Il monastero dei Francescani Osservanti di Santa Maria della Spina di Policastro

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Santa Maria de Cocullo

La presenza francescana in territorio di Policastro risulta antica ed appare legata ai primordi della diffusione dell’ordine dei frati minori in Calabria. Alcune notizie in merito sono contenute nel manoscritto del frate policastrese Francesco Antonio Mannarino, detto “il Calagivo”, che agli inizi del Settecento, quando si trovava alla guida del monastero della Santa Spina, scrisse la “Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro” (1721-23) che è giunta sino a noi. In questa sua cronaca, il Mannarino ci fornisce una descrizione del luogo in cui era sorto il primitivo monastero dei frati minori di Policastro, insieme ad una sintesi dei fatti relativi alla sua erezione e delle vicende che lo avevano interessato nel corso dei secoli XIII-XVI. Egli attribuisce l’erezione del monastero all’opera di San Daniele, accostando le sue origini alla presenza francescana nella città di Crotone che, analogamente a quella di Catanzaro,[i] appare riconducibile alla metà del sec. XIII.[ii]

“Ancor dà quella banda il fiume verso la marina due miglia in circa; è proprio sotto il Monte Crucoli posseduto dalla nobil famiglia Rocca per eredità successagli dà Luccio Berricelli, nepote uterino d’Antonio Rocca; alla via per cui vassi verzo mezzo giorno à Mesuraca, vedesi il secondo Monastero, che fù dè nostri Padri Minori Francescani, situato alla parte sottana del detto Monte, ed’Australe della Città. Questo Santo Luogo di cui pur si serbano le vestigia, siccome fù abitato, è ristorato sotto il Titulo di San Francesco dal Beato Pirro Pyerio suo Compagno, e [fra]tello di Pietro Signor di San Marco, e di Feroleto, che por[tos]si col Medesimo all’assedio di Placenzia, sotto l’Impero [di] Federico da cui ebbe quell’amplissimo Privilegio, [che] originalmente in mia Casa si conserva, e poi ris(ta)to di cambiar sorte, appunto cambiò l’oro, e le sete col sacco, e Corda del Serafino in Carne Frances[co] d’Assisi, che lo ricevè non solo nella sua Sacra [Mi]lizia, ma nel numero ne suoi Compagni; e poi mandato dal Santo Padre in Calavria fondò molti monasteri, e dopo il Corso d’una Penitente vita passò all’[a]gadimenti nella Città di Cotrone, dove al presente [ri]posa splendente per miracoli, siccome asserisce il nost[ro] famoso Annalista Luca Uvadigno, che distintame[nte] racconta il prodigioso licore, che distillava dal Sacro Corpo, e guariva tutte l’Infermità, che poi cessò [di] scaturirlo per aversine con inganno servito un tal Padrizio della nobil Casa Lucifero e di più ne par[la] e fa memoria di questo Beato la Chiesa Sera[fina] nel Martirologio Francescano. Hor questo nostro Conve[nto] era stato prima eretto, ed’onorato dalla sua presenza d[al] Ministro Provinciale di Calabria San Daniele, dà dove [è] Tradizione, che si partisse, ed’intercosse nella sude[tta] Città di Cotrone verso l’Africa al Martirio. Fu santificato parimente dà diversi altri Beati Primogeniti, e fiore di perfezione della mia Religione; alcuni dè quali vi stanno sepolti; e s’argomenta dà una quantità di lumi splendentissimi, la sopra più volte di notte tempo apparsi, ed’ammirati con stupore dalla Città. In somma dalla violenza d’un Tremuto disfatto, si fondorno in luogo di questo con un istesso modello due Monasteri, l’uno in Mesuraca, che di sopra raggionai, e quel di Santa Maria del Romitorio già derelitto dà Padri Certosi, come dirassi, ed’ora è abitato dà noi Francescani Osservanti sotto il titolo della SS.ma Spina.”[iii]

L’esistenza dell’abitato di “Cocullo” durante il Medioevo, si rileva in un atto scritto in greco del maggio 1202 (a.m. 6710), riguardante la vendita di alcune terre poste in territorio di Mesoraca, sottoscritto da Johannes figlio di Saroullo del casale di Cocullo (χορίου Κουκούλλου),[iv] mentre in una “Platea” compilata su mandato del conte di Catanzaro, riferibile agli inizi del Trecento, si richiama la presenza del luogo denominato “serras S. Mariae de Cocullo”, presso il confine dei territori di Mesoraca e Policastro.[v]

Le notizie forniteci dal Mannarino in merito al luogo dell’originario insediamento francescano, sono confortate da quelle esistenti nel catasto onciario di Policastro (1742),[vi] e da quelle che troviamo nei documenti conservati presso l’Archivio Arcivescovile di Santa Severina. Apprendiamo così che durante la prima metà del Settecento, la gabella detta “Cucoli” confinava con “la terra d.a li Campanari del dominio della Chiesa M(ad)re di Mesoraca, la foresta piana delli Mag.i Carlo Tronca, Gio. B.a e Bartolo Scandale, li Brizzi di Franc.o Cavarretta, ed altri fini.”[vii] Ancora alla fine del secolo (1794) troviamo che “la Gabella di Cucoli” confinava con “li Campanari e Foresta e sopra Catrivari.”[viii]

In relazione all’antico possesso, “Cruculi”, “Porcili” ed “Andreoli”, figurano tra le entrate del monastero della Santa Spina, annotate nella “Lista di Carico Luoghi Pii di Policastro” al tempo della Cassa Sacra,[ix] mentre nell’inventario dei “Corpi Stabili” appartenuti al “Convento dei PP. Osservanti” di Policastro, compilato il 29 agosto 1796, troviamo: “Andreoli seu Valle di S. Maria Gabella in d.o Territ.rio di tum.a 35 di terra nobile, affittata al sud.o Sig.r Portiglia per docati 16 annui pagabili in Fiera di Mulerà. d. 16.” (…) “Li Porcili ò sia piano di S. Maria Vignale in d.o Territ.rio di tum.a 24 di terra nobile con 110 quercie di stato, affittato con il vignaletto di Crucoli a D. Carlo Tronca per annui docati 12; li Porcili, e Crucoli carlini diece pagabili in Fiera di Mulerà. d. 13. ” (…) “Cruculi Vignale nel med.o Territ.io di tum.a 8 di terre nobili, con 35 piante di querce affittato colla Gabella Porcili come di sop.a a D. Carlo Tronca per carlini diece pagabili in Mulerà. d. 1.”[x] Agli inizi dell’Ottocento, i fondi “Crucoli” e “Piano di S. Maria” appartenevano ancora al monastero della Santa Spina.[xi]

La natura “nobile”, ovvero feudale, di questo originario patrimonio dell’antico monastero, evidentemente concesso dal feudatario del luogo, risulta documentata già nella prima metà del Cinquecento, in occasione del relevio presentato da Galeotto Carrafa dopo la morte del padre Andrea (1526). In questa occasione, tra le entrate “in denari” della sezione del “Feudo de Rivioti” posta in territorio di Policastro, compaiono “La gabella de Andreolo duc. 6.1.0”, “la gabella de li porcili duc. 6.3.10” e “la gabella de lo Agrillo, et de San Francisco duc. 6.0.0”.[xii]

Il toponimo “Santo Francesco” permarrà ad indicare l’originario stanziamento francescano sino ai giorni nostri. Agli inizi del Novecento, nella descrizione dei confini della “Chiesa Matrice di Petilia Policastro”, si riporta: “Dal la parte di sud-est a partir dalla porta Giudaica, la parte di sinistra scendendo su la rotabile che va Cutro fino al ponte di Tacina. Anche Comprende la parte di sinistra seguendo la strada rotabile che mena a Mesoraca, fino a contrada Santo Francesco inclusive.”[xiii] Agli inizi degli anni Sessanta, così il Sisca descriveva la località: “Un po’ più sotto, a sud della città, da cui distava tre Km circa, sulla via mulattiera che conduce a Mesoraca, era il convento di Santo Francesco. Santo Francesco è la denominazione del territorio che si estende alle Pianette e alla contrada Taglio.”[xiv]

Petilia Policastro (KR), in evidenza l’area in cui esisteva il primitivo convento francescano. Particolare del foglio N.° 570 Petilia Policastro della Carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

Santa Maria dei Frati

Questo primitivo monastero fu abbandonato dai frati. Il Mannarino attribuisce ciò agli effetti rovinosi di un terremoto, anche se lo stesso autore lascerà trasparire le vere ragioni di quest’atto in un altro passo della sua “Cronica”, ponendolo in relazione alle tensioni interne all’ordine che, nel corso del sec. XIV, ne determineranno la scissione, con la formazione del ramo dei conventuali e di quello degli osservanti.

Ricostruendo le vicende di questo periodo, così si esprime il Mannarino: “Il primo titolo di questo Monastero fù di Santa Maria dè Frati, perche circa l’anno mille trecento venti fù fabricato dà primi frati di San Francesco; e nelle divisioni dell’ordine restò in poter dè Conventuali; lasciato però dà questi fù per Bolla d’Eugenio Quarto detto successo à Martino Quinto nell’anno mille quatrocento trent’uno, (…) riconcesse il detto Convento à nostri Padri osservanti che al presente vè abitano.”[xv]

Un documento del 16 giugno 1425, conferma che agli inizi del Quattrocento, esisteva a Policastro la “ecclesiam Annuntiationis B. Mariae de Fratribus de Policastro, S. Severinae dioc.”, che si trovava “contigua” ad un’altra detta della “salviferae Crucis Domini”, informandoci che sarebbe stata concessa l’indulgenza a tutti coloro che l’avessero visitata nei giorni del 25 marzo e del 3 di maggio, rispettivamente giorno della Beata Maria e giorno della S. Croce.[xvi]

In tale frangente, il monastero degli osservanti fu rifondato presso l’antica chiesa di Santa Maria del Romitorio dove, comunque, sembra che già da qualche tempo risiedessero i frati. Questo titolo ricorre ancora in alcuni atti notarili degli inizi del Seicento. Nel suo testamento del 23 settembre 1610, Lucretia Richetta di Policastro disponeva che, alla sua morte, il suo corpo fosse seppellito nel “venerabile monasterio di santa maria delli frati” di Policastro.[xvii] In due atti stipulati il 15 febbraio 1621, si menziona l’orto del “venerabilis monasterii divae mariae de fratibus seu santiss.mae spinae” di Policastro.[xviii]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Santa Maria del Romitorio

Le testimonianze relative alla chiesa di “S. Maria Romitorio, presso Policastro” sono molto antiche, risalendo alle concessioni effettuate dai Normanni ai certosini di S.to Stefano del Bosco.[xix] Anche il Mannarino tramanda in questo senso, descrivendo le vicende della presa di possesso del nuovo convento da parte degli osservanti: “Lo titolo nondimeno più vetusto, e primario fù di Santa Maria del Romitorio. Posciacche fù primieramente posseduto dà primi Romiti dell’ordine Cartusiano Compagni di San Bruno conforme si raccoglie dal Processo originale nel sud.to Archivio sul mille quatrocento trenta tre, fabricato dall’Arcivescovo del luogo Delegato Apostolico. E così pure dà più antichi monumenti, ed erudizioni della Certosa in San Stefano del Bosco per testimonio del P. D. Martino Sillano nobile [di] Cotrone, che fù archivista di quel Convento, e insigne Santuario di San Bruno, di cui ne conservo una memoria da colà dall’istessi ricavata, e di nuovo frescamente à me confirmata dal Reverendo Padre Francesco Soteria Priore passato per la rinunzia che né fece ed’ancor vivente.”[xx]

Attraverso la documentazione superstite troviamo che, il 19 luglio 1431, su richiesta di “fratris Antonii (de Valentia), Ministri Provincialis Fratrum Minorum de Observantia in Calabria”, si informava l’arcivescovo di Santa Severina, che si confermava agli osservanti il convento, o chiesa, di “S. Mariae de Eremitorio nuncupatam extra muros castri Policastri, S. Severinae dioc.”[xxi]

La “bolla” pontificia edita dal Sisca e datata in Roma 27 luglio 1431,[xxii] riferisce che, quantunque i frati abitassero canonicamente già la “ecclesia seu domo” di “S. Mariae eremitorio”, posta fuori le mura di Policastro, da diverso tempo non vi risiedevano “causa malam temporum conditionem domum ipsam”. A questo punto l’università di Policastro, in ragione della singolare devozione dei propri cittadini nei riguardi del beato Francesco di Assisi, aveva chiesto che i frati, “more solito”, tornassero a risiedere nella loro “ecclesia et domo”. Tale richiesta proveniva anche da parte del marchese di Crotone Nicolò Ruffo feudatario di Policastro, ed aveva già ricevuto “consensu et licentia” dall’arcivescovo di Santa Severina.

L’azione in favore degli osservanti da parte dell’arcivescovo di Santa Severina Angelo, come quella del suo successore Antonio Sanguagalo, si evidenzia in questi anni, anche nei territori vicini, come testimonia un atto del 14 ottobre 1429, attraverso il quale si confermava la concessione all’ordine della “ecclesiam S. Mariae de Misericordia, Terrae Mesuracae” da parte della “bona memoria” di “Angelus Archiepiscopus Sanctae Severinae”.[xxiii] Al territorio di Belcastro, invece, fa riferimento un atto del 31 luglio 1422, attraverso il quale, considerata la scarsa diffusione degli osservanti in questo territorio, si concedeva loro di fondare un monastero: “Episcopo Caputaquen.. Cum in Provincia Calabriae et dominiis illorum de Sanctoseverino et territorio Polycastri (sic), paucae adhuc domus Ord. Min. de Observantia esse noscantur, mandat ut Juliano de Lauro, dicti Ord. professori, concedat facultatem recipiendi et fundandi unam domum ad usum dictorum Fratrum de Observantia”.[xxiv]

Le circostanze dell’erezione sono sottolineate sia dal Fiore che dal Mannarino, che così si esprimono: “Policastro, S. Maria delle Grazie (sic). Abitarono questa casa gli Osservanti sotto l’invocazione di S. Maria Eremitana fuori le mura, quale poi lasciarono per la mala condizione dè tempi. Ma presero a riabitarla sotto nome di S. Maria delle Grazie (sic), chiamati dall’arcivescovo di Santa Severina Angiolo, e dal marchese di Cotrone Nicolò Ruffo, il quale perciò n’ottenne Bolla da papa Eugenio IV l’anno 1431. Sopravvenuta finalmente la famosa Spina di Cristo dalla Francia, lasciati gli antichi nomi prese a dirsi S. Maria della Spina.”[xxv] “Successe poi Nicolò Conte di Catanzaro, Marchese di Cotrone Pronipote del Conte Giovanni, e figlio del Conte Antonello, che sembra essere stato più tosto Governatore, che Conte per quel che si ricava della Bolla d’Eugenio Quarto data nell’anno mille quatrocento trent’uno per la reintegra dè Frati Minori Osservanti al Convento già titolato di S.ta Maria delle grazie (sic), ò dell’Eremitorio, ora detto della SS.ma Spina”.[xxvi]

Sempre secondo la testimonianza del Mannarino, ai suoi tempi, presso l’archivio del monastero, sarebbe esistito l’atto attraverso il quale, nel 1433, l’arcivescovo di Santa Severina avrebbe sancito il nuovo e definitivo ingresso dei frati nel monastero. Più volte l’autore della “Cronica” cita tale documento: “… non che della firma di detti dodici Parochi nell’Istrumento dell’atto possessorio del nostro Convento”, “… e ben vero dà trecento in trecento anni avanti, di trovarsi menzione di lui, e del suo Castellano, specialmente nell’Istrumento del Posesso, che dona la Città alli Padri osservanti del loro Convento oggi detto della SS.ma Spina; dove sono firmati oltre a dodici Parochi della Città, il Magistrato, e più particolari Padrizii, come altresi Il Capellano, e Castellano del Castello, qual Istrumento si conserva nel Archivio registrato da me, ed in Carta Pergamena col Sigillo pendente di mano quasi Gotica”, “… e del suo Maestro si fa menzione in due vecchi Istrumenti originali che serbansi nell’archivio dè PP. Osservanti di d.ta Città. L’uno dell’anno mille quatrocento trenta tre nel nuovo ingresso, ed’atto Ressessorio dato à gl’istessi Padri di quel loro Monastero dal Metropolitano del luogo.”[xxvii]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Santa Maria della Spina

Dopo queste notizie che, anche attraverso documenti di dubbia autenticità, illustrano la nuova erezione, ritroviamo menzione del convento degli osservanti di Policastro verso la fine del Cinquecento: “In policastro fora della t(er)ra, vi è lo Convento de Zoccolanti”,[xxviii] quando la relazione dell’arcivescovo di Santa Severina, c’informa del fatto che esso aveva assunto un nuovo titolo: “… fuor delle mura è la chiesa di S. Maria della Spina Convento di Frati Minori dell’Osservanza, dove si conserva una delle spine della corona di N. S.re Giesù Christo, nel qual luogo il dì dell’Assontione della Beata Vergine concorre gran frequenza di popoli convicini à visitare quella santa reliquia. è discosto da S. Severina otto miglia.”[xxix]

Anche alcune testimonianze seicentesche e settecentesche, collegano il nuovo titolo del monastero all’arrivo della preziosa reliquia, portata nella chiesa del convento dal frate Dionisio Sacco, quale dono della regina di Francia:[xxx] “Nella chiesa de Zoccolanti riformati è una spina della corona di N. S. Gesù Cristo che perciò S. Maria della Spina viene nominata dove ogni anno alla metà di agosto per detta devottioni tutte le convicine terre concorrono”.[xxxi] “Chiesa de’ Minori Osservanti: spina della Corona di Cristo. Ebbe questa prezioso dono dalla reina Claudia di Francia fra Dionigi Sacco minor osservante della medesima città, suo confessore. Se ne celebra la festa con maravigliosi concorsi li 15 agosto, e si dice volgarmente quella chiesa Santa Maria della Spina.”[xxxii] “La sacra spina fu donata al convento dal frate Dionigi Sacco religioso osservante a cui era stata regalata da Claudia Regina di Francia, essendo egli di lei confessore”.[xxxiii]

Meglio circostanziata appare, ovviamente, la “Cronica” del Mannarino che descrive minuziosamente gli avvenimenti che determinarono l’accoglimento della reliquia. Secondo il suo resoconto, questa sarebbe giunta presso il monastero “circa” l’anno 1523, per poi essere canonizzata mezzo secolo dopo, dal cardinale Francesco Antonio Santoro, arcivescovo di Santa Severina, nel corso della sua visita a Policastro del 2 giugno 1573. Essendo priva di una autentica ufficiale, infatti, la reliquia era stata molto osteggiata e, seppure non poteva essere esposta pubblicamente, era stata comunque mantenuta presso il monastero, compiendo, secondo la testimonianza del Mannarino, numerosi miracoli e dando così la prova migliore della sua autenticità.

Sempre secondo tale testimonianza, i miracoli erano stati così numerosi che la chiesa del monastero si era presto riempita degli ex voto dei fedeli miracolati dalla spina che, attraverso il suo sanguinamento, rinnovava la passione di Cristo sulla croce: “… poiche venuta qua La Spina senz’autentica circa l’anno mille cinquecento venti tre prima, e dopo, che l’Arcivescovo diocesano nel 1573 nè avesse preso rigoroso informo, e Processo, e decretatole per Sinodo il publico Culto, venne autenticata da infiniti prodiggi, e questi vi è più confirmati con quella Copia di Tabelle d’ogni sorte di voti, singolarmente di Cera di cui dà Capo a piè tutta era per lei ricolma quella Chiesa.” “Ma il maggior prodigio avviene ogn’anno nel Mese di Marzo, tante fiate quanti sono i venerdì; Mentre quel Sangue non dissi vi è più pregiato, m’assai più miraculoso in Policastro, che in Napoli il decantato di San Gennaro, adorasi liquiefatto, rubicondo, e fresco, come se in quel punto volesse gocciolare dalla Spina.” “Onde nè restò confusa la perfidia di alcuni Cattolici poco fedeli, che vollero come i Giudei vedere segni di quella Spina; e non potendovi ripugnare la tenerezza dè frati, che non poteano metterla in publico per mancanza d’autentica, confidorno col Cielo, ed’il Cielo confuse quei ostinati con lingua di fuoco, che rispettoso careggiò famelico quella ch’era naturale sua esca, per aver penetrato il Capo del Redentore, ch’era residenza di tutta la Sapienza Celeste, e Santità.”[xxxiv]

A riprova di queste sue affermazioni, il Mannarino cita la presenza nell’archivio del monastero di un antico “manuscritto latino” che però, a causa della sua antichità, non poteva essere esibito in quanto lacero e vecchio. Di tale documento, scritto “in Memoriam Posterorum” dal frate policastrese Francisco Cerasari l’anno 1588, quando si trovava a ricoprire la carica di ministro provinciale dell’ordine, lo stesso Mannarino aveva ricavato “fidelmente” una copia, riportandola nella sua “Cronica”, dove appare come un falso grossolano. Sarà proprio per difendere l’inconsistenza di tale prova che, in seguito, le origini storiche di Policastro saranno fatte discendere da quelle della Petelia romana.

Il documento in questione, infatti, seppure si riferisce alla visita arcivescovile di Policastro del 2 giugno 1573, effettivamente riscontrabile attraverso alcuni antichi inventari d’archivio, conservati presso l’Archivio Arcivescovile di Santa Severina (“Visitatio Policastri in anno 1573 Santori”),[xxxv] evidenzia un banale errore nel quale incorse il suo estensore, perché in questo documento “di nobilissimo Carattere scritto”, trascritto dal Mannarino nella sua Cronica, ed intitolato “De Santissimo Sangin.to Aculeo ex Dominica Spinea Corona abscisso”, si afferma che la reliquia era conservata nel tabernacolo della chiesa del “Venerabilis Conventus Sanctae Mariae de Gratiis Civitatis Petiliae, seu Buxenti, vulgo dictae de Policastro”, che è la città vescovile campana posta nel golfo omonimo. Ancora il 10 dicembre 1608, allo scopo evidente di evitare indebite manipolazioni, le autorità ecclesiastiche saranno costrette ad intervenire proibendo di estrarre “libros et Bibliotheca” dal monastero di Santa Maria “della Spina”, come aveva invece richiesto di poter fare il frate Francesco Cerasaro.[xxxvi]

Petilia Policastro (KR), la S. Spina.

Corruzione e scandalo

Contrariamente a quanto ci tramanda il Mannarino, la situazione del monastero policastrese durante la seconda metà del Cinquecento, recuperabile attraverso la documentazione superstite, risulta essere stata particolarmente travagliata. Tali documenti evidenziano una situazione complessiva di degrado e di corruzione profonda dell’ordine in tutta la provincia di Calabria, che minava le sue strutture, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza dei frati. Ne costituisce prova una relazione del 1578, fatta pervenire anonimamente all’arcivescovo di Santa Severina, ed intitolata: “Instruttioni dell’eccessi, et inosser.ze che si fanno nella Religione di s. fran.co dell’osserv.za della Provin.a di Calavria per ser.o di Dio, et per che li Prelati possano provedere alla Riforma dell’abusi, et castigo di Tristi, et delinquenti che illustra, tra l’altro, le condizioni in cui versava il monastero policastrese:

“Nella provin.a di Calavria nella Religione di s. fran.co dell / osser.za v’è pocha giustitia, massime da pochi anni / inquà, et a tempo ch’hà governato il Ministro presente / Fra Marco del Citraro, il q.le s’hà trattato da persona parteggiana, interessata, et di suo disegno particolare.

Nella provin.a succedeno molti scandali causati da fr(at)i, et / le Città, e T(er)re ricorreno al detto Ministro per castigare / li scandalosi, et colpevoli, et per darvi rimedio, il / detto Ministro, oltra che non castiga li colpevoli, le / tiene in q(ue)lle t(er)re dove è successo il scandalo per / il che si perde la devot.ne, et da uno nascono mag / giori scandali.

Il detto Ministro tenendo amiticia con alcuni Padri predica / tori, fà poco conto dell’altri anzi q(ua)n(do) si vogliono la / mentare l’altri fr(at)i, le scaglia, et ribotta in modo / relassata che li fr(at)i stanno oppressi dalla Tirannide di / pochi.

Li P. predicatori fanno gran rumore per li danari / della predica, la q(ua)l pattezzano, et vendeno à / chi più glel offere.

Il Ministro s’intende che vende le guardianie / à persone indegne, et scandalose per haverne / lucro, participando l’altri padri della / provin.a. Intanto che la Regola è molto / Rilassata, et non si vedeno, et senteno alt.o / che usurpam.ti, et proprietà di fr(at)i.

Nella Diocese di s. sever.na vi sono due Monasteri / dell’osser.za, l’uno in la T(er)ra di Mesoraca, l’altr.o / nella T(er)ra di Polic.o. Amen due vanno mal gover.ti / et di mal in peggio.

Nel Monastero di Mesoraca vi sono occorsi molti scan / dali per conto di Donne, et un fr(at)e fù trovato di / notte nella T(er)ra dent.o una Casa da la q.le fuggì, et / si precipitò per certe ripe, et sop.a ciò si fe / nulla provis.ne. Nel detto Monastero stando fra / Dionise di Polic.o, fè molti scandali, et eccessi delli / q.li fù processato, et si fe gran rumore. Questo / anno 78 il Ministro lo mando Guar.no nel monas.o / di Polic.o distanta da Mesoraca meno duo miglia, per / li suo disegni, non havendo riguardo alla cose pas / sate. Per il che di notte fù assalito dent.o il monas.o / in sua Cella, et li furono date molte ferite, non / senza gran scandalo, et per tal causa è roma / sto storpiato delli denti, et balbutiente.

Nel detto Monastero di Misoraca l’anno 77 pratti / cavano li forasciti, il Guar.no le teneva, et / governava, fando di quello speluncha di ladri / nascondevano in quello li furti, et portavano / l’huo(min)i Carcerati, et le compostavano per il che / s’è persa la divot.ne del detto Monastero, / che li fr(at)i non trovano pane da mangiare. La Med.ma pra / tica li forasciti tenevano nel Monas.o di Cropano / Il Ministro sciente, et Consentiente con tutto / che li offit.li reggii n’han fatto resent.to.

Nel Monastero di Polic.o per molt’anni stette fra / Vin.zo di Polic.o Padrone assoluto di quel Monas.o, il / q(ua)l era chiamato l’Abate, per la proprietà tenea / in detto Monastero dando à suoi parenti le robbe / della chiesa, Cont.a il q.le fù dato mem.le à N.S. / di molti suoi eccessi, et fù rimesso al Ministro / il q.le andò à rimediare, et à pregare che le / cose non passino innanzi senza niuna gius.a.

Il detto Monastero di Polic.o tiene robbe stabbili, et / entrata, sop.a T(er)re, Case, vigne et Castaniti / et spetialm.te hà in Cutro ducati trecento, et q(ue)lli che le teneno, ne pagano la raggione di dieci per / Cento, et và il Guar.no à riscoterli, come Tesi / riero.

Li Guar.ni che vengono nel detto Monastero, sono quasi / semp(re) Cittadini, et donano le robbe, e danari / del monastero à loro parenti, et amici, et procedono non da / Guar.ni, ma di padroni proprii con li rispetti mondani.

Havendo scritto l’Un.tà di Polic.o al Ministro contra fra / Dionisio p.to di Polic.o, et Guar.no per alcune cose occorse / Il Ministro per rispetto, et Amicicia non providde / al suo Tempo, Avisò p.a fra Dionisio, il q.le l’ / andò à trovare, et havendo pigliato conserto, man / dò un Charo Amico di fra Dionise, il q.le tardò / tanto, che p.a che andassi in Polic.o, successe il Caso / p.to di fra Dionise, con tanto scandalo, Tutto per / colpa del Minis.o.”[xxxvii]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Il censo di Cutro

Traccia degli affari del monastero in territorio di Cutro, rimangono in un atto del 16 settembre 1622. Quel giorno i frati del monastero della “divae Mariae dela spina”: frater Donisio di Crotone “Guardianus”, frater Bona Ventura de Cropani, frater Vincentio di Policastro, frater Dominico di Mesoraca, frater Fran.co di Policastro, frater Petro de Aijello, frater Fran.co de Mantia, frater Berardino di Policastro, convocati in “Capitolum” al suono “Campanelli”, asserivano che, nell’anno 1577, il quondam And.a Pagano procuratore del detto monastero, aveva venduto a Joannes Fran.co Oliverio ed a Laurentio Ganguzza della terra di Cutro, l’annuo censo di ducati 10 per un capitale di ducati 100, sopra la gabella nominata “Donna Palumba” di detto Joannes Fran.co, e sulla gabella di detto Laurentio chiamata “la grutta de marrella”, come appariva per atto del notaro Joannes Laurentio Guercio del 28 agosto 1577. Considerato il pregresso non pagato, per ottenere il loro credito, i frati nominavano procuratori insolidum del detto monastero, il capitano Lutio Oliverio, Joannes Leonardo ed il dottore Petro Fran.co Oliverio della terra di Cutro.[xxxviii]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Un delinquente

Il malcostume e le frodi evidenziate nello scritto anonimo fatto pervenire all’arcivescovo di Santa Severina, tratteggiano un quadro sufficientemente illustrato delle condizioni in cui versava il monastero in tale periodo. Lo testimonia un atto dalla data controversa ma riconducibile agli anni 1621-1623. In quella occasione, “In montanea, et proprie in refettorio”, “ad sonum Campanelli more solito”, si congregarono “Patre” fra Laurentio da Policastro, “guardiano” del venerabile monastero di “Santae Mariae della spina” di Policastro ed i frati, alla presenza di Stefano Capozza procuratore del monastero.

Detto “pater guardianus” asseriva che, negli anni passati, il sig.r Scipione Suriano di Crotone “come persona Regia”, aveva preso carcerato dentro il monastero Gio. Berardino Frontera di Scigliano “habitante” in Policastro “publico delinquente”. In relazione a tale atto, il Suriano ed i suoi compagni erano stati scomunicati dalla corte arcivescovile di Santa Severina. A questo punto “per le diligentie” usate dal detto Suriano, il Frontera era stato “restituito in Napoli al refuggio”, mentre il Suriano chiedeva che gli fosse tolta la scomunica. Discussa la questione, il guardiano, il procuratore ed i frati concludevano che, per quanto di loro competenza, al Suriano poteva essere rimesso ogni addebito. Sottoscrissero l’atto con il loro nome, fra Lorenzo di Policastro “Guard.no”, fra Thomaso di Scigliano, fra And.a di Casabona, fra Girolimo di Policastro e con il segno di croce, fra Dovico de Policastro “idiote” e fra Joanne de Policastro “idiote”. Stefano Capozza lo sottoscrisse in qualità di procuratore del monastero e come “Judice à Contractus”.[xxxix]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Penitenza ed espiazione

In questo quadro non esaltante che aveva contraddistinto la vita del monastero, minando gravemente il suo prestigio, l’apparizione della reliquia sottolinea una nuova fase, caratterizzata da una riorganizzazione tendente a portare i frati verso una condotta di vita più aderente alla regola. Il culto della spina divenne così l’elemento di spicco del monastero ed il principale richiamo per la popolazione di Policastro e dei territori vicini.

Ciò assumeva particolare rilevanza nei momenti in cui la reliquia era esposta pubblicamente: “L’ordinaria sua Mostra occorre in due Mesi dell’anno, cioè ogni venerdì di Marzo, in memoria della Morte, e Passione di Gesù Cristo, che si può dir il di del suo Natale, e due volte in quel di Agosto, cioè à 15, e 22, p.o ed ottavo giorno della Sua maggior sollenità a del suo arrivo di Francia”.[xl] La venerazione della sacra reliquia, comunque, raggiungeva il massimo del coinvolgimento popolare in occasione delle calamità quando, essendo considerata la principale e più sicura protezione dei cittadini, si trasportava processionalmente nell’abitato, dove rimaneva custodita fino al giorno successivo, quando era restituita ai frati. Alcuni documenti, infatti, testimoniano che, a seguito del terremoto del 1638, la devozione verso la reliquia si accrebbe. Il primo documento che si rinviene nei protocolli dei notari policastresi dopo questo sisma, riguarda l’atto attraverso cui la Beata Vergine Maria della Santissima Spina, fu assunta quale particolare protettrice da parte dell’università di Policastro.

Il 4 aprile 1638, davanti al notaro, si costituivano, da una parte, il R.do padre fra Petro della terra di Bisignano, “Guardiano” del monastero della S.ta Spina di Policastro, mentre dall’altra, si costituivano i componenti del regimento di Policastro: il dottore Joannes Fran.co Aquila ed Alfonso Pagano “sin.cis”, con Mario Tronga e Jacinto Giordano “elettis”, i quali asserivano che la detta università, aveva preso per particolare protettrice la Beata Vergine Maria della Santissima Spina, affichè difendesse e proteggesse i cittadini dai pericoli. Si stabiliva che il 15 agosto fosse il giorno della festa.[xli]

19 aprile 1648. Davanti al notaro comparivano Pietro de Paula “Sind.co”, Carlo Caccurio, Fran.co La Rosa e Giacomo Cavarretta “eletti” di Policastro, e Pietro Curto di Policastro, procuratore del venerabile monastero dei minori osservanti sotto il titolo di S.ta Maria della Spina, in merito alle modalità di svolgimento della processione, attraverso la quale, la spina era portata nell’abitato e poi ritornava nel monastero: “… come per particolar devotione d’essa un(iversi)ta, essi Cittadini, et in rendim.to di tante gratie, che giornalm.te hanno ricev.to, e riceveno dalla Misericordia d’Idio per intercessione delli R. R. Padri Commoranti in d.tto Vene(ra)b(i)le Monasterio si sono deliberati di fare, cosi come hanno fatto Universal Processione in detto V(enera)b(i)le Monasterio, e pigliato la S. S. Spina, che ivi stà reposta, e condurla così come han condotto in essa Città con la devotione, e pompa che s’è possuto cosi come hanno esequito essi R. R. Padri, e dopo fatta d.a Processione redurre l’istessa S. S.ma Spina processionalm.te nel med.mo V(enera)b(i)le Monasterio, alche è sequito con gratia d’Idio hoggi Dom.ca. Che però hoggi pred.tto di li pred.tti Mag.ci Sind.co, et altri del Regim.to spontem … sed omni meliori viam s’obligano insolidum d’andare unitam.te con tutto il Populo, et esequire la pre(se)nte process.ne per insino a d.tto V(enera)b(i)le Monasterio, e quella accompagnare con quella devotione et pompa conveniente processionalm.te con il R. Clero, et confraternità d’essa Città, e ridurre d.a S. S. Spina in d.tto Monasterio come di sop.a. Et esso Pietro Curto Pr(ocurat)ore s’obliga curare con effetto ch’essi R. R. Padri habbiano d’assistere in essa Processione.”[xlii]

In tali occasioni, l’università era tenuta ad accollarsi la spesa per la luminaria della processione, con la quale si accompagnava la reliquia dalla porta della chiesa fin dentro l’abitato, passando per la porta cittadina detta “del Castello”. Attraverso tale atto penitenziale si sottolineava così l’accoglienza della sua benevola influenza protettiva: “… è tal volta sè stringesse più l’urgenza con trasportarla Processionalmente (in distanza di due miglia) à quella Sua Città; e un’altro nel circuito d’essa. La quale in tal Caso sta in obligo di corrispondere sopra l’altre spese à quella della luminiera; che primieramente non era men che di cinquecento libra di Cera lavorata, è la riceve convenuta innanza con tre solenni, e giurati Istrumenti. Il primo nella Soglia di quella sua Chiesa. Il Secondo nel Ponte, ed’il terzo nella Porta del Castello, o sia l’Istesso strumento, che si legge in questi tre luoghi; è si stipulano tre atti continentino di renderla il secondo giorno à frati. Così sappiamo d’aver fatto all’anno 1638, che sepolta la Calabria detta prima, che morta, da terribili tremuoti, tutto che Policastro per essere d’alto sito, ed’arenoso, fosse il più danneggiato nella Comarca in trecento cinquanta tre tra Templi, Palaggi, e Case atterrati, secondo il Conto di Luzio Orsi.” (…) “Così all’anno 1656 Cominciando la Peste dal Capo della Provincia …” (…) “Così verso il 1673, 85, 94, 1705, 1714, 1720, del secolo corrente, quasi abbronsite l’erbe, e le Piante, non che le Massarie, dal Ciel fatto di Bronzo in Castigo dè Peccati delli Uomini per comando divino (…) e parea che Iddio si tenesse in Cintola le Chiavi delle nubi”.[xliii]

Petilia Policastro (KR), processione della S. Spina.

Al limite del Castanetum

Il luogo detto “Santa Maria” caratterizzato dalla presenza del monastero, dove giungeva “la via publica che si va in detto monasterio”,[xliv] si ritrova ad un’altitudine di circa 600 m.s.l., sul limite inferiore del Castanetum che, superiormente, raggiunge quota 1200. La toponomastica che si rintraccia nei documenti, infatti, fa differenza tra “Santa Maria”, o “Santa Maria la spina”, e “sopra santa Maria della spina”. Il primo luogo era caratterizzato, oltre che dal castagno, dalla presenza di possessioni arborate con diversi fruttiferi (quercia, pero, gelso, fico, ciliegio, susino, vite, noce), il secondo era dominato dai castagneti, che si estendevano nella “montagna”, dove s’inoltrava la via pubblica “ubi vaditur in castaneis”,[xlv] che risaliva addentrandosi nella selva.

La presenza del monastero in questo luogo di confine, tra lo spazio coltivato, domestico e rassicurante, e quello selvatico della “Montagna”, periglioso ed incerto, evidenzia e circoscrive le funzioni del santuario, che si pone a garanzia e protezione dell’uomo su tale limite naturale. Ne fanno fede i simbolismi presenti sul portale della sua chiesa che, ancora oggi, ci consentono di appurare come l’uomo medievale immagginasse l’esistenza di una realtà mostruosa che si estendeva al di là del suo conosciuto, fuori dall’ordine urbano.

Petilia Policastro (KR), particolare del portale del santuario della S. Spina.

I luoghi

Gli atti dei notari policastresi della prima metà del Seicento, conservati all’Archivio di Stato di Catanzaro, ci consentono di ricostruire il paesaggio esistente nelle vicinanze del monastero a quel tempo e di percepirne il mutare.

21 luglio 1605. Il notaro Horatio Scandale di Policastro, per riscattare un ortale “sicomis arboratum” pignorato, detenuto al presente da Cesare Curto, prendeva in prestito da Joannes Baptista Rocca, procuratore della venerabile chiesa di S.ta Caterina, la somma di ducati quaranta, impegnandosi a pagare l’annuo censo di ducati quattro ed obbligando alcuni suoi beni, tra cui: una possessione arborata con diversi alberi, posta nel territorio di Policastro loco detto “santa maria”, confine il venerabile monastero di “s.tae Mariae della spina”.[xlvi]

4 dicembre 1606. Isabella Rizza, con il consenso del marito Joannes Fran.co Campitello, donava al venerabile monastero di S.ta Maria della Spina, rappresentato dal suo procuratore Serafino Cavarretta, la “possessionem” arborata di castagne ed altri alberi, posta nel territorio di Policastro “in loco ubi dicitur loco ditto santa maria”, confine i beni di Joannes And.a Rizza ed i beni del barone di Cotronei.[xlvii]

26 sttembre 1607. Alfontio Coco di Policastro vendeva a Joannes Antonio Palmerio di Policastro, il “castanetum” posto nel territorio di Policastro loco detto “sopra santa maria della spina”, confine il “castanetum comunium”, il “castanetum” di Fabio Bruna, il “castanetum” di Gregorio Commeriati ed altri fini.[xlviii]

17 aprile 1608. Isabella Mancaruso di Policastro, vedova del quondam Natale de Martino, vendeva a D. Auria Morana baronessa di Cotronei e Carfizzi, procuratrice di D. Diana Sersale, alcuni beni tra cui: il “Castanetum” posto in territorio di Policastro nel loco detto “sopra santa Maria della spina”, confine il “castanetum” della corte, il “castanetum” di Ferdinando Rizza ed altri fini.[xlix]

18 aprile 1608. Il notaro Horatio Scandale di Policastro vendeva a Serafino Cavarretta di Policastro, quale procuratore del venerabile monastero di Santa Maria della Spina di detta terra, la “possessionem arboratam” posta nel territorio di Policastro loco detto “santae Mariae spinis”, confine i beni del venerabile monastero dalla parte “inferiore”, la via pubblica “ubi vaditur in castaneis”, i beni dei “de Caira” dalla parte superiore, i “Comunia dittae terrae” ed altri fini.[l]

10 aprile 1613. In occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Marcello Crocco della terra di Cutro, e Polita Cimini figlia di Joanne Laurentio Cimino “alias fegatale” di Policastro, nella dote figura un “Castagnito” posto nel territorio di Policastro, loco detto “sopra santa maria della spina”, confine le castagne di Gugliermo Coliccia, Fabio Rotundo e “le Castagne dello Comune”.[li]

13 dicembre 1616. In occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Sebastiano Scalise e Caterina Mazzuca, tra i beni della dote figurava “la mita delle castagne” poste nel loco detto “santa maria”, che erano state lasciate alla futura sposa dal suo primo marito Gratiano Caira, confine le castagne di Fabio Anmerato ed altri fini.[lii]

19 settembre 1622. In occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Camilla de Martino, vedova del quondam Minico Palazzo, e Matteo Bruna “alias fasolo”, tra i beni della dote figurava il “Castagnito” posto nel territorio di Policastro, dove si dice “sopra Santa Maria”, confine “lo Castagnito della Corte” e Narciso Riccio.[liii]

28 novembre 1625. In occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Camilla de Martino, vedova del q.m Matteo Fasolo, e Rinaldo Ceraldo della terra di Mesoraca, tra i beni della dote figurava il “Castagnito” posto nel territorio di Policastro, loco detto “sopra santa maria la spina”, confine “le castagne della Corte”, “le castagne delli venturi” ed altri fini.[liv]

30 giugno 1629. In occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Petro Poerio e Francischina Martulotta, figlia del q.m Joanne Aloisio Martulotta, tra i beni della dote figurava la parte della “possessione” appartenuta al q.m Fabio de Mauro, loco detto “santa maria” territorio di Policastro, arborata di “Castagne, Cerasa” ed altri alberi, confine l’altra parte di detta Caterina, “le castagne delli tuscani”, “le castagne delli farachi” e “la poss.ne dello barone”, via pubblica mediante.[lv]

25 aprile 1633. In occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Anna Turturella di Policastro e Joannes Dom.co Levato di Policastro, tra i beni promessi dalla detta Anna al suo futuro sposo, troviamo anche la metà di un “Castagnito” loco detto “sopra Santa Maria la spina”, confine la possessione del q.m Gugliermo Coliccia, che Fabio Rotundo aveva promesso a Berardina Spano, madre delle detta Anna, dopo la sua morte.[lvi]

29 aprile 1634. In occasione del matrimonio tra Joannes Maria Cappa ed Elisabetta Martulotta, figlia del q.m Joanne Aloisio Martulotta, apparteneva alla dote della futura sposa, la possessione loco “Santa Maria la spina” territorio di Policastro, arborata con “Cerasa, Castagne” ed altri alberi fruttiferi, confine la possessione di Fabio Rotundo, “la parte che tocco” a Petro Poerio, la possessione di Gugliermo Coliccia, ed altri fini.[lvii]

3 agosto 1635. Riassunzione in forma pubblica dell’atto del 27 agosto 1628 rogato in Cotronei dal quondam notaro Horatio Scandale, attraverso il quale D.na Auria Morano vedova di Mutio Sersale, baronessa di Cotronei e Carfizzi, nonchè “utilis d(omi)na Introitum Baronalium Civitatis Policastri”, aveva affittato a Fabio Rotundo per anni 10 per il prezzo di ducati 10 all’anno, una possessione arborata che deteneva in burgensatico e che gli proveniva dall’eredità del quondam D.no Francisco Morano suo genitore, arborata con diversi alberi posta nel territorio di Policastro loco detto “Santa Maria della spina”, con terre contigue e casaleno “sive evidentia”.[lviii]

23 novembre 1635. In occasione della compilazione dell’inventario dei beni del quondam Gio. Battista Carpensano, nipote di Laura Blasco, si menziona la gabella posta nel territorio di Policastro loco detto “biamonte”, arborata di “Cerse, et qualche pede di olive”, confine i beni di S.ta Maria la Spina, gli eredi del quondam Livio Zurlo, D. Gio. Gnacovo Aquila ed altri fini.[lix]

17 aprile 1636. In occasione della compilazione dell’inventario dei beni del quondam Fabio Rotundo, si citano: una possessione loco detto “Santa Maria la spina” arborata con diversi alberi “con casa”, sopra la quale si pagavano ducati 10 all’anno agli eredi della quondam sig.ra D. Aurea Morano, confine “le castagne” di Petro Poerio, i beni del detto monastero ed altri fini; un capitale di 100 ducati più le terze decorse e non pagate alla ragione dell’8 %, sopra la possessione di “Santa Maria” che detenevano gli eredi del quondam Livio Zurlo.[lx]

2 settembre 1637. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, i coniugi Petro Poerio e Francischina Bartolotta donavano al cl.o Fran.co Bartulotta di Policastro, alcuni beni tra cui: la possessione arborata di “Cerasa, Castagne” ed altri alberi fruttiferi, posta nel territorio di Policastro loco “santa maria della spina”, confine la possessione di Gio. Maria Cappa, la possessione di Jacinto de Cola ed altri fini, mentre i coniugi Joanne Maria Cappa e Lisabetta Bartulotta gli donavano la possessione arborata di “Cerasa, Castagne, nuci” ed altri alberi fruttiferi, posta nel territorio di Policastro loco “santa maria della spina”, confine la possessione degli eredi di Gugliermo Coliccia, la possessione di Gianetto Tuscano ed altri fini.[lxi]

15 ottobre 1637. Claritia Caccurio di Policastro, vedova del quondam Marco Antonio Poerio, riceveva da Joannes Alfonso Campitello di Policastro, per parte delle figlie ed eredi del quondam Gugliermo Coliccia, ducati 15 di cui ducati 12 e ½ di capitale. Relativamente a questa somma, detta Claritia era creditrice nei confronti di detti eredi sopra “lo castagnito” che questi possedevano nel territorio di Policastro loco detto “santa maria”.[lxii]

11 maggio 1638. Caterina Rocca con il consenso di Joannes Vittorio Fanele suo marito, Anastasia Rocca con il consenso del marito Joannes Antonio Costantio, e Jacinto Salerno, eredi del quondam D. Gio. Fran.co Rocca, loro fratello e zio di detto Jacinto, decidevano, tra le altre cose, che rimanesse tra loro in comune ed indiviso anche il castagneto loco detto “la montagna”, “sopra parte lo monasterio di santa Maria la spina”, confine le castagne di Jacinto di Cola ed altri fini.[lxiii]

7 agosto 1638. In occasione del matrimonio tra Gio. Gregorio Cerasaro e Maria Zurla, tra i beni appartenenti alla dote, troviamo la possessione di “Santa Maria”, arborata di “celsi, pira, fico, brune” ed altri alberi fruttiferi, posta nel territorio di Policastro, confine i beni degli eredi del quondam Andria de Mauro, i beni del venerabile monastero di Santa Maria “la spina”, “la trazza trazza” ed altri confini, gravata dal peso di annui ducati 6 al detto monastero.[lxiv]

10 agosto 1642. In relazione all’acquisto di una vigna, Jo. Leonardo Prospero della terra di Mesoraca ma abitante in Policastro, non possedendo tutto il denaro necessario per pagare il dovuto, s’impegnava a pagarne una parte alla metà di agosto prossimo, ponendo a garanzia i suoi beni, tra cui il “castaneto” posto nel loco detto “Sancta Maria”, confine il “Castanetum” di Salvatore Cavarretta ed altri fini.[lxv]

13 ottobre 1642. Leonardo Tuscano di Policastro vendeva al C. Joanne Baptista Cerasaro di Policastro, il “Vineale arboratum quercuum et aliorum arborum fructiferorum” posto nel territorio di Policastro, nel loco detto “Santa maria della spina”, confine la possessione di Jo. Gregorio Cerasari, le terre di Jo. de Mauro, il “vallonem Sanctae Mariae” ed altri fini.[lxvi]

2.04.1646. Leonardo Tuscano di Policastro vendeva a Carolo Vaccaro di Petra Fitta ma, al presente “incola” in Policastro, la metà di un castagneto posto nel distretto di Policastro, loco detto “Santa Maria della spina”, confine il “Castanetum” di Jo. Maria Cappa, il “Castanetum” dell’olim Guglielmo Coliccia ed altri fini. La metà del castagneto oggetto della vendita era riconoscibile per la presenza di “uno pede di Peraiina” e del “muzzune d’uno pede di Cersa”.[lxvii]

19 gennaio 1653. In occasione del matrimonio tra Joannes Nicolao Misiano ed Elisabeth Tuscano, tra i beni appartenenti alla dote, troviamo “la parte sua delle castagne” possedute da Joanne Tuscano padre della futura sposa, che questi deteneva in comune ed indiviso con gli altri suoi fratelli, nel territorio di Policastro loco detto “S.ta Maria”, confine “le Castegne” di Salvat.re Cavarretta, “le Castegne” di Gio. Maria Cappa ed altri fini.[lxviii]

25 gennaio 1654. In occasione del matrimonio tra Claritia Converiati e Fran.co Grano, tra i beni appartenenti alla dote, troviamo il “Castagnito” posto nel territorio di Policastro nel loco detto “Sop.a Santa Maria”, confine “lo Castagnito delli blasci”, “lo Castagnito delli Vecchi”, “lo Castagnito de Fran.co Mannarino” ed altri fini.[lxix]

Nel novembre del 1654, Fortunato Curto deteneva in affitto la possessione di D. Gio. Jacovo Aquila nel loco detto “S.ta Maria”.[lxx]

30 novembre 1655. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, la vedova Francischina Bartulotta donava al cl.co Gerolimo Poerio alcuni beni, tra cui il “Castagnito” posto nel territorio di Policastro loco detto “S.ta Maria della spina”, confine “le Castagne” di Gio. Maria Cappa, “le Castagne” di Gianne Tuscano ed altri fini.[lxxi]

Petilia Policastro (KR), il santuario della S. Spina ed il paesaggio che lo circonda, fanno da cornice alla foto di una famiglia del luogo.

La torre di Santa Maria

Durante la prima metà del Seicento è documentata l’esistenza di una torre detta “di santa Maria” vicino al monastero, che confinava con l’orto dello stesso monastero mediante la trazza, ossia “la via publica che si va in detto monasterio”.

Il 15 febbraio 1621 per un debito di 150 ducati, Laurentio Ceraldo ordinario serviente della regia curia di Policastro, su istanza del creditore Hieronimo Cosentino delle pertinenze della città di Cosenza, ma al presente abitante in Policastro, incantava a Joannes Thoma Tronga, la “possessione seu Clausura” del debitore Fabio Rotundo, arborata con diversi alberi fruttiferi, nella quale si trovava “quandam turris vulgo ditta di santa Maria”, posta nel “tenim.to” di Policastro loco detto “santa Maria”, confine l’orto del “venerabilis monasterii divae mariae de fratibus seu santiss.mae spinae” via mediante, e la possessione di Andrea de Mauro, gravata dal peso di annui ducati 6 nei confronti del monastero di S.ta Maria la Spina.[lxxii]

Lo stesso giorno, il detto Laurentio immetteva il detto bene comprendente la “turris”, nel possesso dello stesso Hieronimo Cosentino, cui era stato ceduto dal detto Joannes Thoma che se lo era precedentemente aggiudicato per persona nominanda. Il detto Hieronimo poteva così compiere gli atti soliti che comprovavano tale possesso: “aperire et Claudere faciendo fenestram et ianuam turris p(raedi)ttam, eiusque Clavis Consignando”.[lxxiii]

17 aprile 1636. Su richiesta di Dianora Coco, vedova ed erede del quondam Fabio Rotundo, si redigeva l’inventario “seu ripertorium” dei beni del defunto, dove figurano tra i crediti: ducati 100 di capitale più le terze decorse e non pagate alla ragione dell’ 8 %, sopra la possessione di “Santa Maria”, che detenevano gli eredi del quondam Livio Zurlo.[lxxiv]

8 luglio 1636. In occasione della compilazione dell’inventario dei beni appartenuti al quondam Fabio Rotundo, si cita: l’annuo censo di ducati 8 per un capitale di ducati 100, sopra la possessione che detenevano gli eredi del quondam Livio Zurlo, loco detto “santa maria la spina” territorio di Policastro, confine gli altri beni del detto quondam Livio, i beni del quondam Andrea de Mauro e “la via publica che si va in detto monasterio”. Nell’inventario delle carte e dei libri del morto, risultava “uno Instromento in carta pecorina” stipulato con la baronessa di Cotronei, relativo alla possessione di “santa Maria”.[lxxv]

14 giugno 1643. Joannes Baptista Callea in qualità di procuratore del monastero di S.ta Maria “de spina”, con il consenso del padre guardiano e degli altri frati che componevano la famiglia, vendeva al chierico Joannes Baptista Cerasaro di Policastro, “quandam Turrim existentem prope dictum Venerabilem Monasterium intus Possessionem quae possidetur per Joannem Gregorium Cerasarum quae fuit olim fabii Rotundi iuxta Viam publicam, et alios fines”, per il prezzo di ducati 30 stimato dai “Magistris fabricatoribus” Fran.co Abruzzise e Aloisio Vallone.[lxxvi]

Petilia Policastro (KR), il campanile del santuario della S. Spina.

 

La via, il passo ed il ponte

Numerosi documenti seicenteschi evidenziano che “la via publica che si va al monasterio di Santa Maria la spina”,[lxxvii] passava per la località “paternise”,[lxxviii] ed i luoghi vicini detti: “l’acqua di donna Maria loco ditto paternise”,[lxxix] “le corficelle” e “la Conicella di q.a parte lo fiume”, ovvero “le timpe della Conicella”, o “rupas dictas della Conicella”.[lxxx] Quindi giungeva al fiume Soleo, dove erano il passo ed il ponte detti di “Santa Maria”, che consentivano l’attraversamento.

Un atto del 24 giugno 1629 c’informa che in questo punto, vi erano state mutazioni del percorso della vecchia via che raggiungeva il monastero. Quel giorno, in occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Cesare Castellino della terra di Cropani ed Anastasia Conmeriati di Policastro, tra i beni della dote figurava la possessione detta “lo passo di Santa maria” arborata di “cerasa, pira” ed altri alberi, confine “la via vecchia, et nova che si va al monasterio di Santa maria la spina”.[lxxxi]

Lavori al ponte si segnalano agli inizi del Seicento. Un atto del 16 maggio 1616 evidenzia che, relativamente ai “fiscali” di Policastro, “circa li franchi” dalla contribuzione, vi era Ant.o Lanso per la somma di ducati 10 “per l’occasione del ponte”.[lxxxii]

Petilia Policastro (KR), il ponte lungo la vecchia strada che congiunge il paese al santuario della S. Spina (da meravigliedicalabria.it).

Il luogo

Il luogo detto “lo passo di Santa Maria”, o “lo Ponte de S.ta Maria”, ovvero il “loco ditto il ponte del passo di s.ta Maria della Spina”, dove era il “passo dello ponte che si va in Santa Maria”, era caratterizzato dalla presenza di una fonte e da vignali, o ortali, dove predominava il gelso nero.

Il ponte compare già il 9 gennaio 1593 in un atto riassunto il 4 settembre 1606, dove si menziona il “loco ditto il ponte del passo di s.ta Maria della Spina”, dove c’era il “vinealem”, o “ortalem arboribus arboratum sicomorum”, di Salvator Schipano che questi aveva acquistato da Vincentio e Fabritio Faraco, padre e figlio, confine i beni di Minico de Albo, la via pubblica ed altri fini.[lxxxiii]

24 ottobre 1615. In occasione della stipula dei capitoli matrimoniali tra Betta di Albo di Policastro, vedova del quondam Joannes de Percia “alias futino”, e Fran.co Cavallo de Pinto di Policastro, tra i beni della dote troviamo un ortale di gelsi posto nel territorio di Policastro, loco detto “lo passo di santa maria”, confine “li celsi” di Fabritio Faraco, “lo fiumme di soleo” ed altri fini.[lxxxiv]

9 dicembre 1632. In occasione della compilazione dell’inventario dei beni del quondam Joannes Fran.co Schipano, si citano: “li celsi dello passo di santa maria la spina di detta citta Cioe dello ponte”, confine “li celsi” di Fabritio Faraco, “et l’acqua dello passo di detto ponte”.[lxxxv]

27 aprile 1634. Essendo avvenuto il matrimonio tra Lucretia Schipano e Fran.co Rocciolillo, Joannes Dom.co Schipano, fratello di Lucretia, consegnava i beni pattuiti nei capitoli matrimoniali, tra cui: “li celsi del passo dello ponte che si va in santa maria”, confine “li celsi” di Fabritio Faraco, la via pubblica ed altri fini.[lxxxvi]

9 novembre 1636. Vittoria Leotta di Policastro, erede testamentaria del quondam presbitero D. Joannes Leotta di Policastro suo fratello, con il beneplacito di Fabritio Faraco suo marito, essendo debitrice nei confronti del R.do D. Joannes Dom.co Fiorilla per ducati 57, in vigore dei legati fatti il 9 dicembre 1627 da suo fratello, in beneficio del cl.o Gio. Dom.co Fiorilla, gli vendeva l’annuo censo di annui ducati 6 sopra i frutti dei suoi beni. A garanzia dell’acquirente, il detto Fabritio obbligava il suo “ortale di celsi”, loco detto “lo passo di Santa Maria la spina”, confine “li celsi” degli eredi del quondam Fran.co Schipani, la via pubblica ed altri fini.[lxxxvii]

4 settembre 1639. Fabritio Faraco e Vittoria Leotta, erede testamentaria del quondam presbitero Joannes Leotta e moglie di detto Fabritio, assieme al diacono Salvatore e Pietro Faraco, insolidum, vendevano al R.do D. Joannes Antonio Leusi, procuratore del Pio Monte sotto il titolo di S.to Gregorio, posto dentro la chiesa matrice di S.to Nicola “de platea”, l’annuo censo di ducati 7 per un capitale di ducati 70, infisso sopra alcuni beni, tra cui figura: la metà dell’ortale arborato “sicomorum” posto nel territorio di Policastro loco detto “lo ponte divae mariae spinis”, confine dall’altra parte i vignali degli eredi del quondam Joannes Fran.co Schipani, la via pubblica ed altri fini.[lxxxviii]

12 settembre 1644. In occasione della vendita di una domus palaziata, effettuata da Domenica Vaccaro di Policastro e dal Rev.o D. Salvatore Faraco suo “Avunculo”, nei confronti di Francisco Mannarino, i venditori ponevano a garanzia alcuni stabili tra cui: il “fundum” detto “di quella parte il ponte di Santa Maria”.[lxxxix]

15 febbraio 1645. Il Rev.o D. Salvatore Faragò di Policastro, avendo bisogno di ducati 50, con il beneplacito del vicario generale di Santa Severina, li riceveva in prestito dal Rev.o D. Joannes Andrea Romano di Policastro, ponendo a garanzia i suoi beni patrimoniali, tra cui figurava la “Clausuram sicomorum” posta nel territorio di Policastro nel loco detto “lo passo di Santa Maria”, confine i “sicomos” di Francisco Rocciolilli, la via pubblica ed altri fini.[xc]

17 settembre 1645. Il Rev.o D. Salvatore Faragò di Policastro, con il beneplacito del vicario generale di Santa Severina, dovendo consegnare a questi del denaro e non avendo altro modo per pagare, otteneva di prendere a censo i ducati 50 del Pio Monte dei Morti eretto dentro la chiesa parrocchiale di S.to Nicola “di Greci”, che erano stati affrancati da Martino Vecchio, ponendo a garanzia le robbe dotali di suo padre che egli possedeva a titolo di patrimonio. Tra i beni posti a garanzia figurava la “clausuram sicomorum” posta nel territorio di Policastro, loco detto “lo passo di Santa Maria”, confine i beni di Francisco Rocciolilli, il “flumen solei” ed altri fini.[xci]

13 marzo 1647. Il Rev.o presbitero Salvatore Faragò di Policastro, ritrovandosi debitore nei confronti di Dominico Ammannato di Policastro, per la somma complessiva di ducati 50, non avendo il denaro per pagare, con l’assenso della curia arcivescovile di Santa Severina, assegnava al detto Dominico l’annuo censo di ducati 5 sopre le sue robbe patrimoniali, tra cui figurava la “possessione di Celsi” posta nel territorio di Policastro loco detto “il passo di S. Maria”, confine i beni di Fran.co Rocciolillo, la via pubblica ed altri fini.[xcii]

26 settembre 1649. In occasione della stipula dei capitoli matrimoniali di Elisabeth Nigro e Paulo de Florio di Policastro, nella dote compariva un “Vignale arborato di Celsi”, posto nel territorio di Policastro loco detto “lo Ponte de S.ta Maria”, confine “li Celsi” degli eredi di Fabritio Faraco ed altri fini.[xciii]

Questo paesaggio sussisteva alla metà del Settecento, come c’informano le rivele del catasto onciario del 1742. Il bracciale Giando de Vona di Pietro Paolo di anni 22, possedeva un “Pezzo di terra nel Ponte di S.ta Maria”,[xciv] ovvero “uno pezzetto di terra alberato di Celsi neri nel luogo d.to Il Ponte”.[xcv] Il “Molett.re” Giovanni Cappa di anni 60, possedeva un vignale di ½ tt.o nel luogo detto “Il Ponte”, confine il vignale di Giuseppe Berardi.[xcvi] Il bracciale Leonardo Cirisano di anni 28, possedeva una “Poss.e in Soleo”,[xcvii] ovvero “uno piccolo vignale nel luogo detto Il Ponte di Santa Maria, Con tre piantoni di Celzi Neri”.[xcviii] Silvestro Berardi inabile alla fatiga, o invalido, di anni 68, possedeva un vignale “nel Ponte”,[xcix] ovvero “Un pezzo di terra nel luogo detto Il Ponte di S. Maria alberato di puochi piedi di Celzi” confine quello di Anastasia Ceraldi.[c]

Petilia Policastro (KR), il ponte lungo la vecchia strada che congiunge il paese al “Conv.to S. Spina”, in un particolare del foglio N.° 570 Petilia Policastro della Carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

La Destra della Serra

Un atto del 13 maggio 1638 c’informa che nelle vicinanze del ponte, esisteva una serra appartenente all’entrate feudali della corte di Policastro che in quell’occasione fu ripristinata. Nei mesi passati, tra “mastro” Nardo Diodato, Thomasi, Paladino e Ciccio Cosco della “Città” di Taverna, da una parte, ed il dottor Mutio Giordano, affittatore dell’entrate baronali di Policastro, agente assieme al dottor Felice Massaro, procuratore del Signor Marchese di Sangiuliano, “balio” del Sig.r D. Horatio Sersale, “barone di dette Intrate baronali”, dall’altra, era stato convenuto di realizzare “una Serra nova di serrare ligname d’ogni sorte et prop.o et proprio quella di detto Signore D. Horatio posta sopra lo ponte di Santa maria la spina dove se dice la destra della Serra che si sfice questo inverno per revolture di venti, et maltempi”. All’attualità, il detto mastro e compagni, per “fattura di detta Serra, et portatura de ligname, Cavam.to” e tutte le altre spese necessarie, escluso “li ferri bisognano in detta Serra”, ricevevano ducati 84, consegnando la detta serra “serrante” ai detti dottori Mutio e Felice, che si dichiaravano contenti e soddisfatti “della fattura di detta Serra”.[ci]

Il luogo è menzionato in occasione dell’apprezzo “della Città di Policastro, e della terra di Cotronei” compilato nel 1711, in occasione della vendita del feudo effettuata dall’Ill.e D. Carolo Caracciolo Duca di Belcastro nei confronti dell’Ill.e D. Gio. Baptista Filomarino Principe della Rocca d’Aspide: “Possiede 14° la baronal Corte il Territorio d.o la difesa, nominata destra della Serra, et è parte territ.o per uso di pascolo, e parte li Cittadini vi hanno fatto pastano di frutti; però d.i Cittadini devono Concordarsi per essere quello Corpo Feudale, però quello rende per uso di pascolo, oltre di quello si hanno piantato li Cittadini ann. d.ti quindeci dico 15” (…) “Difesa detta destra della Serra, nella quale alcuni particulari Cittadini vi hanno piantato Alberi di Celsi, e frutti, e fatti giardini per certa parte di detta difesa, per lo che devono, ò obligarsi di corrispondere il censo, conforme potrà convenirsi, ò pure devono rilasciare detti giardini in benef.o della Baronal Corte.”[cii]

In occasione della compilazione del catasto del 1742, troviamo che il bracciale Leonardo Cirisano di anni 28, possedeva un pezzo di terra “nelli Comuni di questa Città” nel luogo detto “le Destre della Serra”, confine le terre di Nicola Cirisano.[ciii]

Petilia Policastro (KR), il ponte lungo la vecchia strada che congiunge il paese al santuario della S. Spina (da meravigliedicalabria.it).

La famiglia

Durante i primi anni del Seicento la “Familia” dei frati commoranti nel monastero di Santa Maria della Spina, risultava composta da una decina di frati, i cui nomi, qualche volta, ricorrono tra quelli dei testi che sottoscrivevano gli atti dei notari di Policastro,[civ] oppure tra coloro che intervenivano nella stipula,[cv] o che si costituivano come parte.[cvi]

Altre volte, più diffusamente, rileviamo i loro nomi in occasione della stipula degli atti che riguardavano tutta la comunità. Occasioni in cui i frati, secondo l’uso solito, erano congregati in “Capitolum” attraverso il suono del campanello, nel “rifettorio” del monastero. Dalla loro menzione, o dalle loro sottoscrizioni, rileviamo che la guida del monastero era affidata ad un “guardiano” mentre, in alcuni casi, si evidenzia la presenza di un “vicario” ossia di un “priore”.[cvii] I frati, in maggioranza, provenivano dalla stessa Policastro, mentre, in misura minore, si rilevano alcune presenze dai centri vicini (Mesoraca, Santo Mauro), da altri centri del Crotonese (Crotone, Isola, Cropani, Casabona, Melissa, Cariati), ed anche dal Cosentino (Marzi, Aiello, Scigliano, Amantea, Bisignano).[cviii]

Petilia Policastro (KR), padre Venanzio Marturano, ultimo rettore francescano, che visse nel santuario della S. Spina fino al 1986.

I terziari

Alcuni documenti seicenteschi evidenziano che, oltre ai frati, il monastero ospitava anche alcuni “tersiariis” che non avevano preso i voti. Questi ultimi erano eletti dall’università di Policastro, affinchè servissero i frati. Trattandosi comunque di un privilegio che, accanto al proprio sostentamento, prevedeva esenzioni fiscali e la giurisdizione del foro ecclesiastico, divenire terziario rappresentava una funzione particolarmente ricercata, verso la quale si orientavano, non solo quelli che reputavano di mettere così più al sicuro la propria esistenza ma, soprattutto, quanti intendevano evadere i propri obblighi fiscali. Tale tendenza, evidentemente diffusa, è sottolineata da alcuni atti che fanno risaltare questo aspetto.

Il 18 ottobre 1630 “mastro” Gio. Battista Veneri della terra di Zagarise, “habitante” in Policastro, alla presenza del “sin.co” Gorio Bruna, asseriva che, negli anni passati, era stato “eletto tersiario” del monastero di S.ta Maria “la spina”, nel quale aveva “servito” conformemente a come si era obbligato. Al presente però aveva appreso che il detto sindaco ed altri del “Regim.to” di Policastro, volevano fare entrare “tersiario” in detto monastero “mastro” Gianni Caccurio. Il detto Gio. Battista evidenziava che, essendo detto Gianni “Cittatino principale che porta tutti li pesi” di Policastro, la sua nomina sarebbe andata in grave pregiudizio dell’università, mentre, essendo egli “foco” di Zagarise, non contribuiva a cosa alcuna. Sottolineava, inoltre, che in relazione al suo status, egli non godeva di alcuna esenzione fuorchè il “foro”. In relazione alla questione, il “R.do patre Ministro” dichiarava per iscritto che l’università avrebbe potuto eleggere chi voleva.[cix]

In relazione a queste frodi, evidentemente ricorrenti e diffuse, il 7 settembre 1636 Marcello Venturi “sin.co nobilium”, Hieronimo Poerio “sin.co honoratorum”, Jacinto Giordano, Joanne Dom.co Natale e Joanne Fran.co Mendolara, “elettis de regimine Civitatis Policastri”, istituivano il sig.r Petro Carpentario di Roma procuratore dell’università, affinchè comparisse nella “congregatione Cardinalium” nella città di Roma, “pro onnibus tersiariis sustitutis” dei monasteri di S.to Francesco di Paola di Roccabernarda, S.to Angelo in Frigillo di Mesoraca e “Santi Fran.ci de assisa” “habitanti” in Policastro che, in danno dell’università, evadevano il pagamento dei fiscali ed altro dovuto.[cx]

Anche chi aveva altri obiettivi era comunque costretto a mercanteggiare. Il 27 settembre 1655 Gio. Vincenso Caputo di Policastro donava a Pietro Curto di Policastro, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, la possessione arborta di “Vigna, fico, celsi, pira” ed altri alberi fruttiferi, posta nel territorio di Policastro loco detto “la fiumara”. Il detto procuratore s’impegnava a nome dei “Padri” del Monastero, affinchè il detto Gio. Vincenso fosse preso come “tertiario” nel monastero e gli fossero garantiti gli alimenti vita natural durante. Si specificava comunque che la detta donazione s’intendeva per “la fabrica che si farà in detto Monasterio”.[cxi]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Una vocazione motivata

Un atto stipulato il 4 luglio 1616 all’interno del monastero della Santa Spina, evidenzia che la scelta di farsi frate poteva anche essere motivata dalle impellenze. Quel giorno Vespesiano Pantisano di Policastro, che in passato era stato tra gli “eletti” dell’università,[cxii] volendo entrare come “monaco” nel monastero della Santa Spina, alla presenza di Joannes Thoma Richetta “proCuratore” del venerabile monastero della “santiss.mae mariae spinis”, compariva davanti ai frati dell’ordine di S. Francesco d’Assisi, congregati con il campanello nel “rifettorio”, per donare al monastero i suoi beni. Nell’occasione furono presenti: frate Fran.co di Policastro “guardiano”, padre Fratangilo di Policastro, fra Marco di Policastro, fra Luca di Policastro “vicario”, fra Gianni di Policastro, fra Camillo di Policastro, fra Luca di Marsi, fra Petro di Policastro, fra Salvatore di Policastro, fra Gregorio di Cotrone e frate Antonio di Isola.[cxiii]

In relazione a tale donazione, attraverso un nuovo atto stipulato due giorni dopo, il detto Vespesiano puntualizzava che tale donazione “ci le dava a detto monasterio per l’amor di dio, et per riparatione delle fabriche farà detto monasterio”, “quali robbe si possano vendere alienare et affictare”, utilizzando il denaro in beneficio del monastero “per riparatione delle fabriche faciende” per l’acquisto di abiti per i frati, o altro.[cxiv]

Fanno luce sulle ragioni della richiesta del Pantisano alcuni atti successivi. Il 28 settembre 1621, su istanza di Petro Paulo Serra marito di Auria Salerno, assieme a Fran.co Ant.o e Gerolimo Salerno di Policastro, contro Vespesiano Pantisano, debitore nei loro confronti per ducati 514 e grana 17, si provvedeva all’incanto dei beni del detto Vespesiano, che furono aggiudicati per ducati 350 al dottore Mutio Giordano, al tempo procuratore del monastero.[cxv] Il 20 aprile 1622 il detto Mutio cedeva l’incanto in beneficio dei detti de Salerno e Serra.[cxvi] Un atto del 14 marzo 1623 c’informa che Vespesiano Pantisano era già morto.[cxvii] L’8 ottobre 1623 Caterina Popaianni di Policastro, vedova del quondam Vespesiano Pantisano, e Joannes Fran.co Callea di Policastro, stipulavano i capitoli relativi al loro matrimonio.[cxviii]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina.

Luogo di sepoltura

Gli atti notarili più antichi di Policastro che si conservano presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, testimoniano che, già nei primi anni del Seicento, la chiesa del monastero della Santa Spina, dove esistevano alcune cappelle, era uno dei luoghi pii di Policastro particolarmente prescelto per la sepoltura dei morti.

Sono citate: la “cappella di Casa tronga”,[cxix] l’altare dei “santi Fran.ci et s.ti Jo(ann)is” della cappella appartenente ai coniugi Joanne Fran.co Campitello e Isabella Rizza,[cxx] la “cappella” di Orania Torres,[cxxi] quella dedicata alla “divae Caterinae”,[cxxii] mentre il pavimento della chiesa era caratterizzato dalla presenza di numerosi sepolcri apparteneneti alle principali famiglie di Policastro, come ricordava ancora il Mannarino agli inizi del Settecento: “La Chiesa primieramente era framezzata per lungo con un’ordine d’archi di Pietra bianca lavorata all’antica; né cui Pilastri, e lapidi sepolcrali del Pavimento stavano intagliate inscrizzioni degnissime Greche, e Latine; oltre alle Parieti tutte ripiene di Cone, e di Tabelle di voti, e grazie giornalmente ricevute dalla Sacrosanta Reliquia.”[cxxiii]

Anche se in maggioranza i testamenti riferiscono solo la generica volontà dei testatori di essere seppelliti nella chiesa del monastero, in alcuni casi si menzionano alcune specifiche sepolture. Tra quelle ricordate, troviamo: la sepoltura del quondam Serafino Rizza “et altri soi antepassati”,[cxxiv] dove Sanzone Salerno fece realizzare “la chiatra” “con larme di Casa Riccia e casa Salerno”,[cxxv] la sepoltura della “famiglia di monaco”,[cxxvi] la “sepoltura dove stà scritto il no(m)e di casa faraco”,[cxxvii] definita “Construenda” nel 1604,[cxxviii] la sepoltura di Marco Antonio Poerio, dove dispose di essere sepolta anche sua moglie Claritia Caccurio,[cxxix] quella in cui volle essere sepolto “Con l’habito” il C. Gio. Thomaso Campana, dove si trovava già seppellito Gio. Gregorio Campana suo fratello,[cxxx] il quale aveva lasciato ducati 50 al monastero “conche si seppellisse in detta Chiessa”,[cxxxi] e la sepoltura di Horatio Rocciolillo,[cxxxii] mentre, il 4 agosto 1654, Michaele de Aquila disponeva di essere sepolto nella sua sepoltura “che s’haverà da fare”.[cxxxiii]

Citando documenti conservati presso l’Archivio di Stato in Napoli, il Maone riferisce la circostanza della sepoltura della baronessa di Cotronei nel monastero: “D. Aurea Morano, baronessa «degli Cotronei e di Scalfizzi», morì all’improvviso nella sua terra di Cotronei il primo di giugno del 1630 e apprendiamo altresì che il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Maria della Spina (in Policastro) dove stava la sua cappella.”[cxxxiv]

Naturalmente, potevano trovare sepoltura nella chiesa del monastero anche i frati ed in alcuni, casi anche i loro parenti.

29 dicembre 1626. Davanti al notaro comparivano Feliciana Lansetta, vedova del q.m Ant.no Giannino, figlia ed erede della q.m Marcella Coiiello, assieme al “padre fra bonaventura di policastro”, anch’esso figlio della detta q.m Marcella ed esecutore testamentario a riguardo della sepoltura di sua madre. Per detto testamento, tale sepoltura sarebbe dovuta avvenire nella SS.ma Annunziata, o nel monastero della S.ta Spina, a scelta del detto fra Bonaventura. Al presente i due decidevano che il corpo della loro madre sarebbe stato portato nella SS.ma Annunziata per i divini offici e terminati questi, sarebbe stato portato nel detto monastero e seppellito.[cxxxv]

16 dicembre 1646. Nel suo testamento “Padre frà Antonio Lamanna de Cariati novitio de minori osservanti”, al presente “habitante” nel monastero di S.ta Maria della Spina, disponeva che il suo corpo fosse seppellito nella chiesa di S.ta Maria della Spina, o in quella chiesa, o monastero, in cui si fosse ritrovato al tempo della sua morte.[cxxxvi]

Risulta menzionata, inoltre, la “sepoltura delle monache”, dove erano tumulate alcune monache terziarie dell’ordine di S.to Francesco d’Assisi.[cxxxvii]

Petilia Policastro (KR), le celebrazioni della festa nel santuario della S. Spina.

Lasciti e donazioni

La possibilità di essere sepolti in un luogo sacro eminente, dove si conservava un’importante reliquia, nel corso degli anni, consentì al monastero di accumulare numerosi lasciti, come dimostranno i numerosi legati fatti in suo favore in occasione della stipula dei testamenti. Lasciti di beni mobili, stabili ed altro, gravati dall’onere della celebrazione di messe di suffragio per le anime dei defunti a carico del monastero, di cui scorriamo qualche esempio.

25 marzo 1630. Nel suo testamento, Joannes Paulo Cavarretta donava carlini 4 al monastero di S.ta Maria “della spina”.[cxxxviii]

25 settembre 1630. Livio Zurlo disponeva di essere sepolto nel monastro di S.ta Maria “la spina”, nella sepoltura della “famiglia di monaco”, e lasciava a S.ta Maria “la spina” uno “ienco delli due anni in tre”.[cxxxix]

8 ottobre 1630. Mutio Giordano U.J.D., disponeva di essere sepolto nel monastro di S.ta Maria “la spina” e lasciava uno “ienco” “delli due anni in tre” a detto monastero.[cxl]

8 ottobre 1630. Joannes Thoma Tronga lasciava a detto monastero, uno “ienco” “delli più grossi” che si fossero trovati al tempo della sua morte.[cxli]

19 ottobre 1633. Davanti al notaro comparivano la “sorore” Lisabetta Scuro e la “sorore” Costantia Nigra dell’ordine di S. Francesco d’Assisi, in qualità d’eredi della q.m Elena Scuro, mediante la persona del q.m dottor Gerolimo Poerio, costituendosi come debitrici del monastero di S.ta Maria “la spina”, in ragione degli annui ducati 8 relativi ad un capitale di ducati 80, lasciati al detto monastero dal detto q.m dottor Gerolimo Poerio e dalla detta q.m Elena Scuro, per il capitale dovuto dal q.m Gugliermo Coliccia. Essendo stato affrancato il detto capitale, le dette Elisabetta e Costantia s’impegnano a pagare il detto annuo censo sopra alcuni loro stabili.[cxlii]

2 ottobre 1634. Horatio Fanele si obbligava a pagare ducati 7 e ½ a Marcello Leusi sopra la possessione di “gorrufi”, per una “edonmada” che si serviva in S.ta Maria “la spina”.[cxliii]

18 dicembre 1635. In relazione al legato del quondam Fran.co Valasco, alcuni enti ecclesiastici di Policastro, tra cui il venerabile monastero della “divae mariae spinis D(omi)ni nostri Jesu Christi”, ricevevano le relative somme di denaro disposte nel testamento.[cxliv]

11 febbraio 1644. Elisabeth Cavarretta moglie di Leonardo de Renda, disponeva che il suo corpo fosse seppellito nel monastero di S.ta Maria della Spina, nella sepoltura che avrebbe scelto sua madre Minica Pipino e, tra le altre cose, lasciava tre ducati al monastero della S.ta Spina per celebrare tante messe da pagare, al tempo che si fosse ottenuto, con il denaro che le spettava dal Monte di Gorio Bruno.[cxlv]

27 luglio 1648. Gio. Pietro de Martino, figlio ed erede della quondam Catarina Spanò, donava al monastero di S.ta Maria della Spina e per esso, al suo procuratore Pietro Curto, la porzione dell’eredità lasciatagli da sua madre: le terre poste nel territorio di Policastro loco detto “Galioti” e la casa palaziata posta nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “delli Greci”, in maniera tale che con i frutti di tali beni, si potesse comprare l’olio per le lampade che stavano continuamente accese e la cera necessaria per la celebrazione delle messe nella chiesa del monastero. Il detto Gio. Pietro cedeva al monastero anche otto tomoli di orzo che si trovavano nella casa di Cola Giordano.[cxlvi]

10 aprile 1644. Joannes Baptista Callea confermava il lascito fatto da suo zio Aniballe al monastero di S.ta Maria della Spina, di una “litra d’oglio” ogni anno sopra le olive di “Comito”, conformemente all’accordo fatto con i frati del detto monastero. Disponeva, inoltre, che nel caso ci fosse stato impedimento ad essere seppellito nella chiesa del SS.mo Sacramento, si provvedesse nel monastero di S.ta Maria della Spina nella sua sepoltura.[cxlvii]

11 maggio 1644. In relazione alla divisione ereditaria dei beni dell’olim Gio. Ferrante Cerasaro e dei quondam C. Gio. Fran.co e Camillo Cerasari, al chierico Joannes Baptista Cerasari erano toccati il “territorio di Scardiati”, la “possessione di Vesparello”, le “terre della Salinara” e la “possessione delle Carita”, con l’obbigo di pagare a S.ta Maria della Spina tutte le ebdommade che gravavano le dette terre che, complessivamente, assommavano ad annui ducati 11.[cxlviii]

1 giugno 1646. Il chierico Gio. Battista Cerasari di Policastro, procuratore di Catharina e Geronima Cerasari della città di Catanzaro, sorelle ed eredi dell’olim C. Francisco Cerasaro, aveva ricevuto mandato di affrancare un capitale di ducati 100 nei confronti del “V. Convenctus S. Mariae della spina”, relativo alla celebrazione di un tot di messe lasciate per legato dal quondam Francisco Cerasaro.[cxlix]

30 novembre 1648. Nella divisione dei beni posseduti in comune dai fratelli D.r Lutio e Gio. Fran.co Venturi, a detto Gio. Fran.co andava la gabella posta nel territorio di Policastro nominata “li Ieni”, con il peso di annui carlini 30 al monastero di S.ta Maria della Spina, per la celebrazione di una ebdommada lasciata dal quondam Ascanio Venturi.[cl]

27 settembre 1655. Il R. D. Gio. Antonio Leuci donava a Pietro Curto di Policastro, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina ed a fra Marco di Melissa, “Padre Vic.s” di detto Monastero, ducati 25 appartenenti al suo patrimonio sopra la gabella detta “la Pizzuta”, assegnatigli da suo padre Marcello, ed alcuni debiti che gravavano diversi debitori, per circa ducati 30. Il R. D. Gio. Antonio s’impegnava anche a celebrare cinque messe ogni settimana nella chiesa del detto monastero ad elezione del Padre Guardiano, mentre il monastero s’impegnava a fornirgli tutti gli alimenti necessari alla sua persona.[cli]

5 novembre 1655. Nel suo testamento, Francisco Antonio de Mauro, lasciava una vacca a S.ta Maria della Spina.[clii]

Il testamento del capitano

Il 29 agosto 1654 veniva stipulato il testamento del mag.co Horatio Martire della terra di Figline, pertinenza di Cosenza, governatore e capitano di Policastro, rogato nella domus dell’U.J.D. Mutio Jordano. Con tale atto il capitano disponeva che il suo corpo fosse seppellito nella chiesa del monastero di S.ta Maria della Spina, nella sepoltura dove si trovava già suo fratello Pelio Martire. Istituiva suo erede il R. D. Jppolito Vetere di Figline, che avrebbe dovuto vendere tutti i suoi averi con il concorso di Andrea Cerentia “suo Compare”. Lasciava del denaro al monastero di S.ta Maria della Spina ed a quello delle Manche. Per il funerale si rimetteva al dottore Mutio Giordano.[cliii]

Petilia Policastro (KR), santuario della S. Spina, statua di S. Maria della Grazia (1554).

In affari

I beni ricevuti dal monastero attraverso i lasciti e le donazioni, erano utilizzati dai frati al pari della restante liquidità posseduta dal monastero. I beni stabili, infatti, venivano prontamente alienati da parte dei frati che, seppure utilizzavano parti del ricavato per il loro mantenimento e per la riparazione del convento, soprattutto lo reinvestivano per farlo fruttare. Ciò avveniva attraverso la vendita a particolari, o ad altri enti ecclesiastici, di capitali ad annuo censo che, durante la prima metà del Seicento, erano ceduti generalmente ad un tasso del 10 %, anche se non mancano vendite a tassi inferiori in particolari condizioni e per particolari operazioni.

30 marzo 1613. Negli anni passati, il presbiter Vincentio de Fiore, aveva ricevuto da “soro” Vincensa e da “soro” Girolima Cerasara di Policastro, un capitale di ducati 40, relativamente al quale, aveva provveduto a fare un censo di annui ducati quattro sopra la possessione “dello insarco” che possedeva a quel tempo. Ciò era avvenuto con il patto che detti quattro ducati, fossero pagati al monastero della “Divae Mariae Spinis” dietro la celebrazione di una ebdommada. Così era stato per “molti anni”. Successivamente però, dovendo la detta soro Vincensa restituire a Feliciana Scigliana ducati venti, e non avendo la detta debitrice altre risorse, si decise, alla presenza della detta Feliciana e di Fra Fran.co di Policastro che, a quel tempo, ancora viveva, affinchè il detto donno Vincenso pagasse alla detta Feliciana i ducati venti mentre, per i restanti venti ducati, il detto donno Vincenso avrebbe pagato carlini venti all’anno al detto monastero. Per cautela, il detto donno Vincenso, alla presenza del giudice Joannes Thoma Richetta procuratore, assegnava al monastero le sue terre di circa due salmate arborate di cerse ed olive nominate “li ieni”.[cliv]

16 ottobre 1616. Fabio Caccurio di Policastro che, in precedenza, aveva acquistato dal monastero di S.ta Maria della Spina e da Hieronimo Cavarretta, una domus palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di “Santae Mariae Magnae”, successivamente l’aveva donata a Vittoria Tristaino, che era morta lasciando suoi eredi i figli. Al presente, volendo cautelare gli eredi, confermava la donazione.[clv]

23 aprile 1618. L’anno passato, Paulo Luchetta serviente ordinario della corte di Policastro, su istanza dei coniugi dottore Mutio Giordano e Rosa Traiina, erede del quondam Sebastiano Traiina, contro gli eredi del quondam Laurentio Cepale, aveva incantato a Joannes Vincensio Jordano anche il “petium terrae arboratum” da più e diversi alberi, posto nel territorio di Policastro loco detto “Santi Cesarii”, gravato dall’onere annuo di 10 ducati nei confronti del venerabile monastero della S.ta Spina.[clvi]

22 novembre 1618. Tra i beni posseduti in comune ed indiviso, relativi alla loro eredità paterna e materna, che le sorelle Auleria e Saturna Traiina di Policastro, figlie ed eredi universali del quondam Hieronimo Traiina loro padre, e di Lucretia Grosso loro madre, vendettero al reverendo D. Joanne Jacobo de Aquila, troviamo: la continenza di terre della capacità di salme quattro circa, posta nel territorio di Policastro loco detto “scardiati”, gravata dal censo annuo di ducati 4 al monastero di S.ta Maria della Spina, come si rilevava nello strumento censuale del 1596[clvii]

14 settembre 1624. Joannes Thoma Curto di Policastro, in qualità di attuale procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, vendeva a Sartorio de Vona di Policastro, la vigna posta nel territorio di Policastro loco “santo dimitri”, confine la vigna di Horatio Rocca, la vigna di Horatio Rizza ed altri fini.[clviii]

5 ottobre 1625. Joannes Baptista Pinello, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, vendeva a Joannes Zagaria di Policastro, la domus terranea che era appartenuta alla q.m Feliciana Campana che l’aveva lasciata a detto monastero.[clix]

24 marzo 1630. In occasione della stipula del suo testamento, Joannes Zagaria dichiarava di essere debitore nei confronti di Lucretia Coco per ducati 15, relativamente alla casa dove abitava detta Lucretia, mentre era debitore nei confronti del monastero di S.ta Maria la Spina relativamente al censo di detta casa.[clx]

13 luglio 1637. Il Cl.o Lutio Venturi procuratore del monastero della “divae mariae spinis”, vendeva a Jacinto Misiano di Policastro, il casaleno posto dentro la terra di Policastro “in platea publica”, nel convicino della chiesa di S.to Nicola “de platea”, confine la “potecam” di detto Jacinto, la domus e l’orto di Joannes Antonio Costantio, la via pubblica ed altri fini.[clxi] In precedenza, il 7 gennaio 1633, detto Jacinto aveva acquistato da Sanson Salerno di Policastro, il “Casalino seu potica deruta”, ovvero “una sua potica deruta loco ditto la piazza di questa Città”, confine la “potica deruta di Santa Maria la spina” e la casa di D. Gio. Fran.co Rocca “Vicario”.[clxii]

18 febbraio 1644. Paulino Juliano della Roccabernarda, ma “incola” in Policastro, vendeva a Michaele Scandale di Policastro, la “vineam” posta nel “districtu” di Policastro loco detto “le Carita”, per la somma di ducati 17, da pagarsi in occasione della prossima fiera di Molerà da parte del chierico Carulo Richetta, procuratore del “V(enera)b(i)lis Oratorii sub titulo Sancti Antonini Paduani”. Si pattuiva, inoltre, che il detto il Michaele avrebbe pagato altri 10 carlini al monastero della S.ta Spina.[clxiii]

9 gennaio 1645. Michaele Scandale di Policastro, il 18 febbraio 1644, aveva comprato da Paulino Juliano della Roccabernarda, al presente “incola” da molti anni in Policastro, la vigna posta nel “distritto” di Policastro loco detto “Santa Sofia”, per il prezzo di ducati 17, impegnandosi a pagare carlini 10 di censo a detto Paulino e per esso, al chierico Carlo Richetta, e carlini 10 al monastero della S.ta Spina. All’attualità si stipulava l’atto attraverso il quale si asseriva l’avvenuto passaggio di denaro.[clxiv]

22 agosto 1653. La vedova Delia Callea vendeva per ducati 500 a Joannes Jacobo Natale di Policastro, figlio di Jo. Dom.co, il “Viridarium seu Possess.nem” arborata con sicomori, fichi ed altri alberi fruttiferi, posto nel “districtu” di Policastro nel loco detto “Cimicicchio”, confine i beni di Marcello Leuci, via mediante “ex parte inferiori”, i beni di Didaco Romeo, le “ripas d.ttae Civ.tis nuncupatas de S.ta Cat.na”, le “vias publicas” ed altri fini. Il bene era ipotecato da alcuni creditori, tra cui figurava il monastero di S.ta Maria “de Spina” per ducati 15, più ducati 3 d’interessi decorsi. Il detto Joannes Jacobo s’impegnava a pagare l’annuo censo al monastero.[clxv]

31 agosto 1655. Joannes Jacobo de Natale di Policastro vendeva al presbitero Sancto de Pace ed a Michaele Aquila, procuratori della chiesa sotto il titolo di S.to Jacobo e del pio monte dei maritaggi degli eredi del quondam presbitero Jacobo de Aquila, l’annuo censo di ducati 5 per un capitale di ducati 50, sopra la possessione arborata con sicomori, fichi ed altri alberi fruttiferi, posta nel territorio di Policastro loco detto “Cimicicchio”, confine i beni di Marcello Leuci, via mediante, la “viam ubi itur all’acquaro”, le “ripas d.ttae Civitatis” ed altri fini, con alcuni oneri tra cui quello di pagare annui carlini 15 al monastero di S.ta Maria “della Spina”.[clxvi]

Petilia Policastro (KR), località Cimicicchio.

I procuratori

La fiorente attività finanziaria che durante la prima metà del Seicento, fece del monastero uno dei principali enti creditizi di Policastro, determinò l’emergere della figura del suo sindaco/procuratore, il cui ufficio divenne particolarmente ambito. Gli atti notarili stipulati durante questo periodo che vedono comparire il monastero, evidenziano la figura del suo “ProCuratore” a volte detto anche “sindicus”, agente e stipulante in nome e per parte del monastero stesso.

La figura del “sindaco apostolico in ambito francescano, vale a dire quella persona (…) designata dai superiori dell’Ordine e istituita a nome della S. Sede, affinchè in virtù della sua autorità gestisca e regoli gli affari temporali della comunità”, risulta già nel Medioevo, configurandosi come un “vero amministratore ed economo dei beni” appartenenti ai monasteri, necessaria a conciliare il voto di povertà connaturato alla “posizione giuridica dell’Ordine” con l’amministrazione dei detti beni. Laico “benevolmente legato a un convento o una amministrazione”, il procuratore era nominato da parte del ministro provinciale dell’ordine e rappresentava “un soggetto sotto l’egidia e le direttive” di questa autorità che, oltre ad occuparsi dell’amministrazione dei detti beni, “li difendeva di fronte alle autorità civili”. [clxvii]

In relazione all’importanza economico-finanziara del monastero durante la prima metà del Seicento, la carica di procuratore della Santa Spina fu occupata da alcuni tra i principali uomini d’affari di Policastro, pratici del commercio ed in possesso di altri uffici e cariche necessarie per le opportune relazioni.

Abbiamo notizia che nell’anno 1577, il quondam And.a Pagano era stato procuratore del monastero.[clxviii] Nei primi anni del Seicento troviamo Serafino Cavarretta, che compare in un atto del 4 dicembre 1606,[clxix] mentre lo troviamo l’ultima volta il 18 aprile 1608.[clxx] A lui successe il giudice Joannes Thoma Richetta che, in qualità di “procuratorem venerabilis monasterii divae mariae spinis ditae terrae”, ritroviamo per la prima volta il 27 agosto 1608[clxxi] e compare fino all’8 dicembre 1617.[clxxii]

Seguitando, incontriamo per la prima volta Mutio Giordano U.J.D. “procurator et sindicus Venerabilis Monasteri Santae Mariae Spinae” di Policastro, in un atto del 23 agosto 1620 dove, essendo occupato in altri “negotiis”, nominava in sua vece il chierico Stefano Capozza di Policastro.[clxxiii] Tale nomina ampiamente contemplata,[clxxiv] costituiva comunque un provvedimento temporaneo, anche se interessava una persona che risulta coinvolta nell’amministrazione del monastero anche in seguito.[clxxv] Ritroviamo così il detto Mutio in qualità di procuratore, in due atti stipulati il 19 giugno 1622,[clxxvi] mentre ancora il giudice Stefano Capozza risulta procuratore del monastero nel corso dell’anno 1623, come attesta un atto del 5 giugno 1624.[clxxvii]

Il 14 settembre 1624 Joannes Thoma Curto compare come procuratore del monastero,[clxxviii] mentre, circa un anno dopo, si segnala Joannes Baptista Pinello.[clxxix] Dopo un periodo di circa dieci anni, relativamente ai quali non si rintracciano altri nomi, il 18 dicembre 1635 troviamo il chierico Lutio Venturi, in qualità di procuratore del venerabile monastero di Santa Maria della Spina.[clxxx] Egli risultava ancora in carica il 13 luglio 1637.[clxxxi] In un atto del 14 giugno 1643, troviamo Joannes Baptista Callea in qualità di “Procuratore V(enera)b(i)lis Monasterii divae Mariae de spina”. Atto nel quale è riportata la copia di una “Apoca receptionis” del primo dicembre 1642, di Francesco Venturi “olim Procuratore” del monastero.[clxxxii] Un atto del 19 aprile 1648, evidenzia che Pietro Curto era procuratore del venerabile monastero dei minori osservanti sotto il titolo di S.ta Maria della Spina.[clxxxiii] Egli deteneva ancora la carica il 27 settembre 1655, giorno nel quale compare in due diversi atti.[clxxxiv]

La presenza della figura del procuratore del monastero è attestata ancora alla metà del Settecento e s’evidenzia anche nel caso del monastero dei riformati di Policastro.[clxxxv] Il sacerdote Tommaso Caccuri di anni 48, pagava carlini 32 al “Sindaco apostolico del Con.to dell’osservanza di questa Città”, per un capitale redimibile di ducati 40.[clxxxvi]

Sigillo dell’UJD Mutio Giordano di Policastro, raffigurante una palma e le acque del fiume Giordano.

Occasione di liti

L’intento speculativo, a volte, determinava che i lasciti e le donazioni nei confronti del monastero divenivano occasioni di liti.

8 dicembre 1617. Elisabetta Politi di Policastro aveva mosso lite nella corte arcivescovile di Santa Severina contro il monastero perché, nel suo ultimo testamento, il quondam Giulio Cerasaro aveva lasciato erede il detto monastero, di tutte le sue robbe mobili e stabili, tra cui un “casaleno mezo fabricato” posto nel convicino della chiesa della SS.ma Annunziata Nova, che gli era stato promesso in dote da sua moglie Margarita Buerio. Al presente, le parti pervenivano ad un accordo, secondo il quale, la detta Elisabetta pagava al detto monastero la somma di ducati 10, il quale cedeva il casaleno alla detta Elisabetta. Nell’occasione, i frati congregati “ut moris” al suono del campanello furono: frate Remiggio della terra di Mesoraca “guardiano”, frate Angilo di Policastro, frate Vincentio, frate Antonio, frate Joanne e frate Camillo, tutti di Policastro.[clxxxvii]

In alcuni casi queste liti perduravano nel tempo coinvolgendo lungamente gli eredi ed il monastero mentre, a volte, le ricomposizioni costituivano l’occasione per portare a compimento affari non andati in porto, tessendo nuovi legami.

Petilia Policastro (KR), ingresso dell’ex monastero degli osservanti.

L’eredità contesa

Un esempio ci è fornito dai fatti che trovarono coinvolti il monastero, la chiesa dell’Annunziata “nova” ed Ottavio de Pace, assieme a suo figlio il presbitero D. Santo. Da un atto del 19 giugno 1622 apprendiamo che, negli anni precedenti, morto Berardo Caira di Policastro, questi aveva lasciato eredi “soro” Giulia Caira ed Auleria Caira, figlia di detto quondam Berardo, con la condizione che, dopo la morte delle predette, l’eredità sarebbe dovuta andare al monastero della Santa Spina e alla chiesa della SS.ma Annunziata “nova”. Il detto quondam Berardo aveva lasciato al monastero anche annui ducati 3 per la celebrazione di messe. Morte le dette “soro” Giulia ed Auleria, queste avevano lasciato loro erede detto D. Santo, il quale pretendeva di non essere tenuto alla restituzione dell’eredità, ed aveva prodotto le sue ragioni nella corte arcivescovile di Santa Severina.

Al presente, venute le parti ad un accordo, era stipulato l’atto conseguente, alla presenza di Mutio Giordano U.J.D “Procuratore” del monastero, e dei frati congregati al suono della campana “in Rifettorio”: frate Davit della terra di Mesoraca “guardiano”, frate Vincensio di Policastro, frate Ventura di Cropani, frate Fran.co de Polic.o, frate And.a de Policastro, padre fra Donise de Cotroni, frate Antonio di S.to Mauro, fra Dovico de Policastro “Vicario”, frate Gianni de Policastro, fra Bona Ventura de Cotroni e fra Berardino di Policastro.

In base a tale accordo il monastero cedeva al de Pace la sua parte dell’eredità di detto quondam Berardo, fatti salvi i diritti del monastero sopra l’eredità del quondam Francischello de Cola, marito della detta q.m Auleria, e la possessione delle “gorficelle” che al presente, possedevano Gio. Dom.co Cavarretta ed i suoi fratelli. Detti Ottavio e D. Santo, dalla loro parte, promettevano di pagare al monastero gli annui ducati 3, per le ebdommade lasciate dal detto quondam Berardo sopra tutte le loro robbe e, segnatamente: sopra la possessione di “paternise”, che era appartenuta al detto quondam Berardo e alla detta soro Giulia, le “manche di scannasino” e la possessione di “gorrufi”. I due s’impegnavano a pagare al monastero anche annui ducati 7 per un capitale di ducati 100, che al tempo della sua affrancazione, si sarebbe dovuto impiegare “in altra compra per benefitio di detto venerabile monasterio”.[clxxxviii]

Venuto stabilmente in possesso dei beni contesi, Donno Santo avviò gli affari. Il 13 gennaio 1623 permutò la possessione arborata di “sicomorum” ed altri alberi fruttiferi, che era appartenuta alla “sorore” Julia Caira, posta nel territorio di Policastro loco “paternise”, con la vigna di Joannes Caccurio di Policastro, posta nel territorio di Policastro loco “la Carita seu santa sufia”, appartenuta al quondam Hieronimi Poerio,[clxxxix] mentre il 20 dicembre 1623, assieme ad Ottavio de Pace suo padre, realizzò la vendita nei confronti del R.do D. Petro Giraldis di Policastro, della domus palaziata pervenuta dall’eredità della detta soro Julie e Berardo Caira, per rinuncia della SS.ma Annunziata “nova” e di S.ta Maria della Spina, posta dentro la terra di Policastro e consistente in tre membri superiori ed inferiori, “cum gisterna intus”, confine la domus di detto R.do D. Petro dalla parte superiore, i “Casalenos” che erano appartenuti alla quondam “sororis” Julie Carie, la via pubblica da due lati ed altri fini.[cxc]

Nel frattempo, infatti, l’accordo era intervenuto anche con la chiesa dell’Annunziata. Il 20 maggio 1624 davanti al notaro, da una parte comparivano Ottavio de Pace e donno Santo de Pace suo figlio, e dall’altra, il clerico Blasio Capozza procuratore della SS.ma Annunziata “nova”. Nel passato, tra detti de Pace e detta chiesa vi erano state controversie circa l’eredità del q.m Berardo Caria, che avevano riguardato anche il monastero di Santa Maria “la spina”, ma detto Donno Santo si era accordato con detta chiesa impegnadosi a pagare annui ducati 7.

Al presente, venuto a nuovo accordo, detto D. Santo, come erede della q.m “soro” Giulia Caria sorella del detto q.m Berardo, “per detti annui d.ti sette”, cedeva a detta chiesa “le casalina” che erano appartenuti al q.m Berardo, poste dentro la terra di Policastro nel convicino di detta chiesa, confine la casa di Fran.co Rizza di Cella, la casa di D. Petro Giraldo, dove abitava al tempo che morì la detta q.m “soro” Giulia Caria, e la via pubblica. Le cedeva anche l’annuo censo di ducati 4 e ½ che pagava detto Donno Petro Giraldo a detti de Pace, sopra le altre case che al presente “sono impedi” di detto q.m Berardo. In merito al nuovo accordo il procuratore della SS.ma Annunziata si riservava i diritti che la chiesa possedeva sopra la possessione detta “le gorficelle” territorio di Policastro, come appariva dallo strumento di Zanfina Sanasi, e s’impegnava a dare a detto Donno Santo “tanto servim.to” “de edonmade in detta chiesa” per quanto sarebbero ascesi i detti annui ducati 7.[cxci]

Petilia Policastro (KR), ingresso dell’ex monastero degli osservanti.

Una questione risolta solo a metà

19 giugno 1622. Nei mesi passati era morta la quondam Cassandra Mendolara, madre di Gio. Filippo Salerno e del quondam Giangerolimo Salerno, padre del cl.o Hieronimo Salerno e di Fran.co Antonio Salerno, lasciando al detto monastero la celebrazione di una ebdommada perpetua, che era stata servita dai padri del detto monastero, senza però che detti di Salerno corrispondessero il dovuto. Al presente, venute le parti ad un accordo, si stabiliva che, per ciò che spettava ai detti Hieronimo e Fran.co Antonio, assieme ad Auria e Perritia Salerno loro sorelle, il detto monastero assolveva i detti de Salerno per il pregresso dei pagamenti dovuti. I detti de Salerno pero, s’impegnavano a pagare da questo momento in avanti, annui carlini 20 sopra la gabella di “marrari” territorio di Policastro, confine la gabella di “d. Gianni liotta” e la gabella di Camillo Campana. Tutto ciò per la metà di detta ebdommada che spettava loro, perché per l’altra metà spettante agli eredi del quondam Gio. Filippo Salerno, il monastero si riservava tutte le azioni necessarie.[cxcii]

La sepoltura dei fratelli

5 giugno 1624. Davanti al notaro comparivano Stefano Capozza di Policastro, procuratore del monastero di S.ta Maria la Spina, ed il chierico Joannes Thoma Campana di Policastro. L’anno passato, il q.m Gio. Gregorio Campana aveva lasciato ducati 50 al monastero di S.ta Maria “la spina”, “conche si seppellisse in detta Chiessa”. Successivamente però, il detto chierico Joannes Thoma si era rifiutato di pagare il dovuto, asserendo di aver accettato l’eredità “cum benefitio legis et inventarii”. Per la questione verteva lite nella corte arcivescovile di Santa Severina. Al presente, il detto chierico Joannes Thoma s’impegnava a pagare.[cxciii]

1 giugno 1629. Nel suo testamento, il C. Gio. Thomaso Campana di Policastro, disponeva di essere sepolto nel monastero di S.ta Maria “la spina”, dove si trovava già seppellito suo fratello Gio. Gregorio. In questa occasione, dichiarava di aver pagato a Stefano Capozza procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, ducati 50 per legato fatto dal detto q.m Gio Gregorio. Lasciava al detto monatero ducati 10 “per la fabrica” ed annui ducati 5 per una ebdommada.[cxciv]

Petilia Policastro (KR), l’insegna dell’ordine sormonta l’ingresso dell’ex monastero degli osservanti.

Vendite fittizie

In alcuni casi i documenti evidenziano che il capitale investito a censo nel mercato creditizio locale, al tempo della sua affrancazione, a volte non ritornava al monastero, ma passava da un’acquirente ad un altro, attraverso la vendita fittizia del bene su cui si trovava infisso.

8 novembre 1629. Negli anni passati, Scipione Misiano aveva comprato dal q.m Ferrante Coco, tutore dei figli ed eredi del q.m Cesare Coco suo fratello, la possessione arborata di “Celsi, olive, arangia” ed altri alberi loco detto “le molina di Iuso”, per la quale si era impegnato a pagare annui ducati 7, metà alla cappella del SS.mo Sacramento e metà al monastero di S.ta Maria “la spina”. Al presente detto Scipione vendeva la detta possessione a Joannes Dom.co Capozza di Policastro alle stesse condizioni.[cxcv]

8 marzo 1636. Joannes Dom.co Capozza di Policastro vendeva al cl.o Fran.co Rizza, con il consenso e l’assenso di Joannes Petro Rizza suo padre, che l’aveva precedentemente emancipato, la “possessionem seu iardenum dico Viridarium”, arborata di “sicomorum, olivarum, et citrangolorum”, posta nel territorio di Policastro loco detto “le molina di abascio”, confine la vigna di Scipione Misiani dalla parte superiore, l’“aquarum molendini p(raedi)tti de abascio”, i beni degli eredi del quondam Ferdinando Cerasaro, la vigna di Joannes Guzzo ed altri fini. Detto Joannes Dom.co, che aveva acquistato il bene da Scipione Misiano, rimanendo a pagare il censo al monastero di S.ta Maria della Spina ed alla Cappella del SS.mo Sacramento, lo vendeva a detto cl.o Fran.co Rizza alle stesse condizioni con gli stessi obblighi.[cxcvi]

15 settembre 1638. Il cl.co Fran.co Rizza di Policastro vendeva al cl.co Ferdinando de Vito di Policastro, il “Viridarium arboratum sicomorum, olivarum, et citrangolorum”, cha aveva acquistato da Joannes Dom.co Capozza, posto nel territorio di Policastro loco detto “le molina di abascio”, confine i beni del cl.co Fran.co Guzzo, i beni di Scipione Misiani, i beni di Joannes Baptista Cerasari, “iusta aquarum dittorum molendinorum” ed altri fini, gravato dall’onere di pagare annui carlini 35 al monastero di S.ta Maria della Spina ed altri annui carlini 35 alla Cappella del SS.mo Sacramento.[cxcvii]

Petilia Policastro (KR), pianta dell’ex monastero degli osservanti.

Il castagneto sottostimato

Le vendite dei beni acquisiti a vario titolo dal monastero, potevano divenire occasione di frodi, come testimoniano le vicende relative alla vendita del castagneto di “Carolino”, da parte del cl.o Lutio Venturo che, al tempo in cui era procuratore del monastero, cercò di alienarlo a circa la metà del suo effettivo valore.

Il 24 aprile 1636, il cl.o Lutio Venturo di Policastro, in qualità di “proCuratore” del monastero della “divae mariae spinis”, aveva venduto ad annuo censo per ducati 18 a Joanne Baptista Pinello di Policastro, un “Castanetum” con altri alberi “quod fuit delli faraci”, il cui possesso da parte di questi ultimi si rilevava anche da un atto del 19 settembre 1624.[cxcviii] Detto castagneto era posto nel territorio di Policastro loco “Caroleno”, confine il “Castanetum” di Petro Poerio, il “Castanetum” di Joannes Tuscano “superiore, et inferiore” ed altri fini,[cxcix] nelle vicinanze del “fiunme di soleo”.[cc] In relazione a tale vendita, l’acquirente s’impegnava a pagare al monastero l’annuo censo di carlini 18.[cci]

Pochi giorni dopo, il 14 maggio 1636, il detto Joannes Baptista cedeva il detto “Castanetum” di “Carolino” al cl.o Fran.co Martulotta di Policastro, alle stesse condizioni con cui l’aveva precedentemente acquistato.[ccii] L’affare fu però avversato dai fratelli Joannes e Hieronimo Tuscano, i cui beni confinavano con il possedimento del monastero oggetto della vendita. I due, asserendo che il valore del detto “Castanetum” fosse maggiore, ottennero il provvedimento del R.do vicario generale di Santa Severina, il quale dispose che il bene fosse messo all’asta. Il 17 ottobre 1636 a seguito di questo provvedimento, il cl.o Lutio Venturo di Policastro, “procuratore” di “santae Mariae spinis”, mediante Joannes Gregorio Catanzaro, ordinaro serviente della corte di Policastro, faceva mettere all’asta il “Castanetum” del monastero, posto nel territorio di Policastro loco “Carolino”, confine il “Castanetum” di Joannes e Hieronimo Tuscano, le “Castaneas” di Petro Poerio, le “Castaneas” appartenute al quondam Fran.co Turtorella ed altri fini, assegnandolo a Joannes Baptista Pinello di Policastro che si aggiudicava l’incanto per ducati 30 impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 30.[cciii]

Petilia Policastro (KR), il chiostro dell’ex monastero degli osservanti.

L’anima del quondam Fabio Cancello

In alcuni casi possiamo rilevare come, il controllo e la gestione del servimento delle messe, poteva essere sfruttato da parte di ecclesiastici interessati, per portare in porto affari vantaggiosi. A testimonianza di ciò, citiamo i fatti che ebbero per protagonista il presbitero D. Parise Ganguzza, il quale, acquistando uno stabile gravato in perpetuo da due ebdommade la settimana, lo retrocesse a Gio Battista Callea allo stesso prezzo, ma senza pesi, ottenendo per sé il relativo servimento e favorendo la conclusione di un altro affare tra lo stesso Gio Battista Callea ed Alfonso Campitello.

5 settembre 1630. Consalva Villirillo di Policastro, “Vidua” del q.m Fran.co Cancelli, vendeva al presbitero D. Parise Ganguzza di Policastro, una “Continentia di terre” arborata di “Cerse” e due pedi di “olive” della capacità di salmate 5 circa, posta nel territorio di Policastro loco “scardiati”, confine “lo terr.o” del q.m Gio. Alfonso Cerasaro, le terre di Joannes Paulo Accetta ed altri fini. Il bene era gravato dal peso di annui carlini 12 nei confronti del monastero della “santa spina”, e dal peso di 2 ebdommade la settimana lasciate dal q.m Fabio Cancello, che si servivano nella SS.ma Annunziata “nova”, le quali si rilasciavano al detto D. Parise affinchè le servisse, o le facesse servire, da altro sacerdote, in maniera che non fosse defraudata l’anima del detto q.m Fabio.[cciv]

24 maggio 1631. Nel corso dell’anno passato, il presbitero Donno Parise Ganguzza aveva comprato da Consalva Villirillo, una “Continentia di terre arborata di Cerse”, posta nel territorio di Policastro loco detto “scardiati”, confine “lo cersito” dei figli ed eredi del quondam Joannes Alfonso Cerasaro, le terre di Cola Grosso ed altri fini. Al presente detto presbitero le vendeva allo stesso prezzo a Joannes Baptista Callea di Policastro, tutore dei figli ed eredi del detto quondam Giovanni Alfonso.

Relativamente al denaro ricevuto da detto D. Parise, ducati 10 erano da intendersi quelli relativi alle due ebdommade che serviva lui stesso sopra detto “terr.o”, mentre i carlini 12 che si pagavano al monastero di “santa maria la spina” restavano a carico di detto D. Parise.[ccv]

16 agosto 1631. Davanti al notaro comparivano, da una parte, Joannes Baptista Callea di Policastro, tutore del cl.o Joannes Fran.co, Caterina e Hieronima Cerasaro, figli ed eredi del quondam Joannes Alfonso Cerasaro. Dall’altra compariva Alfonso Campitello di Policastro. Il detto quondam Joannes Alfonso aveva venduto ad annuo censo a Fabio Anmerato ed a Gio. Dom.co Rizza de Mundo, una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, confine la casa di detto Fabio, dalla parte di sopra, la casa che era appartenuta al quondam Gio. Paulo Jannici, vinella mediante, la via pubblica ed altri fini. Successivamente, detto Gio. Dom.co Rizza e gli eredi del detto quondam Fabio, avevano rivenduto la casa ad Alfonso Campitello, per lo stesso prezzo ed alle stesse condizioni. Al presente il detto Alfonso affrancava il detto censo di carlini 28 per un capitale di ducati 28.

Contestualmente, il detto Gio. Battista Callea dichiarava che, nei mesi passati, Donno Parise Ganguzza gli aveva retrocesso l’acquisto delle terre di Consalva Villirillo, poste nel loco detto “scardiati” territorio di Policastro, confine le terre dei detti de Cerasaro ed altri fini, gravate dal peso di ducati 10, relativo alle 2 ebdommade, ed annui carlini 12 per un capitale di ducati 12, che si pagavano a “santa maria la Spina”. Relativamente ai passaggi di denaro effettuati, i ducati 28 dovuti alla detta Consalva gli venivano pagati dal detto Gio. Battista, che gli consegnava quelli ricevuti dal detto Alfonso Campitello.[ccvi]

Petilia Policastro (KR), il chiostro dell’ex monastero degli osservanti.

Le terre del monastero

Alcuni possedimenti del monastero della S.ta Spina sono richiamati negli atti dei notari policastresi della prima metà del Seicento. Rileviamo così che, in questo periodo, il monastero possedeva le terre “delli Porcili”, quelle poste nella località detta “Andriuli” ed altre a “Gorrufi”, vicino alle località “pantano” e “san fran.co”.

1 agosto 1634. La “sorore” Lucretia Corigliano dell’ordine di S. Francesco d’Assisi, vendeva al diacono Carlo Scuro di Crotone, la “Continentia di terre” della capacità di circa 5 salmate, alla ragione di tumola 8 per ogni salmata, posta nel territorio di Policastro loco “Andriuli seu lo Muscarello”, confine le terre di S.ta Maria “la spina”, le terre di Mutio Scuro, la gabella detta “de priolo” ed altri fini, con il peso di pagare annui carlini 6 al “feudo di spolitrino”.[ccvii]

13 ottobre 1647. I Reverendi presbiteri Paride Ganguzza, “Comunerio” del Revendo clero secolare di Policastro, e Salvatore de Maida “Legatario” dell’olim Adriana Milioti, asserivano che, negli anni passati, l’olim diacono Carolo Scurò aveva acquistato dalla “sorore” Lucretia Corigliano, il “territorium” di circa 5 salmate, posto nel “districtu” di Policastro loco detto “Andriuli”, luogo detto “li frassi di Corigliano”, confine le terre del venerabile monastero di S.ta Maria “de spina”, le terre degli eredi dell’olim Fabritio Argise ed altri fini.[ccviii]

15 settembre 1653. Joannes Paulo Setà della città di Catanzaro, al presente “incola” in Policastro (nella procura allegata all’atto si definisce invece commorante in Mesoraca), procuratore dei coniugi Fabritio Sanseverino e Beatrice Modio della città di Catanzaro, vendeva per ducati 350 senza patto di retrovendita, al cl.co Martino Curto di Policastro, la “Gabbella”, o “continentiam terrarum”, detta “Priolo” di circa salmate 10 di capacità, posta in “districtu”, ovvero in “Territorio, et circum Ferentiis” di Policastro, confine i “feuda superius et inferius Ill. Ducis Bellicastri”, confine la gabella del venerabile monastero di S.ta Maria della Spina, le terre di Carulo Richetta, le terre degli eredi di Thoma Caruso ed altri fini.[ccix]

30 gennaio 1615. In occasione della compilazione dell’inventario dei beni appartenuti al quondam Joannes Dom.co Zagaria, marito di Lucretia Lamantia, compare la possessione venduta alla detta Lucrezia dal quondam donno Antonio Zagaria, in loco detto “gorrufi” alberata con diversi alberi, confine la possessione di Gio. Vicenso Giordano, gli eredi del quondam Gio. Berardino Petralia, “le terre del pantano quale è del santiss.mo Sacram.to, et lo monasterio di santa maria della spina”, e confine “le terre loco ditto san Fran.co quale se dice essere delli Ferrari”.[ccx]

9 settembre 1649. Thoma Angiuino genero e procuratore di Anastasia Foresta, vedova dell’olim Marco Antonio Fanele, vendeva a Dom.co Ammannato di Policastro, la possessione che era appartenuta a suo marito ed ad Horatio Fanele suo fratello, di circa 25 tomolate, arborata di “quercuum, pirorum, sicomorum” ed altri alberi fruttiferi, posta nel “destrictu” di Policastro loco detto “Gorrufi, seu lo Pantano di Circhione”, confine le terre del monastero di S.ta Maria della Spina, le terre nominate “lo Pantano de Circhione”, le terre del presbitero Paride Ganguzza ed altri fini.[ccxi]

4 maggio 1652. Il D.r Mutio Giordano di Policastro vendeva al cl.co Scipione Tronga di Policastro, “la quarta parte della foresta chiana”, posta nel territorio di Policastro, confine “lo Cersito” di Gio. Battista Callea “delli RR. Preiti”, “le terre delli Porcili delli Padri di S.ta Maria della Spina”, ed altri fini.[ccxii]

Le località “Pantano”, “Pantanello”, “Foresta” e “V. Porcilicchio”, in un particolare del F. 237-II “Petilia Policastro”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

I vignali

In questo periodo il monastero possedeva una vigna, o vignale, a “Cuculli” ed un altro a “Scardiati”.

26 luglio 1630. And.a Grosso di Policastro vendeva a Lelio Pane Vino di Policastro, la “vineam seu disertinam distructam”, posta nel territorio di Policastro loco “Cucolli”, confine la vigna del monastero di S.ta Maria della Spina, la vigna appartenuta al q.m Olimpio Scalise, la vigna di Jacobo de Vona ed altri fini.[ccxiii]

9 gennaio 1645. Thoma Rotundo di Policastro, figlio ed erede dell’olim Joannes Rotundi, vendeva al clerico Marcello Tronga di Policastro, il vignale di circa 3 mezzalorate “arborato di alcuni pedi di sorba, et fico”, posto nel “distritto” di Policastro loco detto “Cuculli”, confine i beni di Marco Spinello, i beni di detto chierico Marcello, il vignale del monastero di S.ta Maria “la spina” ed altri fini.[ccxiv]

2 gennaio 1649. In occasione della stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra Vittoria Panevino e Sancto Coco di Policastro, troviamo che apparteneva alla dote: un vignale loco “Cuculli”, confine il vignale di S.ta Maria “della Spina”, il vignale di Leonardo de Vona ed altri fini.[ccxv]

11 novembre 1647. Il R. D. Jacovo Aquila di Policastro, per riconoscenza verso il R. D. Gio. Antonio Leuci, cedeva al cl.co Fran.co Maria Leuci di Cutro, due vignali posti nel territorio di Policastro loco detto “Scardiati”, uno nominato “lo sorbo” e l’altro nominato “Cariglio”, confine il vignale di S.ta Maria “della Spina” ed altri fini.[ccxvi]

I gelsi di Santa Maria

18 maggio 1635. Tra i beni di Ottavio Blasco di cui era stata fatta esecuzione, si menziona: un ortale di “Celsi”, “et Casalina con acqua di detto ortale”, posto dentro la terra di Policastro nel convicino di “santo petro”, confine “li Celsi” di S.ta Maria la Spina, “li Celsi” di Stefano Capozza, la via pubblica ed altri fini.[ccxvii]

L’ultimo di febbraio del 1638, Donna Aloisia de Angelis, vedova ed erede del quondam Justuliano Cirisani, asseriva che suo marito aveva comprato dal cl.co Lutio Venturi, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, un “ortale arborato di Celsi” posto dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santa Caterina”, confine l’orto di detta chiesa, l’orto e casalino di Gio. Thomaso Scandale, la via pubblica ed altri fini, impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 15. All’attualità la detta Aloisia retrocedeva il bene a Hyeronimo Poerio di Policastro, che s’impegnava a pagare lo stesso censo al monastero.[ccxviii]

Petilia Policastro (KR), il luogo in cui esisteva la chiesa di Santa Caterina (Fotoraccolta Mimmo Rizzuti).

Le castagne dei monaci

Nella “montagna” di Policastro si trovavano “le Castagne delli monaci di Santa Maria la spina”, tra cui il castagneto “ditto lo Castagnito di Napoli”.

30 settembre 1630. Gio. Fran.co Mendolara procuratore della chiesa di S.ta Caterina, volendo utilizzare i ducati 55 lasciati dal q.m Angilo Cropanise, spendendoli in riparo di detta chiesa, mantenendo comunque l’obbligo di servire in perpetuo l’ebdommada per l’anima del donatore, chiedeva l’assenso dell’arcivescovo. Per continuare a servire la detta ebdommada, i confrati decidevano di dare ad annuo censo il detto capitale al cl.o coniugato Livio Zurlo, “Confrate, et priore” della detta chiesa e confraternita, obbligandolo sopra i frutti delli “Celsi della vasilea e delle Castagneta della montagna”, e di tutti gli altri beni della detta chiesa e della confraternita. Nella descrizione dei beni obbligati, troviamo “uno Castagneto” posto “nella montagna di detta Citta”, confine “lo Castagnito” di S.ta Maria “la spina” “ditto lo Castagnito di Napoli”.[ccxix]

8 febbraio 1631. I coniugi Joannes Vittorio Accetta e Laura Faraco di Policastro, assolvevano Ant.o Faraco di Policastro, padre della detta Laura, relativamente ai beni promessi in dote, ad esclusione del “Castanetum” che al presente possedeva il monastero di S.ta Maria della Spina.[ccxx]

8 luglio 1636. In occasione della compilazione dell’inventario dei beni del quondam Fabio Rotundo, si citano: la possessione arborata di “celsi” ed altri alberi fruttiferi e vigna, nella quale vi era una casa terranea con “stazzo di Crape”, posta nel territorio di Policastro loco “santa maria”, appartenuta alla quondam Auria Morano baronessa delli Cotronei, sopra la quale si pagavano annui ducati 10 agli eredi della detta baronessa, confine “le castagne” di Petro Poerio e “le terre di detto monasterio”; l’annuo censo di ducati 8 sopra la possessione che detenevano gli eredi del quondam Livio Zurlo, loco detto “santa maria la spina” territorio di Policastro, confine gli altri beni del detto quondam Livio, i beni del quondam Andrea de Mauro e “la via publica che si va in detto monasterio”.[ccxxi]

13 ottobre 1637. Il chierico Ottavio Vitetta di Policastro vendeva a Joannes Thoma Anmanato di Policastro, il “Castanetum parvum” posto nel territorio di Policastro loco detto “scudalupo”, confine il “Castanetum” detto “delli blaschi”, le terre dette “la serra delli Rizzi”, ed altri fini, nonché altri “pedi di castagne” posti similmente nel territorio di Policastro, che detto cl.o Ottavio aveva comprato dal quondam Fabio Anmenato, padre del detto Masi, confine “le Castagne delli monaci di Santa Maria la spina”.[ccxxii]

La località “Napoli” in un particolare del foglio N.° 570 Petilia Policastro della Carta d’Italia 1:50.000 dell’IGM.

I due monasteri

La relazione arcivescovile del 1675 evidenzia “In Civitate Policastri”, l’esistenza dei due monasteri francescani. Quello sotto il titolo di “S. Mariae de Spina Coronae Salvatoris N(ost)ri Jesus Christi”, molto distante dall’abitato dove, con molta venerazione, si conservava l’insigne reliquia, e quello “sub invocat.ne S. Mariae de Manchis sub eadem Regula Sancti Francisci Reformatorum strictioris Observantiae”, posto anch’esso “extra Moenia Civitatis”.[ccxxiii] Entrambi percepivano la “carità” da parte dell’università di Policastro ma, mentre i frati della Santa Spina nel 1647 ricevevano a questo titolo ducati 12, quelli di S. Maria delle Manche ne percepivano solo la metà, “anche per carità, ma che per lunga prestazione oggi si pretende per obbligo”.[ccxxiv] I due “frati cercatori” di entrambi i monasteri, erano esenti dal foro baronale, al pari di altri ecclesiastici di Policastro, quali sacerdoti, suddiaconi, chierici, etc.[ccxxv]

La presenza dei due conventi francescani è menzionata nell’apprezzo del 1711 (“In essa vi sono due conventi di Francescani mendicanti”),[ccxxvi] mentre la relazione arcivescovile del 1725, sottolinea la singolare devozione dei policastresi verso la reliquia della spina.[ccxxvii] Ciò aveva spinto papa Clemente XI a concedere l’indulgenza plenaria ai fedeli e ai visitatori della “cappellam S. Spinae in ecclesia S. Francisci, Or. Min. Obs., terrae Policastri, S. Severinae dioc.”,[ccxxviii] mentre, a seguito dell’interesse che animava il rinnovarsi del miracolo, già da tempo aveva preso a svolgersi una fiera presso il monastero, inizialmente abbastanza florida ma poi progressivamente scemata d’interesse: “Perciò vi è cresciuta con la Divozione una Perdonanza à guisa di Fiera famosa, e per Breve Apostolico, e Real Cedola, franca d’ogni Giurdizione, vien retta dal Guardiano, e Sindico Apostolico del Convento, nella stessa forma che quella di San Domenico in Suriano dal suo P. Priore. Le limosine gratuite à tempo antico che davano i mercadanti per carità, arrivavano à cento, e più scudi adesso è scemat’assai e quel che viene è la maggior parte per messe.”[ccxxix]

Petilia Policastro (KR), il santuario di S. Maria della Spina.

Una descrizione del monastero agli inizi del Settecento

In relazione alla sua lunga storia ed alla sua importanza, nel corso dei secoli le strutture del monastero della Santa Spina subirono adeguamenti e trasformazioni, che è possibile documentare a partire dagli inizi del secolo XVII.

6 luglio 1616. In relazione alla sua donazione in favore del monastero di S.ta Maria della Spina, Vespesiano Pantisano puntualizzava che tale donazione “ci le dava a detto monasterio per l’amor di dio, et per riparatione delle fabriche farà detto monasterio”.[ccxxx]

1 giugno 1629. Nel suo testamento, il C. Gio. Thomaso Campana di Policastro lasciava 10 ducati al monastero di S.ta Maria della Spina “per la fabrica”.[ccxxxi]

27 settembre 1655. Gio. Vincenso Caputo di Policastro donava al monastero di S.ta Maria della Spina, la possessione loco detto “la fiumara”, per “la fabrica che si farà in detto Monasterio”.[ccxxxii]

Agli inizi del Settecento il monastero della Santa Spina, posto “lontano due miglia”, o mille passi, dalle mura di Policastro,[ccxxxiii] a cui lo congiungeva una “via scoscesa, e precipitosa”, ci è descritto in maniera particolareggiata dal Mannarino, che si sofferma nella descrizione delle sue strutture e dei luoghi nei quali si trovava immerso: “A man destra fra l’Austro, e l’Occidente, è l’altro Monastero dè nostri Padri Minori osservanti sù alla Montagna, ove i famosi monti, e delitiosi Colli Petiliani, e di là dal fiume Soleo, che si passa per un Ponte grande di fabrica, poggiati li fondamenti sopra durissime, e smisurate Pietre, che dalla Natura ad’ambedue parti fur disposte; e Lavorato con arco bellissimo, è fortissimo, nel di sotto, è nell’orli suovrani cordonato dell’istessa Pietra all’intorno; e appena passato detto Ponte, si ritrova una fontana col frontespizio, e scudo serafico anche dell’istessa Pietra medesima lapide, con acque fredissime, e leggiere per sollievo dè Passaggieri. (…) “Qui e il luogo molto ameno, vistoso, e superiore al Mar d’oriente, con molti ruscelli, e fontane bellissime. Hà una Selva deliziosa di quercie, e Castagne, che prima era murata all’intorno, adesso vi sono Reliquie di mura à tutto il vasto Circuito. Avvi parimente un leggiadrissimo Giardino assai spazioso, e ricco di tutti gli albori, e varietà di più scelti frutti d’està, e d’Inverno e vi nascono pur erbe assai stimate, e di tutto ciò vi n’è in gran Copia. Per mezzo poi vi passa un Torrente di acqua qual scende dal Ciglione, e vetta del Monte, ottima per bere, commoda all’inaffio, e sarebbe detto Giardino per la grandezza, ed’abbondanza il meglior dè Contorni, se non fosse pregiudicato nell’ornamenti artificiali, dè quali vi è rimasta l’ombra distrutti dal tempo, e per l’altre maggiori emergenze non sollevate, e ristorate. La Chiesa primieramente era framezzata per lungo con un’ordine d’archi di Pietra bianca lavorata all’antica; né cui Pilastri, e lapidi sepolcrali del Pavimento stavano intagliate inscrizzioni degnissime Greche, e Latine; oltre alle Parieti tutte ripiene di Cone, e di Tabelle di voti, e grazie giornalmente ricevute dalla Sacrosanta Reliquia. Settant’anni sono, che fur tolti quest’archi, e rinovata l’incrastatura col Pavimento, solo rimasero quelle lapidi più moderne; privato tutto quel Sacro luogo, e voto di quella sua più pregiabile, e veneranda divozione, ed’antichità; della quale né rimase pur qualche straccio. Ma in quest’ultimi anni per l’antichità della fabrica, e per timor di rovina si gionse all’ultimo segno, atteso fu espediente di rifabricar dà fundamenti le mura, che non eran capaci di ristoro. E sé bene molti dissero, che poteasi riparar leggiermente la iattura, pure non era forze così, onde fù giudicato dar principio ad una nuova pianta, mutato di tutto, in tutto l’ordine, e modello antico Rimasto solo il suo bel Campanile ultima Reliquia d’antichità il quell’alto à torre quadra, ma con Cupola Piramidale, è tutto merlato, e Palaustrato alla Cima per Commodità di passeggiarvi, la cui vista ave ben comprendersi dal Sito. Sicchè il P. Gioseppe Spinelli dà Policastro avendo tra le qualità del suo animo quella della magnificenza nella …, e nella grandezza e nobiltà della Chiesa, à rinovato all’uso la Chiesa. Cioè l’Atrio, ch’era in occidente con bocca à Tramontana, oggi è Sacrestia; e la Porta Maggiore di detta Chiesa è aperta con faccia all’oriente dove era prima l’altar Maggiore, adornata, e pregievole non men che Cose assai. La Chiesa poi e lavorata di Stucco il più fino è con un Coro sopra la sudetta Porta lavorato con Tavole di Castagne, e bellissimi intagli. La soffitta, o sia Intempiata nuova in piano e di scelta Pittura, come altresì osservansi Pitturie di chiaro scuro in ambi i lati sopra il Cornicione, effiggiantino i misteri della dolorosa Passione di Gesu Cristo. Vi sono sei Capelle tutte di stucco à semetria con lor Quadri. L’altar maggiore è di Pietra bianca indorato con il suo sacro Ciborio in cui si conserva il Pane dell’Angeli e parimente in semetria vi è la statua di Marmo finissimo assai bella di Maria Madre delle Grazie col suo Pargoletto nume in braccio; dietro a detto Altare vi è un Coretto per officiar di giorno, e la Porta nel mezzo per cui si entra in Sacrestia; siccome al lato meridionale vi è un’altra Porta per ingresso al Chiostro Sopra però al muro della Sacrestia à prospettiva maestosa della Porta Maggiore della Chiesa si alza la gran Capella della SS.ma Spina, qual è d’altezza venti Palmi, e diece di larghezza, in cui si sale per due scale sosa una Palconata come orchestra. Il Capellone che fù fatto lavorare di legno di Tiglia dal fù P(ad)re Ludovico fratello utrinque di detto P(ad)re Gioseppe, quatro anni sono è stato indorato sotto il mio governo da due Indoratori Napolitani, unitamente con la sua nuova, e vistosa, anzi superba Custodia, e dodici statuette con loro Reliquie, e Cristallo in Petto al medesimo Capellone; e ciascuna nella sua Nicchia collocata, che tutto poi si Cuopre con un Panno spizioso, nel di cui lato destro si situa l’organo; e nel sinistro un Quadro grande, e largo più del Capellone in cui si rappresenta tutta l’Istoria di detta Sacra Reliquia, ch’è il titolo nuovo della Chiesa, e Convento.” (…) “Conservavasi prima questa Reliquia in propria Capella, e sontuosa posta in oro, e serrata da una magnifica grada, e porta di ferro con Catenaccio, fondata dalla nobil famiglia Riccia, già quasi terminata, e con una mia Zia Caterina, e con la sorella Livia ancor vivente, ma vecchia, ambedue Cugine di Chiara Poerio mia Madre.”[ccxxxiv]

Petilia Policastro (KR), il portale del santuario di S. Maria della Spina.

Le rendite

Le magnificenze descritteci dal Mannarino, che sottolineano la ricchezza del monastero della Santa Spina durante la prima metà del Settecento, appaiono confortate dalle notizie riguardanti i suoi possedimenti, che ricalcano quelli segnalati nei documenti più antichi. Attraverso il catasto onciario, quantunque in maniera incompleta, apprendiamo che, alla metà del Settecento, il monastero possedeva la terza parte della “Gabella di Campana”,[ccxxxv] la quarta parte della “Gabella del Mortilletto”,[ccxxxvi] un castagneto “nelli Crocetti”, confinante con le “Castagne” del chierico celibe, o diacono, Dom.co Vallone[ccxxxvii] e con il “vignale” alberato “Con piedi di Castagne” del bracciale Giandom.co Castagnino.[ccxxxviii]

Il monastero deteneva anche il possedimento detto “il Bosco di S. Maria”,[ccxxxix] ovvero “lo bosco del v(enera)b(i)le Monistero della S.ta Spina”, confinante con il “pezzo di terra alberato di Castagne ed altri alberi fruttiferi nel luogo detto la Difesa del Monacello seu Fossa di Natale”, del bracciale Fran.co Antonio Curto,[ccxl] e con il “Castanitello” del massaro Giovanni Tuscano che, a sua volta, confinava “allo querceto del Conv.to di S. Maria”.[ccxli] Il monastero, inoltre, in comune con la chiesa dell’Annunziata di Policastro, possedeva lo “Ius quintae” sulla difesa detta “il Monacello”, cioè il diritto di esigere la quinta parte del seminato da tutti quelli che avevano possedimenti nell’ambito della difesa stessa, come ad esempio, nel caso del mastro barilaro Gaetano Comberiati.[ccxlii]

Per quanto rigurda la sua attività creditizia, risultano in catasto le seguenti annualità che il monastero percepiva da alcuni particolari: quella di duc. 10.50 dal nobile Antonio Tronca per il prestito di un capitale di duc. 130,[ccxliii] l’annualità di duc. 4 e carlini 4 dal bracciale Antonino Rizza di Mundo, per il prestito di un capitale di duc. 55,[ccxliv] l’annualità di carlini 32 dal sacerdote Tommaso Caccuri, per un capitale di duc. 40,[ccxlv] e l’annualità di carlini 16 per un capitale di duc. 20 prestato al mag.co Giampietro Natale.[ccxlvi]

Il terremoto del 1783

La relazione arcivescovile del 1765, ribadisce che “In Terra Policastri” esisteva il “Conventus S(an)cti Francisci Observantiae minorum” posto fuori le mura, dove abitavano in tutto circa 22 religiosi con un luogo per i novizi ed il loro maestro.[ccxlvii] Gli eventi legati al terremoto del 1783 e le conseguenze determinatesi dopo il sisma, impressero una svolta decisiva. In tale occasione “La città di Policastro, che giace presso alla Sila, fu in gran parte distrutta, e nel resto conquassata.” A quel tempo, il monastero che contava 16 religiosi, [ccxlviii] fu talmente danneggiato da dovere essere abbandonato dai frati: “Convento dei frati minori di S. Maria delle Grazie (sic). Costruito dal senato di Policastro fu abbandonato dopo il terremoto del 1783”.[ccxlix] In seguito però riaccolse i frati, anche se in numero più limitato rispetto al passato,[ccl] e fu reintegrato del “Giardino dei PP. Osservanti”.[ccli]

Petilia Policastro (KR), la data “1699” sull’ingresso del santuario di S. Maria della Spina.

Questione di patrimonio

Sul finire del Secolo il monastero della Santa Spina risultava già riaperto, mentre quello delle Manche attendeva ancora, anche se tale situazione non era stata ancora definitivamente stabilizzata ed il numero dei frati risultava esiguo, come sottolinea un documento del 1798 dove si evidenzia che a Policastro mancavano quasi del tutto i sacerdoti regolari.[cclii] Nel “Piano dè Luoghi Pii, e loro rendita, formato per ordine di Sua Ecc.a Sig.r Marchese di Fuscaldo dal Sig.r Archid.no D. Diodato Ganini Vicario Generale Capitolare di questa Diocesi di S.ta Severina” redatto il 7 agosto 1796, si evidenziava, infatti, il desiderio di pervenire alla riapertura di uno solo dei due monasteri, caldeggiando la riapertura di quello delle Manche, dove si sarebbero dovuti trasferire i frati del monastero della Santa Spina già riaperto, in relazione a presunti disagi legati alla lontananza del loro convento dall’abitato:

“…rato dalla M.a del Sovrano per organo di V.a Ecc.a del Convento d[ella S.ta] / Spina con l’obbligo di mantenere otto Sacerd.ti di Messa … / lusingo che la mente del Sovrano, e di V.a Ecc.a fù acciò què Frati / [des]sero tutti L’aggiuti spirituali alla popolaz.ne di Policastro m[a] / il sito dov’è il cennato Convento rende il tutto inutile; Non p… / le andarci Gente per frequentare i Sacram.ti perché devono salire una stra / da alpestre per circa 2 miglia, oltre del Fiume che ne attraversa il Cami[no] / dove per ponte son situati alcuni legni per commodo dè passaggieri; … / nulla dico del sito boscoso per cui specialm.te le donne non sarebbero esenthi / da innumerabili pericoli che sà inventare, ed esegoire il mal costume / Potrebbe dunque V.a Ecc.a ordinare a què frati di andare ad abitare / nel altro Convento dè Riformati, che per esser vicino al Paese potreb / bero amministrare i Sacram.ti, e nello stesso tempo aprir qualche … / treda per istrazzione della gioventù; Perché in contrario sarebbe / più utile la ravvivaz.ne del Convento della Riforma con esser abbita / to da Frati di quella Religione che il già ravvivato della S. Spina / perché potran chiamarsi più tosto Romiti, che del Ord.ne di S. Fran / cesco quando il sito li rende inabili ad eseguire il fine del loro istitu / to, nel prestare aiuto spirituale alle respettive Popolaz.ni.”[ccliii]

Nella realtà, tralasciando le questioni sollevate in maniera pretestuosa, le ragioni relative a questa scelta risultano meglio comprensibili qualora si osservi che il “Monastero della S. Spina, già reintegrato”, risultava possedere rendite di gran lunga maggiori rispetto a quello dei riformati.[ccliv] Nella “Lista di Carico” dei “Luoghi Pii di Policastro”, le entrate della Santa Spina risultavano: “Giardino voltato alli monaci 00.00; Pantano 12.00; S. Caterina vecchia 05.66; Andreoli 38.00; S. Cesaro 18.00; Porcili 13.00; Campana 18.00; Napoli castagne 32.00; Il Bosco 47.00; Manca del Salice 12.00; Mortilletto 17.00; Salemone 0.60; Cruculi 1.00; Blaschi 9.90; Scodalupo 5.20; Fossa di Natale 4.60; Maiella 1.80; quinta del monacello 8.00; Offizio 3.20; Cenzi 53.66. Totale 300.62.” quelle dei riformati, invece, si riducevano al solo orto del convento: “Orto della riforma 50.00”.[cclv]

Più dettagliate sono le informazioni provenienti da altri documenti di questo periodo. Nell’inventario dei beni e delle entrate appartenenti ai Luoghi Pii del “Diparto di Policastro e Mesoraca”, che reca la data del 29 agosto 1796, sono elencate quelle del “Convento dei PP. Osservanti” di Policastro che riportiamo integralmente:

“Corpi Stabili.

Pantano Vignale nel Territ.rio di Policastro di natura nobile di tum.a / venticinque, con 315 albori di quercie affittato a D. Gio: Bactis / ta Portiglia per annui d. 12, pagabili in Fiera di Mulerà / 8 7mbre, col patto di coprire, e non coprire rispetto alle gliande. d. 12.

E perché in quest’anno 1795, prossimo passato vi furono tum.a / 70 di gliande, che importarono d. 14 coprì l’affitto, il sud.o / si deve esigere per terzo.

Andreoli seu Valle di S. Maria Gabella in d.o Territ.ro di tum.a 35 / di terra nobile, affittata al sud.o Sig.r Portiglia per docati / 16 annui pagabili in Fiera di Mulerà. d. 16

S. Cesario Gabella nel sud.o Territ.ro di tum.a 38, con varie quercie di stato / e 13 tronconi, affittata ad Antonio Carvello di Cleria ad / ogni uso per annui docati 35 che terminò nella Fiera di Mule / rà del prossimo scorso anno 1795, ed ora si trova affittata / ad uso di erba al Paroco D. Pietro grano per annui / d. 18 pagabili in Fiera di Mulerà primo venturo. d. 18

Li Porcili ò sia piano di S. Maria Vignale in d.o Territ.rio di tum.a / 24 di terra nobile con 110 quercie di stato, affittato con il vi / gnaletto di Crucoli a D. Carlo Tronca per annui docati 12; li / Porcili, e Crucoli carlini diece pagabili in Fiera di Mulerà. d. 13

In d.o affitto vi è pure il patto di coprire, e non coprire, ris / petto alle gliande, ed in q.o corrente anno perché vi furono / tum.a 90 di gliande, che importarono d. 18 coprirono l’affit / to il sud.o si deve pagare per terzo.

Manca del Salice, Vignale in d.o Territ.rio di tum.a 15, affittato a D. Mi / chele Ferraro ad’ogni uso per d. 12, pagabili in Fiera di Mulerà. d. 12

Cropa vignale in d.o Territ.ro di tum.a 3, con 15 piante di quercie, affit / tate a D. Michele Ferraro per carlini 10 pagabili in Mulerà. d. 1

Vi è anche il patto di coprire, e non coprire per le gliande, e per / chè in q.o caduto Anno le gliande in tum.a 8 coprì l’affitto, / che importarono carlini 16, l’affitto si paga per terzo.

Cruculi Vignale nel med.o Territ.rio di tum.a 8 di terre nobili, con 35 / piante di querce affittato colla Gabella Porcili come di sop.a a D. Car / lo Tronca per carlini diece pagabili in Mulerà. d. 1

Vi è anche il patto di coprire, e non coprire per le gliande, e perchè / in d.o caduto anno 1795 le gliande in tum.a 10 coprirono l’affitto, / che importarono carlini 20, il sud.o si paga per terzo.

Scodalupo Castaneto in d.o Territ.ro di una tumolata di terra, soget / ta al comune con 21 piante di Castagna gentili, confina col Bosco / di d.o Convento, col castaneto di Fran.co Ierardo, quello di D. Gio: Bat / tista Portiglia, e quello di Gio: Battista Pasquale, s’inga / bellò il Frutto nel prossimo caduto anno 1795 per tum.a 26 cas / tagne. d. 5.20

Masella Castagneto in d.o Territ.rio dell’estenzione di trè quarti di / tum.a di terre sogette al Comune con 122 piedi di Castagne, / confine colli beni di Gio: Battista Pasquale, e col sud.o / Bosco, nel sud.o prossimo passato anno 1795, s’ingabellò il / Frutto per tum.a 9 Castagne. d. 1.80

Li sud.i Castaneti, Scodalupo, e Masella non si sono esatti / perché in controversia con il Sig.r D. Pietro Parroco Grano / censuario del Fondo d.o Bosco, e ne pende la decisione.

Monacello Difesa nel med.o Territ.ro dell’estensione di tumulate / 1000, quasi tutta piantata di Castagne, appartenenti a / Naturali di Policastro, confina al passo di Scinello, il Fiu / me Soleo, Vallone Cupo, Difesa di Montano, Castagneto di / Napoli, via della Carrea, vigna di Campizzi, Strada / tra l’orto del Convento, e quello di D. Pietro Grano, e le / Castagne, e quercie della Cappella di S. Giacomo; quale / Difesa in comune colla Chiesa dell’Annunziata di Polica / stro , e questi due Luoghi Pii hanno solo il diritto di esigere / la quinta sù li seminati, che vi si faranno, cioè il mezzo / terratico.

Censi Enfiteutici.

D. Antonio Comberiati per canone sopra l’Ospizio d. 03.21

Bruno Donato, e per esso D. Antonino Caccuri, ed Eredi del med.o / per canone sop.a alcuni casaleni contigui alla Chiesa di S. / Fran.co, devono in ogni Agosto d. 03.50

D. Antonio Coco ed Elisabetta Pascquale per canone sop.a altri / casaleni in d.o Luogo, devono in d.o tempo d. 01.50

Vito Figlio, ed Erede di Luca Ierardo di Vito per canone sul / casaleno nel luogo d.o il Palazzo di Campana d. 00.84

Paolo Figlio, ed Erede di Dom.co Milea per canone sop.a altro casa / leno in d.o Luogo d. 01.24

Dom.co di Paola, e per esso Tomaso Curto per canone sop.a altro / casaleno in d.o Luogo d. 00.60

Fran.co Raimondi, e per esso Gaetano Gangale per canone sop.a altro / casaleno in d.o Luogo d. 00.60

Diego Lerose, e per esso Vittoria Rotella per canone sop.a il vigna / le detto Spinello d. 02.10

La Cappella di S. Giacomo, come erede del q.m D. Gio: Angelo dell’ / Aquila, e per esso il Re.ndo D. Pietro Grani per canone sop.a la / destra d.a il Mortilletto d. 04.00

D. Michele Ferraro per canone sop.a li beni ereditari di D. Feli / ce Zurlo d. 07.00

D. Antonio Madia per canone sop.a i celzi del Ringo d. 05.40

D. Pietro Paroco Grani per canone sul giardino attaccato al / Convento della S. Spina censuitoli dalla C. S. d. 40.00 / Non si esigge perché da S. C. è stato dato alli PP. / della S. Spina.

D. Giuseppe Cavarretta per canone sop.a il Vignale d.o S. / Caterina vechia, ò sia Salamone censuitoli dalla C. S. / deve in Aprile p(rossi)mo venturo d. 05.44

D. Michele Ferraro per canone sop.a la Gabella d.a Campana / censuitali dalla C. S. deve in Agosto d. 18.30

D. Benedetto Mancini per canone sul Castagneto d.o li Napoli / censuitoli dalla C. S. deve in 8bre d. 32.00

D. Pietro Paroco Grani per canone sul fondo d.o Bosco censui / toli dalla C. S. deve in Agosto d. 47.00

D. Gio: Battista Portiglia sul Vignale d.o Salamone deve / nel prossimo entrante aprile d. 00.60

D. Dom.co Venturo per canone sul Castagneto d.o Blaschi vendu / toli da Luca Marino deve in 8bre d. 09.90

Antonio Caruso Tubario per canone sul Castagneto d.o Fossa di / Natale in docati 4.60 sequestrato il Frutto per ordine della / C. S., e venduto in tum.a 20 castagne nel prossimo ca / duto anno d. 04.00

Li sud.i Docati 4 sono stati esatti dal Fù Reg.o Am.re D. Dom.co / Galati de Diano e perciò non si devono da Noi portare in / Introito.

D. Antonio Parise per Canone sulla Gabella Mortilletto deve / in Agosto d. 17.00

D. Carmine Portiglia per Canone sul Castagneto d.o Caola cen / suitoli dalla C.S. deve in 8bre d. 02.43

Censi Bullari

D. Carlo Tronca erede di Carlo Seniore per capitale di docati 100 / deve in Agosto d. 5.00

Più lo stesso, come Erede di D. Tomaso Tronca per capitale di / docati 80 deve in d.o tempo d. 04.00

Più lo stesso per capitale di docati 35 deve come sop.a d. 01.75

D. Clemente Madia credo di Angelo Madia per capitale di d. 40 de / ve annui d. 02.00 / Atteso carlini 4 li furono lasciati dall’Giunta con Decreto de / 16 Febb.o 1788.

Onofrio Mannarino e per esso Gio: Battista Comberiati per capita / le di docati 20 deve come sop.a d. 01.68

D. Giovanne, e D. Antonino Caccuri per capitale di Docati 90 deve / no d. 04.50

L’Istessi Caccuri per altro capitale di D. 43 devono come sop.a d. 02.15

Mastro Pietro Morrone, e per esso Vittoria Castagnino sua Moglie, e per / esso li di lui Figli per capitale di D. 100 d. 05.00

Antonio Timpano di d.a Città per capitale di D. 20 deve d. 01.00

Da Simone Cimino per Capitale del Convento della S. Spina deve / in Xmbre del prossimo caduto Anno d. 15.36

Generi esatti, ed esistenti presso Tommaso Ierardo di Vito / per la quinta della Difesa del Monacello.

Giusep.e di Bartolo, e Giovanne Lepera germano tum.o 1.6

Rosario Corzale germano tum.o 0.3/8

Rosario Schipano germano tum.o 0.1/8

Giovanne Bona Percio germ.o tum.o 1.4

Il Porcaro del Sig.r Ferraro germ.o tum.o 0.4

Tomaso Roberto germano tum.o 0.2

Bruno Valoro germano tum.o 0.4

D. Dom.co Venturo germano tum.o 0.1

Sono 6.1/8

La metà che spetta a questo Luogo Pio

sono tum.a 3: misura/1 ½ .”[cclvi]

Di questo consistente patrimonio, nel 1810 appartenevano ancora ai frati della Santa Spina i seguenti fondi: Pantano, S. Cesario, Piano di S. Maria, Manca del Salice, Cropa, Crucoli, Fossa di Natale (castaneto).[cclvii]

Petilia Policastro (KR), particolare dell’ingresso del santuario di S. Maria della Spina.

Il santuario

Soppresso nel 1866, il monastero della Santa Spina fu successivamente riaperto, ed alla data del 23 aprile 1876 risultava ancora abitato dai frati, come affermava il padre provinciale dell’ordine: “Siccome qui esiste altro convento de Padri riformati riaperto anche da me dopo la soppressione, ove sono tre religiosi, cioè un sacerdote e due laici che lo mantengono aperto”.[cclviii] Sul finire del secolo, però, esso era ormai completamente decaduto per cui se ne progettava l’abbandono.

Da una relazione del 1896 fatta dal visitatore generale Fr. Luca de San Romano, apprendiamo che nel convento della Santa Spina si trovavano un sacerdote e quattro fratelli terziari; il popolo si definiva “ormai indifferente”, e si prospettano due soluzioni per il convento: “si potrebbe abbandonare o tenerlo semplicemente come ospizio”.[cclix]

Seppure decaduto, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, il monastero della Santa Spina costituiva ancora il principale monumento di Petilia Policastro e come tale era descritto dai funzionari ministeriali del tempo: “Santuario della Santa Spina, in Contrada S. Spina, avanzi del monastero dei Minimi Osservanti (fond. Sec XV) chiesa ricostruita, interno secentesco, unica navata, soffitto ligneo con decorazioni pittoriche (Cristoforo Santanna 1772) altare maggiore marmoreo sontuoso, decorazioni scolpite e figurate a gran rilievo (1764), abside con fastigio ligneo intagliato e dorato, cantoria ricca d’intagli (sec. XVIII) Prop. Ecclesiastica e del comune di Petilia Policastro.”[cclx]

Note

[i] D’Amato V., Memorie Historiche di Catanzaro, 1670 p. 40.

[ii] Russo F., Storia della Chiesa in Calabria II, p. 597.

[iii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[iv] Goillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana, 2009, pp. 71-73.

[v] ASCZ, Busta 158, fasc. 651, anno 1630-1631, ff. 71-71v.

[vi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991.

[vii] AASS, Fondo Capitolare, cartella 4D fasc. 3.

[viii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 72A.

[ix] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[x] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[xi] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 287-288.

[xii] ASN, Materia Feudale, Relevi, vol. 346 fascicolo 32, f. 356v.

[xiii] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 34B.

[xiv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 246.

[xv] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xvi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, II, 9672.

[xvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 166v-167.

[xviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 293, ff. 1v-4 e 40-41.

[xix] Russo F., Storia della Chiesa in Calabria, II, pp. 408-409.

[xx] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xxi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, II, 10011.

[xxii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 357-358.

[xxiii] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, II, 9884.

[xxiv] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, II, 9582.

[xxv] Fiore G., Della Calabria Illustrata II, p. 627.

[xxvi] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xxvii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xxviii] ASV, S. Congr. Concilii Visit. Ap., 90; Pro Ecclesia Sanctae Severinae, 1586.

[xxix] ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1589.

[xxx] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, V, p. 381. Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 206-217.

[xxxi] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1649, p. 86.

[xxxii] Fiore G., Della Calabria Illustrata II, p. 421.

[xxxiii] Fico G. A., Notizie Storiche della Patria di San Zosimo, 1760 p. 45.

[xxxiv] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xxxv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 2A.

[xxxvi] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, V, 26620.

[xxxvii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 10A.

[xxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 44v-45v.

[xxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 300, ff. 130-130v.

[xl] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xli] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 39-39v.

[xlii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 18-19.

[xliii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 73v-76.

[xlv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 69v-70.

[xlvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78, prot. 286, ff. 116-117v.

[xlvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78, prot. 286, ff. 216-216v.

[xlviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 43-43v.

[xlix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287 ff. 67v-69v.

[l] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 69v-70.

[li] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 288, ff. 76v-77v.

[lii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 157-158v.

[liii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 45v-46v.

[liv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 167-167v.

[lv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 32v-33v.

[lvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 300, ff. 23v-25.

[lvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. 45v-47v.

[lviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 302, ff. 72v-74v.

[lix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 302, ff. 123-124.

[lx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 31v-35v.

[lxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 304, ff. 80-81.

[lxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 304, ff. 99-99v.

[lxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 43v-45v.

[lxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 64v-68.

[lxv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 801, ff. 101v-103v.

[lxvi] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 801, ff. 114-115.

[lxvii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 805, ff. 31-32v.

[lxviii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 5v-7v.

[lxix] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 5-7.

[lxx] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 2v-3.

[lxxi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 200v-201v.

[lxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 293, ff. 1v-4.

[lxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 293, ff. 40-41.

[lxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 31v-35v.

[lxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 73v-76.

[lxxvi] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 802, ff. 62v-64.

[lxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 292, ff. 86v-87.

[lxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 288, ff. 70-71; prot. 292, ff. 86v-87; Busta 79 prot. 295, ff. 7-7v; ff. 27-27v; ff. 39v-40v; prot. 298, ff. 40v-41; prot. 299, ff. 69v-70v. Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 804, ff. 175v-179; ff. 179-180v; ff. 205v-208; prot. 805, ff. 35v-37v. Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 7-9.

[lxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 7-7v.

[lxxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 32-33v; Busta 80 prot. 307, ff. 76v-78. Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 118v-119v; prot. 804, ff. 175v-179 e ff. 179-180v.

[lxxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 28v-29.

[lxxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 99-100v.

[lxxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 192v-195.

[lxxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 54-56.

[lxxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 299, ff. 91v-92v.

[lxxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. 43v-44.

[lxxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 140-142v.

[lxxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 306, ff. 90-91v.

[lxxxix] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 104-105v.

[xc] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 804, ff. 26-31.

[xci] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 804, ff. 126v-132v.

[xcii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 42v-45.

[xciii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 68v-70.

[xciv] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 23v.

[xcv] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 141.

[xcvi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 159-159v.

[xcvii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 37.

[xcviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 177.

[xcix] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 57v.

[c] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 219.

[ci] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 48v-49.

[cii] ASN, Fondo Notai del Seicento, Notaio Giuseppe de Vivo, scheda 714 prot. 18.

[ciii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 37 e 176v.

[civ] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 139v; Notaio Ignoto Policastro, Busta 81, ff. 17-18; Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 155-155v.

[cv] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 100-102.

[cvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 114-114v; Busta 79 prot. 296, ff. 103-103v.

[cvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 36-37v.

[cviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 129v-130; prot. 290, ff. 109-111v; prot. 291, ff. 67-68; Busta 79 prot. 294, ff. 27v-28v, ff. 28v-29v, ff. 44v-45v; prot. 297, ff. 36-37v; prot. 300, ff. 130-130v; Busta 80 prot. 305, ff. 39-39v; Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 802, ff. 62v-64; Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 164v-166.

[cix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 179v-180.

[cx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 70-70v.

[cxi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 163v-164v.

[cxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78, prot. 286, ff. 206v-207; prot. 287, ff. 20-22.

[cxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 109-111v.

[cxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 111v-112.

[cxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 293, ff. 61v-69.

[cxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 19-19v.

[cxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 82v-83v.

[cxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 110-111.

[cxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 61v-62v.

[cxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 216-216v.

[cxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 240-240v.

[cxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 129v-130.

[cxxiii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[cxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 307, ff. 100v-101v.

[cxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 101-102v.

[cxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 166-167v.

[cxxvii] ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 f. 39.

[cxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78, prot. 286, ff. 14v-15v.

[cxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 307, ff. 59-60v.

[cxxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 36-37v.

[cxxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 38v-39v.

[cxxxii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 155-156.

[cxxxiii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 77v-79.

[cxxxiv] Maone P., Notizie Storiche su Cotronei in Historica n. 2/1972 p.104 che cita: ASN, Spoglio Signif. Relev. di Cotronei, 2° vol., f. 177; ASN, Relevio 392/1.

[cxxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 296, ff. 103-103v.

[cxxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 307, ff. 105-105v.

[cxxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 183v-184v; Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 133v-134.

[cxxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 95-96.

[cxxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 166-167v.

[cxl] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 175v-176v.

[cxli] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 176v-177v.

[cxlii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 300, ff. 92-93.

[cxliii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. 144v-146.

[cxliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. sciolti s.n.; Busta 80 prot. 302, ff. 128v-129.

[cxlv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 307, ff. 45-46v.

[cxlvi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 39v-41.

[cxlvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 307, ff. 46v-48.

[cxlviii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 58-61.

[cxlix] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 805, ff. 46-53.

[cl] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 109v-114.

[cli] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 164v-166.

[clii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 180v-181v.

[cliii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 97-98v.

[cliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 288 ff. 75-76.

[clv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 143-143v.

[clvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 291, ff. 92-93.

[clvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 291, ff. 125-126.

[clviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 69v-70.

[clix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 156v-157v.

[clx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 94-95.

[clxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 304, ff. 50v-52.

[clxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 300, ff. 2-2v.

[clxiii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 17v-19.

[clxiv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 804, ff. 9-10.

[clxv] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 53-56.

[clxvi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 124-126.

[clxvii] Carnì M., Il “sindaco apostolico” chierico in ambito francescano osservante tra autorità religiosa e governo episcopale. Un caso singolare a Isola di Capo Rizzuto nel 1709, in Angelicum v. 85, 2008 f. 4, pp. 1199 sgg.

[clxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 44v-45v.

[clxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 286, ff. 216-216v.

[clxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 69v-70.

[clxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 97v.

[clxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 291, ff. 67-68.

[clxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 292, ff. 56v-57.

[clxxiv] Carnì M., Il “sindaco apostolico” chierico in ambito francescano osservante tra autorità religiosa e governo episcopale. Un caso singolare a Isola di Capo Rizzuto nel 1709, in Angelicum v. 85, 2008 f. 4, pp. 1199 sgg.

[clxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 36-37v; prot. 300, ff. 130-130v.

[clxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 27v-28v e ff. 28v-29v.

[clxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 38v-39v.

[clxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 69v-70.

[clxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 156v-157v.

[clxxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro Policastro, Busta 78, prot. 286, ff. sciolti s.n.

[clxxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 304, ff. 50v-52.

[clxxxii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 802, ff. 62v-64.

[clxxxiii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 18-19.

[clxxxiv] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 163v-164v e ff. 164v-166.

[clxxxv] 15 aprile 1647. Il cl.co Matteo Curto di Policastro vendeva al monastero di S.ta Maria delle Manche, nella persona di Gio. Battista Callea, procuratore “seu Sind.co Ap.lo del V(enera)b(i)le Monasterio della Madonna della Manche”, un pezzo di terra della capacità di un quarto circa arborato di “Celsi, fico, e noci”, posto dentro il territorio di Policastro loco detto “le manche”. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 42-43.

[clxxxvi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 152.

[clxxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 291, ff. 67-68.

[clxxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 27v-28v.

[clxxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 65-66v.

[cxc] ASCZ, Notaio G.B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 121v-123.

[cxci] ASCZ, Notaio G.B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 32-33v.

[cxcii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 294, ff. 28v-29v.

[cxciii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 38v-39v.

[cxciv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 36-37v.

[cxcv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 62-62v.

[cxcvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 25v-26v.

[cxcvii] ASCZ, Notaio G.B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 74v-75v.

[cxcviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 295, ff. 71-73.

[cxcix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 50v-51v.

[cc] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 304, ff. 90-91.

[cci] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 50v-51v.

[ccii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 55v-56.

[cciii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 130v-132v.

[cciv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 153-154v.

[ccv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 298, ff. 44v-45v.

[ccvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 298, ff. 58-59v.

[ccvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 301, ff. 117-119v.

[ccviii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 109v-110v.

[ccix] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 71-73v.

[ccx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 5v-9.

[ccxi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 60-64.

[ccxii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 28v-29v.

[ccxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 124v-125.

[ccxiv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 804, ff. 10-11v.

[ccxv] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 7v-9.

[ccxvi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 91v-92.

[ccxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 302, ff. 44-45.

[ccxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305, ff. 25-25v.

[ccxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 170-172v.

[ccxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 298, ff. 15-15v.

[ccxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 303, ff. 73v-76.

[ccxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 304, ff. 97v-98v.

[ccxxiii] ASV, Rel. Lim. Santa Severina 1675.

[ccxxiv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 153-155.

[ccxxv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 146.

[ccxxvi] ASN, Fondo Notai del Seicento, Notaio Giuseppe de Vivo, scheda 714 prot. 18.

[ccxxvii] ASV, Rel. Lim. Santa Severina 1725.

[ccxxviii] Russo F., Regesto Vaticano per la Calabria, X, 53621. Garcia A., I brevi dell’Archivio di Stato di Catanzaro in Calabria Sconosciuta n. 47/1990.

[ccxxix] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[ccxxx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 290, ff. 111v-112.

[ccxxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 297, ff. 36-37v.

[ccxxxii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 163v-164v.

[ccxxxiii] ASV, Rel. Lim. Santa Severina 1725.

[ccxxxiv] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[ccxxxv] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 52.

[ccxxxvi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 65v e 139v.

[ccxxxvii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 15 e 116.

[ccxxxviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 25 e 156.

[ccxxxix] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 145.

[ccxl] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 19v e 131.

[ccxli] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 145.

[ccxlii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 168v.

[ccxliii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 10.

[ccxliv] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, ff. 5 e 95.

[ccxlv] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 152.

[ccxlvi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 151.

[ccxlvii] ASV, Rel. Lim. Santa Severina 1765.

[ccxlviii] Vivenzio G., Istoria e Teoria de Tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli 1783.

[ccxlix] Piperno G., Tesi di Laurea: I conventi dei Frati Minori in Calabria, Messina 1971-72, p. 24.

[ccl] Caldora, Calabria Napoleonica p. 219. Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 243.

[ccli] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 288.

[cclii] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[ccliii] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 86A.

[ccliv] AASS, Fondo Arcivescovile, volume 86A.

[cclv] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[cclvi] AASS, Fondo Arcivescovile, cartella 24B fasc. 3.

[cclvii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, pp. 287-288.

[cclviii] Piperno G., Tesi di Laurea: I conventi dei Frati Minori in Calabria, Messina 1971-72, p. 120.

[cclix] Piperno G., Tesi di Laurea: I conventi dei Frati Minori in Calabria, Messina 1971-72, p. 120.

[cclx] Min. Ed. Naz., I Monumenti, 1939.


Creato il 26 Febbraio 2015. Ultima modifica: 27 Agosto 2024.

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