La chiesa della Immacolata di Crotone
Al raccolto del 1678, rovinato dalle locuste, erano seguite le sterilissime ed aride annate del 1679 e del 1680 e poi il flagello dei bruchi che aveva portato la carestia e la morte. In questi anni, per molti di grande desolazione e miseria e per alcuni speculatori di rapido arricchimento, un gruppo di benestanti, spinti anche dalle autorità religiose, decise di edificare un luogo sacro dedicandolo all’Immacolata Concezione. Così nel 1682, durante il vescovato di Hieronymus Caraffa (1664-1683), fu eretto l’oratorio dalla pietà di alcuni Crotonesi i quali, a loro spese, provvidero alla sua costruzione e dotazione.[i]
L’edificio sacro, situato in parrocchia di Santa Margarita, presso il luogo detto “li molina” e il baluardo Toledo, divenne sede della confraternita dell’Immacolata Concezione[ii] e delle Anime del Purgatorio. Il sodalizio era detto anche dei “Plebei” perché composto da laici, per la maggior parte dediti al commercio del grano (piccoli proprietari terrieri, mercanti), dell’emergente borghesia cittadina, detentrice degli uffici e delle cariche pubbliche (notai, giudici, cassieri, chirurghi, medici, capitani, ecc.), appartenenti alle famiglie della seconda piazza della città, detta anche del popolo o degli Honorati.
Le regole della confraternita, distinte in vari capitoli sì da formare un piccolo libro, furono approvate il 4 dicembre 1684, al tempo della sede vacante per morte del vescovo Caraffa (8.10.1683), dal vicario capitolare, l’arcidiacono Hieronymo Suriano. La confraternita godeva il privilegio dell’annessione alla chiesa della gloriosa B. V. del Suffragio Alme Urbis, come si rilevava da un diploma, concesso in Roma il 10 febbraio 1686 dal cardinale Lorenzo Altieri, protettore dell’arciconfraternita di S. Maria del Suffragio Alme Urbis, in cui venivano confermati e mantenuti intatti nella loro validità, gli onori, le indulgenze ed i privilegi, con tutte le altre facilitazioni concesse alla confraternita crotonese.
Essa era amministrata da alcuni ufficiali eletti annualmente e precisamente da un prefetto o superiore, da un primo ed un secondo assistente, da un erario e cassiere e da due consultori. Inoltre, vi era un “padre” detto anche rettore o maestro, un sacerdote cioè, approvato dal vescovo, che amministrava il sacro. I confrati si riunivano di solito alla domenica per recitare il rosario e partecipavano alle processioni, occupando l’ultimo posto, essendo tra le sette arciconfraternite e confraternite allora esistenti, per lo più formate da chierici, nobili e mastri (SS.mo Sacramento, S. Maria de Monte Carmelo, SS. Pietà, SS. Annunciazione, SS. Crispino e Crispiniano e SS. Rosario), quella di più recente istituzione.
Indossavano un sacco di tela ordinaria bianco con cappuccio e una mozzetta o scapolare di color ceruleo (cambiato poi in turchino), nel cui lato destro era affissa l’immagine dell’Immacolata Concezione. Solo il prefetto si distingueva in quanto recava in mano una verga con le insegne della Vergine. Essi, inoltre, portavano nelle processioni la croce e potevano alzare il vessillo.
Dalla visita del vescovo di Crotone Marco de Rama (2.7.1690-4.8.1709), effettuata agli inizi del mese di dicembre del 1699, si rileva che l’oratorio pur piccolo era ben arredato e fornito di altare, paramenti, vasi sacri e sedili. All’interno vi erano dei quadri, tra i quali uno con l’Immagine della titolare ed uno raffigurante la Vergine del Rosario, due crocefissi grandi, un calice con coppa d’argento e patena, sei candelieri, una lampada d’ottone, un campanello piccolo, e anche 14 abiti di tela ordinaria bianca con cappuccio e 14 mozzette di terzanella acquamaro.
I confrati si riunivano al suono della campana grande nella loro chiesa e proprio in quell’anno, decisero di fondare un pio monte di messe da celebrarsi per l’anima di coloro che si sarebbero iscritti, corrispondendo in vita una certa elemosina. L’assenso alla erezione del monte, che avrà una gestione separata e sarà amministrato da un cassiere, prendendo il nome di Monte dei Morti dell’Immacolata e dell’Anime del Purgatorio, fu dato dallo stesso vescovo durante la sua visita. Il presule Marco de Rama, dopo aver esortato a perseguire la perfezione, sia nelle opere spirituali che temporali, rinnovò il decreto, già emanato al tempo dell’erezione, nel quale veniva intimato ai confrati di non violare i diritti della parrocchia di S. Margarita entro i cui confini l’oratorio era situato.[iii]
Fin dai primi anni la confraternita era stata oggetto di alcuni lasciti per la celebrazione di messe in suffragio; tra questi da ricordare quello concesso da Margarita Protentino (annui carlini 15 e grana 33 perpetui sopra un mulino di Gennaro Zurlo per 100 messe annue nei giorni festivi) e quello più sostanzioso del nobile Orazio Catizzone. Quest’ultimo, nel suo testamento aveva istituito un legato in favore della congregazione per una messa settimanale in perpetuo, assegnando per fondo un vignale in località “Il Palazzo”, un pezzo di terra, ducati 8 annui su un capitale di ducati 100, che gravava i beni della famiglia Milelli, ed una casa in parrocchia di Santa Veneranda. Il legato tuttavia era vincolato da una clausola, per cui sarebbe divenuto esecutivo solo dopo la morte della moglie del testatore, Vittoria Suriano.
Il Catizzone, inoltre, aggiunse altri ducati 7 e carlini 3 annui, provenienti da un censo sopra le vigne di “Gazzaniti” di Giuseppe Junta; con la condizione che anche questo denaro sarebbe entrato in possesso della congregazione solo dopo la morte della sorella, Anna Catizzone, clarissa nel monastero Santa Chiara di Crotone, alla quale la somma era stata assegnata per vitalizio.[iv] Già in questi primi anni della sua esistenza, nella chiesa era eretto un beneficio sotto il titolo della Immacolata Concezione e S. Didaco, dapprima di iuspatronato della famiglia Casanova e poi affidato dallo stesso fondatore al rettore, il chierico Sofronio Magliari, con l’onere di celebrare due messe alla settimana. Il beneficio, che nel 1699 era senza altare e cappella, fu al centro di lunghi contrasti, tanto che per parecchi anni il rettore non poté far celebrare le messe; tuttavia nel 1720 esso risulta con altare e cappella dentro l’oratorio e può vantare un censo di 24 ducati annui per la celebrazione delle due messe settimanali.[v]
All’inizio del Settecento, facilitato anche dalla ripresa economica che godeva la città, il sodalizio cominciò una fiorente attività creditizia, sia di aiuto verso i propri aderenti, che verso i piccoli proprietari ed i massari, impiegando parte delle rendite nell’abbellimento della chiesa. Proseguendo nella visita ai luoghi sacri sotto la sua giurisdizione, il 6 luglio 1720 il vescovo di Crotone, il benedettino Anselmo de la Pena (1719-1723), entrò nell’oratorio e ammirò oltre ai vasi sacri, i sedili, i paramenti ed il cimitero, anche i due altari: uno posto nella parte superiore della chiesa e l’altro in quella inferiore, dove cioè si riuniva la congregazione, composta da una ventina di iscritti. L’edificio sacro era arredato da una decina di quadri, alcuni grandi, altri mezzani e piccoli, tra i primi uno con l’immagine della Vergine del Rosario ed uno della Madonna, e da tre statue: una grande dedicata alla Madonna, e due piccole di S. Francesco d’Assisi e di S. Francesco di Paola.
Le proprietà della congregazione, che al tempo della visita del vescovo Rama consistevano solamente in una casa, un piccolo censo e del denaro liquido, con una rendita annua di quasi 10 ducati (mentre altri beni, quelli cioè lasciati da Orazio Catizzone, erano ancora “in spe” cioè la congregazione ne sarebbe entrata in possesso solo dopo la morte della vedova Vittoria Suriano e della clarissa Anna Catizzone), erano sensibilmente aumentate a tre case, un palazzo, una vigna e ben 12 censi, con un capitale impiegato di oltre 600 ducati, che davano un’entrata annua di circa 150 ducati. L’aumento del patrimonio in beni e soprattutto in censi, era dovuto più che ai lasciti testamentari, legati alla celebrazione di messe in suffragio, dalle rendite provenienti dal prestito, spesso ad usura, del denaro incassato dal Monte dei Morti, al quale ciascun inscritto versava 13 grana ogni semestre.
La concessione di piccoli capitali al tasso dell’otto per cento ai massari e ai piccoli proprietari, impegnandone le case e le vigne, era divenuta infatti in breve l’attività finanziaria principale e più interessante e lucrosa della congregazione. Da parte sua il Monte si impegnava a far celebrare 50 messe ed una cantata, per ogni fratello o sorella morta, mentre la congregazione a pagare 12 ducati al padre spirituale, a sostenere le spese per la celebrazione delle messe vincolate dai lasciti, e a celebrare degnamente la festa dell’Immacolata Vergine Maria.
Il vescovo, prima di lasciare l’oratorio, ordinò che entro quattro mesi fosse coperta con una tela cerata la lastra sacra dell’altare superiore, di far fare un armadio, simile e quello che si trovava nella sacrestia della cattedrale, dove fossero conservati più decentemente e meglio i paramenti della chiesa, e impose ai confrati di procurarsi un grande libro dove dovevano essere annotati in ordine e per esteso, tutti i beni con le entrate ed uscite sia della chiesa che del monte; inoltre egli ordinò di indicare in che modo erano, e sarebbero, pervenuti alla congregazione le proprietà ed i capitali.[vi]
Col passare del tempo, specie con l’aggregazione di nuove famiglie al seggio nobiliare ed alla seconda piazza dopo l’arrivo dei Borboni, il sodalizio era aumentato di importanza sia economica che politica; favorito in ciò anche dal legame di mutuo aiuto che legava tra loro gli aderenti che, sempre più spesso, si tramutava in complicità nella gestione di affari speculativi e nell’accaparramento degli uffici pubblici. Le cariche pubbliche ed il potere che esercitavano gli iscritti, permettevano loro di condizionare le scelte del governo cittadino, scegliendo di fatto i rappresentanti del secondo ceto o del popolo che, all’occasione, potevano salvaguardare e favorire gli interessi personali, mentre l’affidabilità e la solvibilità del monte, facendo aumentare le iscrizioni, incrementandone il capitale ed il consenso.
Lo stesso luogo venne ad assumere un significato politico preciso, e lo spiazzo compreso tra l’ospedale, il baluardo Toledo e l’oratorio fu chiamato ed identificato come “il sedile delli massari”,[vii] in contrapposizione al sedile dei nobili situato sulla pubblica piazza davanti alla cattedrale. L’oratorio venne ristrutturato, adornato e dotato di nuovi e preziosi oggetti sacri, segno e simbolo dell’ascesa sociale ed economica degli aderenti alla congregazione. Siamo a conoscenza che nell’ottobre 1734, i confrati acquistavano dall’argentiere napoletano Nicola Jorghi, un secchio ed un aspersorio d’argento[viii] e, dopo alcuni anni, nel 1738, gli ufficiali della congregazione decidevano di costruire un nuovo cimitero nella chiesa, comprando perciò alcuni edifici vicini e precisamente, una casetta matta, “cadente e quasi inabitabile”, attaccata da una parte alla chiesa e dall’altra, ad un magazzino di Diego Tronca, di proprietà del beneficio semplice di S. Matteo Apostolo della famiglia Giuliano eretto nella cattedrale,[ix] ed il magazzino appartenente a Diego Tronca;[x] quest’ultimo era attaccato alle mura della città.
Costruito il cimitero, sopra di questo aprirono la porta della chiesa ed un corrispondente atrio “per quanto si era il luogo di detta casetta e magazeno”. Davanti all’atrio rimase un piccolo largo che la stessa congregazione chiuse con un muretto.[xi] L’anno dopo i lavori alla chiesa proseguivano: Dionisio Caracciolo levava la terra e le pietre per costruire un muro nuovo, Diego Monti con il discepolo Riganello, faceva “l’ammatonata della chiesa”, i mastri Domenico Lavinas, Pietro Cosentino e Nicola Pangari “informavano e sformavano la lamia”, ed il mastro Dionisio Sacco costruiva l’“orchesto” e faceva una nuova vetrata. L’edificio sacro era fornito di stalli per l’organo, comprati da Gio. Battista delli Antinori, e di una sfera dorata opera dell’orefice Nicolò D’Orio.[xii]
L’opportunità e l’utilità di impiegare il denaro incassato, diventano l’argomento più importante delle discussioni tra gli ufficiali ed i confrati, che alla domenica si riuniscono nell’oratorio ed ai quali il prefetto propone gli affari per averne l’approvazione.[xiii] L’attività creditizia, che in passato era costituita da piccoli prestiti ai lavoratori della terra, sempre più frequentemente ora si dirige con capitali più sostanziosi ai proprietari.
Il tempo passa ed il luogo vicino al torrione dell’orologio universale, dove si trova la piccolissima chiesa e oratorio della congregazione laicale, muta aspetto. Dietro la chiesa e attaccati alla muraglia della città, trovano posto le quattro botteghe dei macellai, che sfrattate da piazza Lorda, a causa delle immondizie e del fetore che causavano, vengono relegate in un luogo distante dalle abitazioni. I confrati, approfittando della difficoltà per i macellai (e per i compratori) di raggiungere il luogo, aprono nel muretto dell’atrio della chiesa una porta, che permette di arrivarvi comodamente, ottenendo l’impegno dei macellai a pagare l’annuo censo che devono al rettore del beneficio di S. Matteo.[xiv]
In questi anni assume la carica di prefetto della congregazione Gerolamo Cariati “decurione del ceto de nobili viventi della seconda piazza della città”, il quale ricoprirà l’ufficio ininterrottamente per un ventennio.[xv]
Il Cariati, piccolo proprietario e mercante, ben introdotto nell’ambiente economico e nel potere politico cittadino, riesce attuando la speculazione e lo strozzinaggio,[xvi] a farsi una discreta posizione. Egli, infatti, con la complicità degli economi, prende in fitto i grandi territori ecclesiastici, di nascosto e pagandoli molto meno di quello che valgono, e poi li subaffitta con lucro sostanzioso ai coloni. Inoltre, non permette a quest’ultimi di rispettare la rotazione triennale, consentendo loro di mettere i terreni a semina, e percependo quindi il terratico, anche il primo anno, quando cioè essi dovrebbero essere franchi e maggesati.[xvii] Per obbligare i coloni a consegnargli il grano al raccolto, alla semina anticipa la semente ed il denaro e fornisce i buoi per arare.
Il Cariati utilizzerà la congregazione come base di lancio per la propria fortuna e, indebitandola sempre più nei suoi confronti, riuscirà a detenere per un ventennio la carica di superiore, ottenendo il consenso e l’appoggio dei confrati per le sue iniziative politiche ed economiche. D’altronde durante la sua lunga prefettura, la congregazione aumenterà in beni e prestigio e l’oratorio verrà completamente rifatto. Nel 1750 incominciarono i grandi lavori di ricostruzione. La chiesa che sorgeva nelle vicinanze dell’ospedale della città, “piccolissima” ed “edificata sin da ottanta anni”, era “malamente disposta nell’architettura”. Per renderla “più perfetta all’uso moderno”, fu deciso di allungarla e renderla razionale, portandola alla perfezione secondo le regole, le misure e le disposizioni dell’ingegnere e dei periti.
Nel maggio 1750 perciò, si ottenne dapprima dall’arcidiacono Domenico Gerolamo Suriano una casa matta attaccata alla chiesa, da abbattersi per costruirvi il nuovo cappellone.[xviii] I lavori però tardano, anche perché mancano i soldi per acquistare un’altra casetta vicina. Nell’ottobre dell’anno dopo, il prefetto della congregazione Girolamo Cariati si accorda con Violante Suriano, vedova di Francesco Cesare Berlingieri, marchese di Valle Perrotta, proprietaria dell’altra casetta matta nel luogo detto “dietro li molina”, confinante con quella già acquistata dalla congregazione l’anno prima. Volendo la vedova facilitare “un’opra così onorevole lodevole e pia per maggior gloria di Dio e dell’Immacolata Signora”, cede la casetta per cento ducati, che sono pagati dal Cariati non avendo la congregazione il denaro occorrente.[xix]
Seguendo questo esempio, sempre durante la prefettura di Gerolamo Cariati che, nel 1754, ricopre anche la carica di sindaco del secondo ceto della città,[xx] la chiesa con la congregazione, è oggetto di lasciti testamentari che facilitano la sua ricostruzione.[xxi] Lo stesso prefetto dà un apporto finanziario notevole per portare a compimento l’opera. I lavori dureranno alcuni anni e, all’inizio del 1756, l’edificio anche se rustico è quasi completato. Nel gennaio di quell’anno il Cariati stipula un contratto con lo “stucchiatore” Pasquale Ciamboli di Maratea. Quest’ultimo si impegna a “stucchiare la chiesa dell’Immacolata tutta col cappellone, assieme coll’altare maggiore, e che sia detto altare magnifico, e più bello che potrà venire, e l’orchesto, e che detta opera debba essere di tutta perfettione et in quella maniera che si tira et usa il stucco in Napoli, e secondo il disegno firmato da esso Pasquale Ciamboli, e da esso Sign. Cariati”.
Il Ciamboli si impegna ad iniziare i lavori il primo giorno di aprile e proseguirli fino alla fine di giugno dello stesso anno; iniziando a stuccare prima il cappellone. Poiché il Ciamboli, probabilmente a causa del pericolo della malaria, non vuole passare l’estate a Crotone, egli si obbliga a ritornarvi a novembre e, ripresa l’opera, completarla entro il mese di maggio del 1757. Qualora ciò non fosse possibile riprenderà i lavori nel novembre di quell’anno. Il Cariati si impegna a fornire il materiale e la calce “menata di prima mano a sue spese”, consegnandola dentro la chiesa, fornendo inoltre al Ciamboli, per tutto il tempo che dovrà rimanere a Crotone per compiere il lavoro, la stanza di abitazione e letti, tanto per lui quanto per quelle persone che porterà per aiutarlo e “oglio per la lume”. Il pagamento dell’opera è stabilito in ducati 400, da pagarsi ducati 20 al momento della stipula del contratto ed il restante durante l’avanzamento dei lavori.[xxii]
Sempre nel maggio 1756, il Cariati si accorda con lo scultore e artefice marmoraro, il napoletano Nicola Boccacci, per far costruire a sue spese l’altare maggiore della chiesa. Secondo gli accordi l’altare dovrà essere fatto in marmo di Massa Carrara, ed una volta completato sarà trasportato a Crotone ed eretto nella chiesa a spese e rischio del costruttore. Il prezzo pattuito è di ducati 450, e l’opera dovrà essere conforme per “misure, lavori, colori e qualità”, a quelle descritte nel disegno fatto in doppia copia per sicurezza di ognuna delle parti. Il Boccacci si impegna a consegnare ed a erigere l’altare entro un anno, con l’accordo che per tutto il tempo che egli dovrà risiedere a Crotone, le spese di cibarie e stanza per abitare e letto per dormire, gaffe di ferro per l’assetto dell’altare, ed assistenza di fabbricatori che bisognassero per assisterlo nell’erezione dell’altare, non siano a suo carico.
Inoltre “ritrovandosi in detto disegno d’altare costruito e designato nel mezo di esso il tabernaculo seu custodia per la conservatione delle sacre Pisside resta perciò convenuto che questa non debbasi lavorare e fare ma in luogo di questa farci un lavoro di rilevo seguitandovi però il finimento di sopra”; inoltre “essendoci pure in esso disegno vari lavori di marmi di color verde, questi debba farli esso Sig. Boccacci di verde detto comunemente di Calabria”. Alla stipula dell’atto il Cariati anticipa ducati 20, impegnandosi a pagare il resto man mano che il lavoro procederà entro il maggio 1758.[xxiii]
Nella primavera 1758 i lavori sono finiti, ed il 24 aprile di quell’anno l’altare maggiore, portato da Napoli dal Boccacci, è già stato “eretto, edificato, e collocato nella chiesa, ove oggidì si osserva piantato”. In quel giorno il Cariati, che ha sopportato tutte le spese e si è obbligato con lo scultore napoletano, versa gli ultimi ducati 40 a saldo.[xxiv]
All’inizio del 1763, trovandosi due nuove cappelle di stucco vuote, i mastri barbieri ne chiedono una.[xxv] Nell’agosto dello stesso anno, nella sacrestia della chiesa dell’Immacolata, gli ufficiali ed amministratori della congregazione si accordano con Giovanni Spataro e Vito Curcio, mastri barbieri e procuratori della cappella dei santi Cosimo e Damiano, che ottengono così la cessione della cappella da dedicare ai due santi tutelari, e propriamente “quella esistente all’ala sinistra ab ingressu Eccl.e che va situata al lato del corno Evangeli dell’altare maggiore”. I mastri barbieri versano ducati 60 per le spese occorse per la costruzione della cappella, ducati 30 per il suo mantenimento, ed un capitale di duc. 200 per farvi celebrare una messa bassa settimanale. Ogni anno detti mastri potranno celebrare la festività dei santi protettori, utilizzando l’organo e la campana, riunendosi nella sacrestia per eleggere gli annuali procuratori della cappella.[xxvi]
Nello stesso anno a loro spese, i mastri barbieri fanno fare dal pittore Vitaliano Alfì un quadro raffigurante i loro santi per metterlo nella cappella.[xxvii] Il 30 luglio 1769 si riunivano i confrati, e fatti i conti della amministrazione di Girolamo Cariati, che per molti anni aveva retto la confraternita ed il monte, risultò che esso risultava creditore nei confronti della chiesa, per il pagamento delle opere fatte per edificarla, in ducati 4982 e grana 59, mentre invece egli risultò debitore verso il pio monte in ducati 658 grana 66 e 1/3. In quel giorno il Cariati si impegna a donare alla chiesa e alla congregazione, la somma di cui è creditore, pagando a rate il debito entro sei anni, a ducati cento all’anno a partire dal 1776, ponendo queste condizioni:
“Primo. Che sempre, ed in perpetuo non si dovesse amovere dagli Officiali, e Fratelli presenti e futuri, la lapide, o sia tavatiera, che sta situata in mezzo al coro di detto Oratorio, e proprio sotto li gradini dell’Altare Maggiore, nella quale si vede scolpita l’arma di sua casa; perciò in ogni futuro tempo, che si romperà detta lapide, è tenuta, ed obligata la sudetta Congregazione a sue proprie spese rifarla tale, quale presentemente s’attrova, e non altrimenti.
Secondo. Che mai si dovrà amovere il proprio mio ritratto, che sta dipinto nel medaglione di mezzo l’Oratorio sudetto, e proprio sotto a piedi della Beata Vergine, che sta ivi ritrattata; perciò disfacendosi detto medaglione, e dovendosi fare il nuovo, deve anche la sudetta Congregazione, e suoi Officiali, Fratelli presenti e futuri far anche ritrattare il detto mio ritratto, come al presente s’attrova, e non altrimenti.
Terzo. Che l’Iscrizione, si vede scolpita sopra uno marmo, situato nel muro della Porta di detto Oratorio, sempre stasse fissa in detto luogo, di quella maniera che presentemente si vede.
Quarto. Che sempre, ed in perpetuo gl’Officiali e Fratelli presenti e futuri fussero tenuti, ed obbligati di far celebrare in suffragio dell’Anima mia, doppo che sarò morto, un funerale, cioè il Notturno, e Messa Cantata, e da celebrarsi propriamente detto funerale e messa cantata a spese di detta Congregazione il giorno doppo, che si suole celebrare il funerale del qm. Orazio Catizone.[xxviii]
Egli, inoltre, dona alla congregazione, per adornare l’altare maggiore della Beata Vergine, la carta di Gloria, In Principio ed il lavabo d’argento fatti venire da Napoli a sue spese.[xxix]
Alcuni anni dopo, nel marzo 1773, anche la seconda “cappella con altare fornita di stucco senza quadro … dove non si celebrano le messe e quindi quasi inutile per la chiesa”, è ceduta a Benedetto Milioti che la compera per ducati 60. Il Milioti si impegna “per sua devozione farci scolpire un quadro con l’effigie del SS.mo Crocifisso, e ne i lati la Beatissima Vergine Addolorata e S. Giovanni Evangelista, e sopra d.o altare l’Effigie del P. Eterno. Inoltre per sua mera devozione far scolpire altri Santi nelli due Medaglioni vacui dell’orchesto, ove sta situato l’organo”. Presenzia all’atto tra gli altri il pittore Vitaliano Alfì.[xxx]
Sempre il Milioti, l’anno dopo, fa un legato assegnando alla cappella ducati 400, con l’annua rendita di ducati 20, e fondandovi un monte di maritaggi a favore di donzelle nubili povere, dotandolo di ducati 1600 al 5%, provenienti da un prestito fatto al possidente Dionisio Ventura.[xxxi] Egli inoltre stabilisce che il 13 settembre, festa della Croce, si riuniranno presso la cappella 10 donzelle, scelte dai parroci della città, figlie di “maestri di piazza e massari poveri e onorati e figli dell’arte, e non di quelli maestri e massari nati vilmente, de quali molti se ne ritrovano in questa città”. Dopo aver cantato il Veni Creator Spiritus e la messa si procederà ad estrarre a sorte due ragazze; a ciascuna delle quali maritandosi andranno 40 ducati. Il Milioti affida l’amministrazione del monte di maritaggi da fondarsi ai sindaci ed eletti del secondo ceto o del popolo, i quali avranno in consegna anche la cassa a tre chiavi.[xxxii] Successivamente, ritornando nel suo proposito, il 16 gennaio 1778 fonda il monte di maritaggi sotto il titolo di Monte della Misericordia e, riconfermando ciò che aveva disposto nel legato, riguardo alla gestione da parte dei sindaci ed eletti del secondo ceto, affida però la cassa all’arcidiacono.[xxxiii]
All’inizio del vescovato di Giuseppe Capocchiani (1774-1788) la numerosa confraternita laicale ha un oratorio mediocremente ampio e di forma elegante, simile per aspetto ad una vera chiesa. Esso è ornato decentemente ed è fornito di ottime suppellettili sacre. Ha rendite bastevoli e vi si celebrano due messe quotidiane. All’interno ci sono due altari: uno del SS.mo Crocifisso, la Madonna Addolorata e San Giovanni Evangelista, spettante e curato da Benedetto Milioti e l’altro dedicato ai santi Cosma e Damiano dei mastri barbieri. I confrati, che eleggono annualmente i loro amministratori, sono retti per lo spirituale da un prete o canonico, approvato dal vescovo e scelto tra i componenti del capitolo cattedrale. Questo ogni domenica e nelle feste solenni, istruisce i confrati con sermoni e catechesi, riceve la loro confessione e amministra l’eucarestia. Celebra le messe cantate e le altre funzioni ecclesiastiche. Nell’oratorio c’è anche un pio monte dei morti delle Anime del Purgatorio[xxxiv] di natura laica, che è amministrato parimenti dai confrati che gestiscono anche le rendite dell’oratorio. Ogni anno gli amministratori devono rendere conto del loro operato a due confratelli, tra i più meritevoli, scelti con l’intervento del deputato ecclesiastico. Se per lo spirituale l’oratorio è soggetto al potere ecclesiastico, per quello temporale dipende da quello laico, infatti se sorge una lite sull’elezione degli amministratori, ed altre cose simili, si ricorre al giudizio del governatore della città.[xxxv]
Il 22 giugno 1777, essendo prefetto Federico Letterio, il vescovo Capocchiani con rito solenne consacrò la chiesa. Nell’occasione della consacrazione si erano fatte venire da Napoli 12 croci ed una lapide di marmo, quest’ultima per l’iscrizione, ed erano stati comperati da Francesco Galdi, spendendo ben sessanta ducati, del gallone e del pizzillo dorato, per adornare l’apparato ricco della congregazione, e cioè la coppa, le tonicelle, e la pianeta di drappo fiorato in oro e argento.[xxxvi] L’ oratorio già ampliato, e reso più bello durante la lunga prefettura di Girolamo Cariati, è da quest’ultimo fatto oggetto di un’ultima donazione: così, pochi mesi prima della sua morte, avvenuta il 28 settembre 1781, avendo un secchio ed una sfera piccola d’argento malridotti, li fa rifare nuovi dall’orafo napoletano Onofrio Suppa.[xxxvii] Nel settembre dell’anno dopo “perchè la chiesa ha bisogno di alcune restaurazioni e specialmente nella porta maggiore, che minaccia rovina, e deve essere di nuovo rifatta”, l’erede del Cariati, il mercante Antonio Asturelli, accogliendo le richieste dei rappresentanti della congregazione, estingue il debito.[xxxviii]
Dopo il terremoto del 1783 la congregazione fu sciolta, e le proprietà furono amministrate dalla Cassa Sacra che incamerò anche i mobili e le cose preziose. Nell’oratorio fu trasferita la cura della parrocchia di Santa Margarita. All’atto della soppressione la congregazione era proprietaria di una gabella, due case, due palazzi ed un magazzino, e di 10 censi bollari che complessivamente, davano una rendita annua di ducati 200, mentre il monte dei morti possedeva 3 case, una bottega, un magazzino e 28 censi bollari, con una rendita annua di oltre 200 ducati.
Dall’analisi delle proprietà risulta che, con il passare del tempo, il sodalizio si era sempre più allontanato dagli scopi dei fondatori e, da una società di mutuo aiuto, si era trasformata in una combriccola che praticava la speculazione per fini personali, sviluppando un’intensa attività creditizia verso i massari ed i piccoli proprietari, con prestiti di capitali che, dall’otto per cento dell’inizio secolo, erano poi scesi verso la metà del Settecento al 5 per cento, raramente al 4%. Dai piccoli prestiti si era passato ai grandi, privilegiando alcuni proprietari, che ora usufruivano della maggior parte del capitale della congregazione e del monte. All’atto della soppressione, infatti, sette censuari da soli usufruivano del 65% del capitale.[xxxix] I beni furono amministrati dalla Cassa Sacra e nel 1790, parte risultavano alienati.[xl]
Venuto in seguito il vescovo Ludovico Ludovici (1792-1797), egli mandò via il parroco di Santa Margarita e rimise la chiesa alla confraternita ottenendo dal re l’assenso.[xli] Il 26 novembre 1802 il re Ferdinando IV approvava le regole appartenenti alla Congregazione sotto il titolo de L’Immacolata SS.ma e L’Anime del Purgatorio, presentate dal priore Luigi Fiodo e da 77 fratelli che, tra l’altro, prevedevano l’organizzazione ed i compiti della congregazione, che era amministrata da ufficiali maggiori (priore, primo e secondo assistente), eletti ogni anno nel mese di dicembre nella IV domenica dell’Avvento, e da ufficiali minori (2 consultori, 1 maestro di novizii, 1 segretario, 2 maestri di cerimonia, 1 cassiero, 2 cantori e 2 infermieri).
Note
[i] TEMPLUM HOC/ MAGNAE DEI PARENTI/ A LABE PRIMIGENIA IMMUNI/ IAM AB ANNO (I) (I CLXXXII/ DICATUM/ QUOD/ SODALITAS CROTONENSIS DEVOTA/ PROXIMIS ANNIS/ SUB PRAEFECTURA/ HIERONYMI CARIATE/ VIRI IN EADEM MUNIFICENTISSIMI/ AFFABRE ET BASILICE/ HANC IN FORMAM AMPLIAVIT/ IOSEPH CAPOCCHIANI/ CROTONENSIUM PONTIFEX/ RITU SOLEMNI CONSECRAVIT/ DIE XXII MENSIS IUNII A. D. MDCCLXXVII/ FRIDERICO LETTERIO SODALIUM PRAEFECTO
[ii] L’esistenza di una congregazione intitolata all’Immacolata Concezione è documentata a Crotone fin dal 1628. Essa era composta però da soli nobili ed aveva sede all’interno della chiesa del convento dei conventuali di San Francesco d’Assisi. La confraternita ancora esistente nel 1640, all’inizio del vescovato di Geronimo Caraffa (1664-1683) si era già sciolta. Juzzolini P., Santuario di Maria SS. del Capo delle Colonne in Cotrone, Cotrone 1882, pp. 42 -43. ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1640 – 1667.
[iii] Nel 1699 era rettore e maestro dell’oratorio il canonico Giovanni Andrea Cavarretta, e prefetto della congregazione il dottore chirurgo Domenico Cirrelli. AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, ff. 14v, 40-41, 47- 49, 125.
[iv] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 50. All’atto della soppressione al tempo della Cassa Sacra, esisteva ancora il beneficio sotto il titolo La Madonna del Carmine, San Francesco di Paola e San Bernardino di Siena della famiglia Catizzone, della soppressa congregazione dell’Immacolata Concezione. AVC, Catasto Cotrone 1793, f. 157v.
[v] AVC, Acta Sanctae Visitationis ab Ill.mo ac R.mo D.no Episcopo D. Marco Rama, A. D. 1699 confecta, f. 40v. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, ff. 11, 50.
[vi] O. Catizzone lascia un palazzo, una vigna e tre censi annui per una messa alla settimana, M. Protentino un censo sopra un mulino per 100 messe all’anno, G. Marino un censo per una messa ogni venerdì, ecc. AVC, Anselmus de la Pena, Visita, 1720, f. 50.
[vii] ASCZ, Busta 1129, anno 1769, ff. 100 – 108.
[viii] 24.10.1734. Acquisto da Nicola Jorghi argentiero di Napoli per un secchio ed aspersorio d’argento duc. 30.50. AVC, Libro della Congregazione dell’Immacolata Concezione – 1734.
[ix] ASCZ, Busta 853, anno 1738, ff. 34-38.
[x] Il 23 marzo 1738 presso il notaio Felice Antico, il rettore del beneficio, Paolino Bruno, e Diego Tronca, vendono alla confraternita una casetta matta ed un magazzino per duc. 100, cioè duc. 50 per la casetta ed altrettanti per il magazzino. Dei ducati 100 la metà fu pagata, mentre per la somma rimasta la congregazione si impegnò a versare al rettore del beneficio carlini 35 all’anno. Il debito verrà estinto nel 1766, con la consegna del capitale al rettore del beneficio ASCZ, Busta 1343, anno 1766, ff. 50-51; Busta 1063, anno 1750, ff. 117-118.
[xi] ASCZ, Busta 1063, anno 1750, ff. 117-118.
[xii] AVC, Pagamenti del cassiere della Congregazione A. Micilotto, Cotrone 1739, Cart. 118.
[xiii] Nel 1747 il prefetto propone ed i confrati approvano, un prestito di ducati 100 al 5% a favore di Giuseppe Antonio Giunti, che impegna il suo palazzo. Era prefetto Salvatore Rinaldi, assistenti Pietro Arrighi e Dionisio Asturi, consultore Serafino Labonia e cassiere Francesco Antonio di Fazio. ASCZ, Busta 912, anno 1747, ff. 15v-16.
[xiv] ASCZ, Busta 1063, anno 1750, 117-118. “Tutti i macellari pro tempore”, per canone sopra i macelli, pagheranno ogni 12 dicembre alla congregazione 35 carlini. AVC, Stato attuale o sia lista di carico 1790, f. 40.
[xv] Gerolamo Cariati, assieme al patrigno Leonardo de Cola, che aveva sposato la madre Vittoria Lombardo, dopo la morte del padre Ottavio (?), dapprima ottenne una sepoltura in cattedrale, “in tempo che venne alzato il Presbiterio … con sua lapide di marmo coll’impresa di Leonardo Di Cola, ed iscrizione tanto del nome di questo che di esso Sig. Cariati”. Questa sepoltura fu poi nel 1777 ceduta a F. Lo Schiavo, avendone il Cariati altre in altre chiese (ASCZ, Busta 1345, anno 1777, ff. 58-59). Infatti, nel 1736 i due fondarono e dotarono la chiesa di San Vincenzo Ferreri, dove costruirono il loro sepolcro e troveranno poi sepoltura. (La lapide di marmo tombale con lo stemma del Di Cola e l’iscrizione “HIC IN SINU ECCLESIAE/ QUAM PROPRIO AERE FUNDAVIT/ ULTIMAM TUBAM EXPECTAT/ LEONARDUS DE COLA/ ET/ HIERONYMUS CARIATI/ 1736” si trova attualmente nella chiesa dell’Immacolata). Nel 1748, nella chiesa di San Vincenzo Ferrerio fondarono 5 cappellanie laicali, col peso di una messa quotidiana da celebrarsi da 5 cappellani scelti da loro (ASCZ, Busta 667, anno 1748, ff. 103-110). Mercante di grano, nel marzo 1744 Gerolamo Cariati ottiene per un annuo canone, un pezzo di terra della mensa vescovile nel vignale di Gesù e Maria, costruendovi due magazzini (AVC, Platea mensa vescovile per il 1780 e parte del 1781.). Morto il patrigno, nel 1749 ne eredita i beni, che comprendevano il palazzo di abitazione in parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, presso le mura in località “Il Fosso”, e confinante strada mediante, con quello degli Aragona (il palazzo che prima apparteneva a Giuseppe Riccio era passato nel novembre 1733, tramite permuta, in proprietà a Leonardo di Cola, il quale assieme al figliastro, lo fece subito ricostruire ed elevare, ASCZ, Busta 664, anno 1734, ff. 12-13), due case, il iuspatronato sulla chiesa di S. Vincenzo Ferreri e 180 animali vaccini (ASCZ, Busta 668, anno 1749, ff. 173-175). L’anno dopo risulta prefetto della congregazione, carica che eserciterà di continuo fino al 1769 (ASCZ, Busta 1063, anno 1750, ff. 117-118). Gerolamo Cariati fu più volte sindaco della seconda piazza (1746, 1754), e si sposò due volte; la seconda volta con Feliciana Astorelli, ma non ebbe né figli né discendenti. Morì vecchissimo il 28 settembre 1781; fondò un monte di maritaggi sotto il titolo di S. Vincenzo Ferrerio, favorendo le zitelle delle famiglie Lombardo, Astorelli, Nicoletta e Amelio, lasciando erede ed esecutore testamentario il suocero Antonio Astorelli (ASCZ, Busta 854, anno 1746, ff. 45v-46; Busta 1345, anno 1781, ff. 19-30). A ricordo del Cariati appena dentro la porta della chiesa è stata recentemente collocata l’epigrafe: “Nel secondo centenario/ della sua fondazione/ la confraternita/ riconoscente ricorda/ Girolamo Cariati/ che questo tempio/ edificò ed abbellì/ A. D. 1958”.
[xvi] G. Cariati prende in consegna dalla moglie duc. 50 e “col lucro che annualmente ho da detto negozietto ricavato sono diventati docati duecento”. ASCZ, Busta 1345, anno 1781, f. 25.
[xvii] G. Cariati e altri, prendono in fitto dall’economo della Mensa Vescovile, alcuni territori senza che venga osservata la procedura prevista per questo tipo di affitto, cioè senza far pubblicare in precedenza i banni, senza affiggere le cartelle in piazza, e senza poi accendere la candela e liberare l’affitto al maggior offerente. ASCZ, Busta 1267, anno 1756, ff. 169-171; Busta 1267, anno 1757, ff. 105-106.
[xviii] Il Pio Monte dei Morti della congregazione dà all’arcidiacono una casetta che possiede, mentre la congregazione ottiene in cambio la casetta matta confinante con la chiesa. ASCZ, Busta 913, Busta 1750, ff. 97-102.
[xix] ASCZ, Busta 913, anno 1751, ff. 156v-158.
[xx] ASCZ, Busta 857, anno 1754, ff. 228-229.
[xxi] Alla fine di maggio 1755, essendo prefetto Gerolamo Cariati, primo assistente Francesco de Vennera, ed erario e cassiero Marco Manfredi, il francese Claudo Parise, soldato invalido del castello, lascia per testamento erede universale e particolare la chiesa e congregazione dell’Immacolata Concezione e l’Anime del Purgatorio. ASCZ, Busta 858, anno 1755, ff. 424v-425.
[xxii] Presenzia alla stipula dell’atto il mastro Gerolamo Asturi. ASCZ, Busta 1267, Busta 1756, ff. 6-10.
[xxiii] Presenzia alla stipula dell’atto il mastro Andrea Amelio. ASCZ, Busta 858, anno 1756, ff. 104-107.
[xxiv] Sono presenti all’atto i mastri Nicola Partale, Gio. Battista Lucifero ed Andrea Amelio (ASCZ, Busta 859, anno 1758, ff. 135-137). A ricordo rimane l’epigrafe: D.O.M./ AETERNAT HOC MARMOR/ HIERONYMI CARIATI/ LIBERALITATEM RELIGIONI DESPONSAM/ QUI SACRAM HANC AEDEM DEIPARAE/ IMMACULATAE VIRGINI/ DICATAM/ PRIUS HUMILEM NIMISQUE RUDITER/ EXTRUCTAM/ SUA LARGITER PROFUSA IMPENSA/ INCENSO ANIMO AC MUNIFICE/ REDEGIT HONESTAVIT EXPOLIVIT/ AN. REP. SAL. MDCCLVIII
[xxv] Oltre alla confraternita dei mastri barbieri, sono da ricordare quelle dei mastri sartori con cappella di S. Homobono, dei mastri calzolai con cappella dei SS. Crispino e Crispiniano, entrambe in cattedrale, e quella laicale detta la “Congregazione de’ Nobili”, “della primaria nobiltà del Paese”, con oratorio sotto il titolo dei Sette Dolori di Maria, o della Madonna Addolorata, dentro il recinto del convento dei minori conventuali di S. Francesco di Assisi. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii, Cotrone 1777.
[xxvi] ASCZ, Busta 862, anno 1763, ff. 182-185. La cappella dei SS. Cosma e Damiano pagherà alla congregazione un censo enfiteutico di carlini 15 ogni 15 di agosto sopra i suoi beni. AVC, Stato attuale o sia lista di carico 1790, f .40.
[xxvii] Ancor oggi sul dipinto si legge: Alfì P. 1763/ Giovanni Spataro e Vito Curcio PP.vi F.C.PE.
[xxviii] ASCZ, Busta 1345, anno 1781, ff. 19-30.
[xxix] La donazione viene fatta alla congregazione “con la condizione però di doverle improntare una volta l’anno nel giorno che si farà la festività del glorioso S. Vincenzo Ferrieri nella sua propria chiesa”. ASCZ, Busta 1345, anno 1781, ff. 28-30.
[xxx] Sono presenti anche il sacerdote Giacinto Messina, Andrea Giardino, Giuseppe Torchia e Antonino Torromino (ASCZ, Busta 1130, anno 1773, ff. 2-4). Vitaliano Alfì della città di Catanzaro, accasato e dimorante a Crotone, ha una figlia di nome Rosa, nata a Crotone dal matrimonio con la fu Bricida Alfì (ASCZ, Busta 1665, anno 1776, f. 5v).
[xxxi] Il 13.10.1733 Benedetto Milioti stipula i capitoli matrimoniali con Caterina di Fazio, figlia di Silvestro di Mandoriccio (ASCZ, Busta 664, anno 1733, ff. 173v-174). Piccolo proprietario e mercante, il 1.8.1771 impresta duc. 1600 al 5% a Dionisio Ventura, ipotecandone alcuni fondi, (ASCZ, Busta 917, anno 1771, f. 61).
[xxxii] ASCZ, Busta 1130, anno 1774, ff. 62-64; A ricordo di Benedetto Milioti rimane in cattedrale una tela rappresentante Gesù di ritorno dai Dottori, donata per sua devozione nel 1767 ed opera del crotonese Nicola La Piccola.
[xxxiii] Il Milioti l’otto gennaio 1783, per ottenere il beneplacito regio, retrocede l’arcidiacono alla sola facoltà di controllo dell’amministrazione del monte fatta dai sindaci ed eletti del secondo ordine. ASCZ, Busta 1666, anno 1783, ff. 2-3.
[xxxiv] Nel 1777 vi erano a Crotone sette monti: Dell’Anime del Purgatorio nella chiesa dell’Immacolata Concezione, dei Morti di natura ecclesiastica nella chiesa del Purgatorio, Frumentario, Mazzulla, Misciascio, della Pietà e Petrolillo. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii ecclesiastici e secolari, 1777.
[xxxv] Nel 1777 la congregazione aveva come prefetto Domenico Lettieri e per lo spirituale era diretta dal canonico Domenico Terranova. Il monte delle Anime del Purgatorio aveva come procuratore Nicola Coccari, e procuratore dei mastri barbieri era il mastro Vincenzo Marino. AVC, Nota delle chiese e luoghi pii, Cotrone 1777.
[xxxvi] ASCZ, Busta 1345, anno 1782, f. 31.
[xxxvii] ASCZ, Busta 1345, anno 1781, ff. 19-30; Busta 1345, anno 1782, ff. 29-38.
[xxxviii] Il 14 settembre 1782 Antonio Asturelli salda il debito, che doveva ancora il defunto Gerolamo Cariati, versando al cassiere della congregazione, Fedele Partale, ducati 293 e grana 66. ASCZ, Busta 1345, anno 1782, ff. 29-38.
[xxxix] Avevano in prestito un capitale superiore a 100 ducati, Antonio e Domenico Rizzuto, Francesco e Gaetano Talamo, il barone Francesco Antonio Lucifero, Nicola Coccari e Saverio e Marianna Russo. AVC, Stato attuale o sia lista di carico 1790, ff. 33-35; 54-55.
[xl] I principali acquirenti furono: Raffaele Suriano (Gabella Maniglieri), Cesare Oliverio (Palazzo di Catizzone), il marchese Giuseppe Maria Lucifero (2 Magazzini), e Gennaro Adamo (un palazzo). Stato attuale o sia lista di carico 1790.
[xli] ASV, Rel. Lim. Crotonen., 1795. Tra i prefetti della congregazione ricordiamo: Domenico Cirrelli (1699), Antonio Asturi (1743), Salvatore Rinaldi (1747), Girolamo Cariati (1750-1769), Federico Letterio (1773), Domenico Lettieri (1777), Nicola Coccari (1782). Tra gli ufficiali: Giuseppe Smerz (1782), Fedele Partale (1782), Domenico Curcio (1773), Antonio Manfreda (1773), Giacinto Gabriele (1773), Carlo Messina (1750, 1766), Giovanni Avarelli (1766), Francesco di Vennera (1750, 1755, 1766), Nicola Marzano (1763), Giovanni Rizzuto (1761, 1763), Marco Manfredi (1755), Pietro Asturello (1761), Antonio Garasto (1761), Salvatore Arrighi (1761), Michele La Piccola (1761), A. Micilotto (1739), Dionisio Asturi (1748), Giuseppe Grasso (1743), Francesco Antonio di Fazio (1748), Felice Antico (1743), Gerolamo Asturi (1743), Pietro Arrighi.
Creato il 9 Marzo 2015. Ultima modifica: 21 Ottobre 2022.