim flebiles, cum sibimet ipsi consulere iussi sunt, sese in uestibulo curiae profuderunt—ingentem misericordiam patribus ac populo mouerunt, consultique iterum a M. Aemilio praetore patres circumspectis omnibus imperii uiribus fateri coacti nihil iam longinquis sociis in se praesidii esse, redire domum fideque ad ultimum expleta consulere sibimet ipsos in reliquum [pro] praesenti fortuna iusserunt. Haec postquam renuntiata legatio Petelinis est, tantus repente maeror pauorque senatum eorum cepit ut pars profugiendi qua quisque posset ac deserendae urbis auctores essent, pars, quando deserti a ueteribus sociis essent, adiungendi se ceteris Bruttiis ac per eos dedendi Hannibali. Vicit tamen ea pars quae nihil raptim nec temere agendum consulendumque de integro censuit. Relata postero die per minorem trepidationem re tenuerunt optimates ut conuectis omnibus ex agris urbem ac muros firmarent.” Tito Livio, Ab Urbe Condita, lib. XXIII, 20.
[xxii] “Multo sanguine ac uolneribus ea Poenis uictoria stetit nec ulla magis uis obsessos quam fames expugnauit. Absumptis enim frugum alimentis carnisque omnis generis quadrupedum suetae [insuetae] que postremo coriis herbisque et radicibus et corticibus teneris strictisque foliis uixere nec ante quam uires ad standum in muris ferendaque arma deerant expugnati sunt.” Tito Livio, Ab Urbe Condita, lib. XXIII, 30.
“I Petelini, poi fedeli ai Romani, quando furono assediati da Annibale giunsero al tal punto di fortezza d’animo che mangiarono tutte le pelli che erano nella città e tutte le cortecce e i rami più teneri degli alberi, resistendo all’assedio undici mesi: si arresero solo più tardi, poiché non ricevevano alcun aiuto e dopo aver ricevuto il consenso dei Romani.” Polibio, Storie VII, 1, in Ateneo, I dotti a banchetto, XII 528, traduzione di Pasquale Attianese.
“Petilini a Poeni obsessi parentes et liberos propter inopiam eiecerunt, ipsi coriis madefactis et igne siccatis foliisque arboris et omni genere animalium vitam trahentes undecim menses obsidionem tolleraverunt.” Frontino, Stratagemmi, IV, 5, 18.
[xxiii] “Itaque Hannibali non Peteliam, sed fidei Petelinae sepulcrum capere contigit” Valerio Massimo, Facta dictaque memorabilia, lib. IV cap. VII. A cura di pasquale Attianese.
[xxiv] “Recepta Petelia Poenus ad Consentiam copias traducit, quam minus pertinaciter defensam intra paucos dies in deditionem accepit. Tito Livio, Ab Urbe Condita, lib. XXIII, 30.
[xxv] Plutarco, Vite parallele, Torino 1958, Vita di Marcello, I, 837. Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXVII, 26.
[xxvi] Bruno V., L’itinerario dei theoroi di Delfi in Sicilia. Una proposta di ricostruzione, 2019, pp. 193-232.
[xxvii] Plutarco, Vite Parallele, Torino 1958, Vita di Marco Crasso.
[xxviii] Tolomeo, Geografia, lib. III, 1, ed. cit., p. 154.
[xxix] “ … oppidum intus Petelia, mons Clibanus, promunturium Lacinium, cuius ante oram insula X a terra Dioscoron, altera Calypsus, quam Ogygiam apellasse Homerus existimatur, praeterea Tyris, Eranusa, Meloessa. Ipsum a Caulone abesse LXX prodit Agrippa. A Lacinio promuntorio secundus Europae sinus incipit, magno ambitu flexus et Acroceraunio Epiri finitus promuntorio, a quo abest LXXV. Oppidum Croto, amnis Neaethus, oppidum Thuri inter duos amnes Crathim et Sybarim, ubi fuit urbs eodem nomine.” Naturalis Historia, Lib. III, 96-97.
Pomponio Mela, vissuto nella prima metà del sec. I d.C. erroneamente pone “Petilia” tra i promontori Lacinio e Zefirio: “Primus Tarentinus dicitur, inter promontoria Sallentinum, et Lacinium; in eoque sunt Tarentus, Metapontum, Heraclea, Croto, Thurium: secundus Scyllaceus, inter promontoria Lacinium et Zephyrium; in quo est Petilia, Carcinus, Scylaceum, Mystiae: tertius inter Zephyrium et Bruttium, Consentiam, Cauloniam, Locrosque circumdat. In Bruttio sunt, Columna Rhegia, Rhegium, Scylla, Taurianum, et Metaurum.” Pomponio Mela, Chorographia, II, 59-61. Ed. Muratori G.F. 1855, pp. 101-103.
[xxx] “Tarento . TuRio flu(men) . XXV . Heraclea IIII . Senasum . Turis . XXXVIII . Petelia . Crontona . XL . Lacenium . XXXVI . Annibali . XXX . Scilatio . XXV .”
[xxxi] “Tarentum, Mesochorum, Metapontum, Heraclea, Scinasium, Turris, Pelia, Crotona, Facenio, Aniaba.” Pinder M. et Parthey G., Ravvennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica, 1860, pp. 262-263.
[xxxii] “(…) Tarentum, (…) Mesochorus, (…) Metapontus, (…) 30. Dehinc civitas est Heraclea, Senasum, Turris, Pellia, Crotona, Facenium, Hannibal. (…)” (Pinder M. et Parthey G., Ravvennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica, 1860, pp. 469-470). “(…) Mesochorus, Tarentum, Metapontus, Senasum, Turris, Pellia, Crotona, Facenium, Annibal. (…)” (Ibidem, p. 507).
[xxxiii] Amari M., Storia dei Musulmani di Sicilia, vol. I-III, 1854, 1858 e 1868. Amari M., Biblioteca Arabo-Sicula, vol. I-II, 1880 e 1881. Documenti per Servire alla Storia di Sicilia pubblicati a cura della Società Siciliana per la Storia Patria, Quarta Serie, Cronache e Scrittori di Storia Siciliana, vol. II, Palermo 1890.
[xxxiv] Tafuri G. B., Istoria degli Scrittori nati nel Regno di Napoli scritta da Gio: Bernardino Tafuri da Nardò, tomo II, Napoli 1748, pp. 475-485, e tomo II parte II, Napoli 1749, pp. 442-443.
[xxxv] Tafuri G. B., Istoria degli Scrittori nati nel Regno di Napoli scritta da Gio: Bernardino Tafuri da Nardò, tomo II, Napoli 1748, pp. 481-482.
[xxxvi] “… poiché Strongoli ch’è al di là del seno scilletico, conservò il nome di Petilio anche nei secoli di mezzo, e non può essere confuso con Belcastro. Infatti tra le scorrerie saraceniche fuvvene una nel 933 che danneggiò Taverna, Simeri, Belcastro e Petilio, e nel 943 questi due ultimi e Nicotera ricuperati vennero dai Calabresi.” Grimaldi L., Studi Archeologici sulla Calabria Ultra Seconda, Napoli 1845, p. 59.
[xxxvii] 933. “I musulmani invadono la regione crotoniata, assalendo e conquistando Petelia, con uccisione di molti e prigionia d’altri, mandati in Africa. Capo dei musulmani il noto Musàd Saklab, il quale piomba su queste terre, dopo prese Taverna e Belcastro. Ma in Simmari, sorpreso dai calabresi, campa la vita con la fuga, abbandonando la rapina. Sotto Squillace si riattacca la pugna, e Saklab, sgominato, cerca scampo in Reggio. Il ch. Barone Giuranna inclina a supporre distrutta in questo tempo Bristacia.
I calabresi concordi, vengono alla riscossa ed assalgono di notte i musulmani di Belcastro, passandoli a fil di spada. Poi corrono agli altri luoghi e distruggono i nemici nei loro covi col ferro e col fuoco, tranne Reggio, Catanzaro, Cosenza.” Moscato G. B., Cronaca dei Musulmani in Calabria, 1902 rist. 1963, p. 29.
- “I greci, messi in fuga i musulmani, tolgono loro Petilia, ed allora i pochi superstiti di Bristacia migrano apoco a poco sul colle prossimo a Tegano, ov’oggi è Umbriatico. Una sua estensione di terre confinante col bosco comunale «Pescaldo» serba il nome di Saraceno.” Ibidem, p. 32).
[xxxviii] Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, p. 29. Pochettino G., I Langobardi nell’Italia meridionale (570-1080), Napoli 1900, p. 304.
[xxxix] “Le consultazioni fatte nel R. Archivio di Napoli, vol. I a VI, che si riferiscono a pergamene dal 748 al 1130 non danno alcuna notizia precisa o interessante, come nulla troviamo nell’Archivio, precisamente nel registro di Federico II (ind. di Pietro Vincenti 161014). Rileviamo però che in tali anni troviamo ancora segnata la voce «Petilia» senza alcuna annotazione, il che lascia supporre che il nascente sobborgo di Strongoli, per tradizione, continuava a portare l’antico nome di Petelia. Deduzione questa che trova poi conferma in Procopio, il quale nella sua Cronaca verso il 1000 ridà a Strongoli il nome di «Petilium».” Vaccaro A., Fidelis Petilia, 1933, p. 85.
[xl] Guillou André, Le Brébion de la Métropole Byzantine de Région (vers 1050), Biblioteca Apostolica Vaticana, 1974, pp. 54-55, 62, 183-184 e 188.
[xli] 31 ottobre 1586. Matteo de Costa possiede le “domos palatiatas sitas et positas intus praefatam civ.tem petiliae in loco dicto la parrochia de santo jo(ann)e juxta domos mag(ist)ri minici de turzo viam pp.cam et alios fines”. Il clerico Angelo de Costa possiede le “domos palatiatas olim fuisse q.o m.ci constantini de costa juxta cau(te)las pp.cas sitas et positas in eadem civi.tem in loco dicto la parrochia s.ti Jacobi juxta domos no: Dorisii stanganelli viam pp.cam et alios fines”. Il m.co Perruccio de Juncta possiede le “domos palatiatas intus praefatam civ.tem in loco dicto la parrochia de la annunciata juxta domos presbiteri scipionis pizuti viam pp.cam et alios fines”. ASCZ, Notaio Consulo B., b. 9, ff. 214v-217v.
[xlii] Le distanze riportate lasciano ritenere che si debba leggere Santa Severina in luogo di Simeri. Amari M. e Schiaparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 112, nota 2.
[xliii] “Da Simeri pure ad ’.sṭ.r.nǵ.lî (Strongoli) ventun miglio. / E da Strongoli a Cotrone ventiquattro miglia. / Tra Strongoli e il mare sei miglia. / Inoltre da Strongoli ad ’.brîâtiqû (Umbriatico) undici miglia.” Amari M. e Schiaparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 112.
[xliv] Amari M. e Schiaparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 128.
[xlv] Fin dal periodo normanno l’abbazia di Corazzo possedeva in tenimento di “Strumbulo” la chiesa di Santo Mauro. Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 7572.
[xlvi] ASV, Rel. Lim. Strongulen., 1640.
[xlvii] Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi C.A.M., Napoli 1957, p. 44. Basilii Notitia, in Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 27.
[xlviii] “MH. Tῇ Ἁγίᾳ Σευηρινῇ τῆς Kαλαβρίας. ὁ Eὐρυάτων, ὁ ’Aϰερεντίας, ὁ Kαλλιπόλεως, [ὁ] τῶν ’Aησύλων.”. Gelzer H., Georgii Cypri Descriptio Orbis Romani, Lipsia 1890, p. 82.
[xlix] Fabre M. P., Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, V, Parigi 1889, p. 104.
[l] “MADIUS vixit, floruitque an. 1178. quo subscripsit documento Confratriae S. Mariae de Latina Messanensis, ubi leges eiusdem statuuntur à Nicolao primo Archiepiscopo Messanensi apud Rocchum Pyrrhum notitia Sicilianensium Ecclesiarum: caetera eius acta obsura sunt.” Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, 517.
[li] Oltre a “Filippo di Crotone Greco”, “Della Provincia di S. Severina, Peregrino d’Umbriatico (Embriacenensis, al. Embriacensis), Perentino Strumbino, o Jereno, o Jeveno Strumbino (è Strongoli. Ughelli non lo conobbe, e pose Madio all’anno precedente).” Di Meo A., Annali Critico-Diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età, Tomo decimo 1805, p. 392.
[lii] AASS, pergamena 001.
[liii] Fiore G., Della Calabria Illustrata I, p. 473.
[liv] «Barthomolaeus, archiepiscopus Sancte Severine, recepto pallio ab Obizone, archiepiscopo Cusentin., secundum mandatum domini pape, iuravit fidelitatem ecclesie Romane, sicut continetur adnotatum, adiecto quod ubi dicitur «singulis triennis» visitabit Sedem Apostolicam, ibi continetur «de singulis annis». Et haec constiterunt per litteras ipsius archiepiscopi sancte Severinae, cuius potentes litteras idem transmisit, iuramentum fidelitatis de verbo ad verbum expressum in eis». Russo F., Regesto I, 784.
Creato il 15 Luglio 2021. Ultima modifica: 7 Agosto 2024.
Sono un ex docente ed attualmente in pensione
Ho lavorato nella Pro Loco locale e divulgato molto della nostra storia e delle nostre tradizioni
Il vostro è una lavoro di archiviazione molto interessante e completo.
C’è da spaziare su tutto il nostro storico e interessante territorio con testi ed immagini uniche e rare
Complimenti!
Grazie per l’apprezzamento e per l’interesse. Un caro saluto.