Il Monastero di Santa Chiara di Crotone dalla sospensione alla estinzione (1784–1916)
Il terremoto del 1783 e gli eventi che ne seguirono, diedero inizio nel Crotonese a quel processo di trasformazione della proprietà fondiaria, che determinò il passaggio da una società ecclesiastica feudale ad una latifondistica borghese.
Inventario del monastero
Il 21 maggio 1784 il tenente Vincenzo Milelli, assieme al vescovo di Crotone Mons. Giuseppe Capocchiani, al regio governatore della città D. Alessandro Castriota Scanderberg, alla “persona probba” D. Carlo Albani, ed al cancelliere dell’università, si recò nel monastero di Santa Chiara, per compilare in presenza del procuratore del monastero, il reverendo Raffaele Vatrella, l’inventario.[i]
Entrati nel monastero, il vescovo fece convocare al suono del campanello tutte le monache nel refettorio. Nel monastero risiedevano 19 monache, delle quali una era assente, perché in Catanzaro in casa dei suoi parenti “per mutatione d’aere”. Oltre alla madre badessa Suor Maria Rafaela Oliverio, “che finiva il suo governo il dì 29 del corrente”, ed alla vicaria Suor Maria Giuseppa Lucifero, vi erano Suor Maria Teresa Suriano, Suor Maria Angelica Gallucci, Suor Caterina Ventura, Suor Maria Crocefissa Ventura, Suor Maria Nicola Sculco, Suor Maria Giuseppa Zurlo, Suor Chiara Lucifero, Suor Maria Gaetana Oliverio, Suor Maria Serafina Milelli, Suor Marianna Aragona, Suor Maria Elisabetta Aragona, Suor Maria Antonia Lucifero, Suor Maria Gabriela Lucifero, Suor Maria Angela Lucifero, Suor Maria Cherubina Suriano, Suor Maria Michela Suriano e Suor Chiara Marincola, assente in Catanzaro.
Vi erano inoltre la conversa e professa Suor Battista Russo e cinque educande: D.a Porzia Milelli, D.a Maria Giuseppa Milelli, D.a Maria Milelli, D.a Marianna Lucifero e D.a Maria Teresa Lucifero.
Il Milelli si fece consegnare dal procuratore gli argenti ed i vasi sacri, già inventariati l’anno precedente, che comprendevano: “una lampada, un incenziero, navetta, cocchiaro, sicchietto, aspersorio, due sotto coppe, un piattino, tre chiavette di costodia in una delle quali un pezzo di cateniglia, tre carte di gloria,, sfere con cristalli senza piede, un reliquiario con due angeli allato, due altri reliquari, un crocefissetto sopra croce di legno, una giarretta, due calici intieri d’argento colle loro patene, altro simile col piede perfurato e sua patena, una pisside intiera d’argento con undici pietre false legate ed altre cinque simili legati nella crocetta di sopra, altra pissidetta in forma di tabacchera, un stucchietto di pelle negra con dentro un vasetto per oglio santo”.
Poi si passò a visitare le stanze delle monache, le officine ed i magazzini, dove non si trovò praticamente nulla. Quindi fu la volta della cucina, dei forni, del refettorio e del chiostro, dove c’erano tre cisterne per l’acqua. Nel vaglio del chiostro era ammassato una parte del materiale, che doveva servire per “una fabrica del monastero da due in tre anni cominciata”, ma la maggior parte del materiale edilizio era stata già portata via ed era detenuta da alcuni nobili.
“Chiesa
Altare Maggiore
Il medesimo altare maggiore è di marmo. Vi sono tre statue, una di S. Chiara, una di S. Francesco e l’altra di S. Gaetano con sei fiori con i loro vasetti e candalieri corrispondenti di legno dorati, croce e carta di gloria.
Altare dell’Immacolata
Quadro di Maria n.ra Sig.ra con S. Francesco e S. Antonio, sei candalieri. Sei fiori con vasetti di legno dorati, croce e carta di gloria.
Altare di S. Gaetano
Quadro del Santo con sei candalieri e sei fiori col loro vasetti di legname dorati, croce e carta di gloria.
Corpo della chiesa
Orchesta con organo. Cinque portieri di tela tinta colli corrispondenti ferri alle finestre. Tre scanni di legname ordinario sei medaglioni in giro nelle parieti, uno rappresentante l’Annunziata, altro S. Domenico, altro S. Vincenzo, altro S. Bonaventura, altro S. Rosa, altro S. Pasquale. Dodeci cornoccopie di legname dorato nelle croci della consacrazione.
Sacrestia della chiesa
Nella sacrestia si trovarono “tre stipi colle seguenti suppellettili: Un apparato di seta bianca recamato in oro di vari colori, consistenti in una stola e manipolo e due tonicelle ed un manipolo, borsa e velo di calice. Un’altra pianeta recamata in seta usata con sua stola e manipolo. Un’altra di velluto nero con sua stola e manipolo con pizzillo d’oro, borsa di velluto e velo di tabbiesto nero. Un’altra di damasco rossa con galloni d’oro con sua stola e manipoli. Un’altra di damasco bianco usata con galloni d’oro con sua stola e manipolo, borsa e velo. Un’altra di damasco verde con galloni d’oro falzo con sua stola e manipolo. Un’altra recamata in seta di molla bianca liscia, stola e manipolo. Un’altra consimile senza stola e manipolo. Un’altra di portanuovo usata con stola e manipolo. Un’altra di damasco paonazzo con galloni di seta gialla con sua stola, e manipolo. Un’altra di damasco verde usata con galloni di seta con sua stola e manipolo. Un piviale di molla bianca con recamo di seta coll’effiggia di S. Chiara. Altro piviale di damasco nero con galloni di seta gialla. Altro piviale di seta color blò con galloni d’argento con due manipole ed una stola. Altre due tonicelle di damasco nero vecchio con galloni d’oro falso con due manipole ed una stola. Borse n. undeci di vari colori usati e qualcheduna nuova. Veli di calice n. quattro, cioè uno verde con galloni d’argento, uno color blò con galloni di seta, altro color rosso con galloni d’oro falzo, ed altro vecchio color rosso con pizzillo di camino. Una tovaglia di seta rossa usata con galloni d’argento. Altra di seta verde vecchia con recamo di seta. Altra di seta rossa vecchia con francia di pizzillo bianco. Un omerale di seta bianco vecchio con fittuccie di seta rossa. Un palliotto di lana d’argento con recamo in oro coll’impres di casa Lucifero. Altro palliotto di drappo fiorato color bianco con frasche e gallone d’oro. Altro paliotto di damasco nero con galloni di seta gialla e l’impresa di Suriano. Altro vecchio di molla usata rossa con pizzillo di camino. Un umbrella di seta torchina e gialla con francie di seta. Due coscina d’inginocchiatore di perpetuella in opera color torchino e bianco. Un stolone di damasco nero. Due stole e manipoli con galloni di seta. Una pianeta usuale di stoffa fiorata di vari colori con sua stola e manipolo, e borsa. Un velo di seta anche usato tutti guarniti di seta color dorato. Quattro avanti altare vecchi di diversi colori. Due coscina d’altare, uno di molla bianca con recamo d’oro ed un altro di molla blò con galloni d’argento. Tre altri coscina vecchi di seta. Tovaglie d’altare di tela usata con pizzillo n. 8. Due altre tovaglie d’altare d’orletta, una con pizzillo e fodera rossa e l’altra senza pizzillo. Altra tovaglietta d’orletta con pizzillo. Un camige usato d’orletta con pizzillo e cingolo di felo bianco. Camige di tela con pizzilli n. quattro. Cingolo di color cremes n. due, uno vecchio e l’altro nuovo. Due altri camige d’orletta usati con pizzilli. Corporale n. cinque. Palle n. sei, altra grande per uso di custodia. Una tovaglietta di seta usata. Un topeto di panno color rosso vecchio. Messale n- tre usati. Due barette di soja umens usate. Astergituri di tela fina usati n. nove. Una vesta di scottino nero senza maniche vecchia.”
“In un altro de’ sud.i stipi della sacrestia si trovarono li seguenti altri sacri ornamenti. Numero venti sei fiori col loro vasetti di legname dorato, e candalieri consimili. Due scanni di legname ordinaria. Due genoflessori simili. Un leggio simile. Più li seguenti quadri. Uno coll’immagine dell’Assunta. Altro con quella di S. Giuseppe. Altro S. Teresa. Altro dell’Immacolata. Altro della SS.ma Annunziata. Altro di S. Francesco Saverio.
Un stipone di noce con suoi tiraturi e nella stanza appresso altro stipo di legname ordinaria. Un crocefisso grande di cartopista quali sacri ornamenti si lasciarono consegnati al cappellano arciprete D. Antonino Morelli.”
Nel coro superiore si trovarono “sedili e genuflessori in giro con tribuno di legname dorato corrispondenti in chiesa.”
Tra i documenti del monastero, oltre ad alcuni riguardanti la vita economica degli ultimi anni, vi erano “un fascicolo con n. ottanta quattro scritture antiche. Altro fascicolo consimile con n. ventidue scritture antiche. Numero ventitre pergamini autentichi. Una borza di pergamena con n. tre scritture dentro autentiche”. Tuttavia, i visitatori dichiararono che, sia per la loro antichità che per essere state mal conservate, molte di queste carte erano illeggibili.
Tra le pergamene vi era tuttavia una antica platea compilata nell’anno 1700 e dalla sua comparazione con il presente si rilevava una grande differenza, sia perché molti fondi mancavano o erano mutati di nome e di estensione, sia perché non vi erano alcuni annui canoni, sia perché vi erano nuovi fondi e nuove applicazioni di denaro.
Risulta evidente da tutto ciò che durante il Settecento parte del patrimonio fondiario del monastero, nonostante le nuove acquisizioni portate dalle nuove doti, aveva subito numerose detrazioni ed alienazioni per la complicità tra gli amministratori del monastero ed i nobili, e per far perdere le tracce delle frodi, molti fondi avevano mutato nome ed estensione. Inoltre, approfittando della probabile soppressione del monastero a causa del terremoto molte cose erano state sottratte.
Terminato l’inventario “si fecero avvisare tutti i parenti delle monache ed educande di venire a riceversi le medesime, giacché era mente del Sovrano colla Benedizione Apostolica ritirarsi nelle di loro case; come infatti essendo tutti detti parenti intervenuti si fece alli medesimi la consegna d’ogn’una; dopo di che si serrò il monastero, e si consegnarono le chiave alla persona probba di D. Carlo Albani”.
All’atto della chiusura l’entrata annua del monastero era valutata in ducati 1545 grana10 e cavalli 6, dei quali il 73% proveniva dalla rendita dei territori, il 25% da annui canoni e censi e il 2% dall’affitto di magazzini, botteghe e case. Il monastero aveva obblighi e pesi per ducati 77 e grana 2, che incidevano per il 5% sulle entrate.
L’otto agosto 1784 il tenente Vincenzo Milelli consegnava gli argenti a Fra. Raffaele Suriano, il giorno successivo 9 agosto, i vasi sacri al vescovo di Crotone e l’otto settembre, sempre al vescovo, le suppellettili sacre.
La Cassa Sacra
Con le disposizioni di sospensione del 15 gennaio 1785 il patrimonio economico del monastero fu incamerato dalla Cassa Sacra ed “in apposita postilla restò consacrato che il pieno diritto di proprietà sarebbe tornato all’ordine quando questo avesse potuto riaprire il monastero”.[ii]
Dal 1785 le proprietà del monastero cominciano ad essere amministrate dalla Cassa Sacra.[iii] Nell’atto di consegna del monastero al regio amministratore D. Giacomo d’Aragona, avvenuto nel 1790, così è descritta la parte monumentale del monastero: “Nell’entrata del medesimo vi sono quattro porte cioè la prima che conduce alla chiesa, la seconda al chiostro, la terza alle sorelle e la quarta al parlatorio. Il suddetto monastero ha quattro bassi, un refettorio e stanza, ossia celle numero quattro nel primo corridoio, altre quattro stanze nel secondo, altre sei stanze nel terzo ed in faccia a questo vi sono altre due stanze quali bassi; le stanze attualmente si ritrovano abitate dalle monache”,[iv] alcune delle quali erano riuscite con le scale a rientrare nel monastero attraverso le finestre e vivevano senza clausura nel monastero.[v]
Il monastero, come si ricava dalla lista di carico,[vi] era senza dubbio l’istituzione religiosa di Crotone (eccettuata la mensa vescovile) più importante per quanto riguarda il patrimonio. Esso aveva infatti una rendita annua di ducati 1483 e grana 32, contro i ducati 234 e 44 grana del convento di S. Francesco di Paola, ed i ducati 185 e grana 19 del convento di S. Francesco d’Assisi. Esso poteva contare sulla rendita di 25 corpi stabili per un totale di tom. 1961 di terra, dei quali tomolate 1129 erano coltivate per tre anni a grano e tre anni a erbaggio e tomolate 832, cioè il 42%, era adatto al solo uso di pascolo.[vii]
Questi fondi erano affittati ad una rendita annua del 4% del loro capitale, cioè 1403:65:33 su un capitale stimato di ducati 35091.43:8, mentre la durata dei contratti di affitto in quell’anno variava da 1 a 29 anni. Nell’affittare i fondi un posto particolare assumevano le famiglie più potenti all’interno del monastero, che coalizzandosi fra loro riuscivano ad eleggere la badessa ed a disporre così dei migliori fondi. Utilizzando questi rapporti di forza il marchese Giuseppe Maria Lucifero aveva in fitto 4 fondi (Zimpano, Suor Laudonia, Lampamaro, Lavaturo) con un contratto di fitto per 29 anni. Sempre nello stesso anno il fondo “Ferrara” era in fitto a D. Annibale Montalcini mentre altri contratti per sei e nove anni erano stati stipolati con Sculco e Fullone. Il resto della proprietà agraria era regolata da contratti di fitto che variavano da uno a tre anni.
I censi bollari erano 25 ma ne usufruivano solo 17 persone. Analizzando poi il valore del capitale concesso, si nota che D. Giuseppe Maria Lucifero con ducati 1300, D. Bernardino Suriano con ducati 600, e D. Annibale Montalcini con ducati 2016, da soli possedevano ducati 3916, che rappresentavano il 61% del capitale impiegato dal monastero in censi bollari, che era di ducati 6376, mentre altre 14 persone, quasi tutti piccoli proprietari e massari usufruiscono del restante 39%.
L’anno agrario iniziava il 15 agosto ed il pagamento dei fitti dei fondi avveniva l’otto settembre dell’anno successivo;[viii] l’affittuario dei fondi migliori era il marchese Lucifero. Per completare il quadro, tre fondi si trovavano non affittati[ix] e precisamente “Filograna”, “Mendolicchia” e “Liotta”, che insieme erano di tomolate 93. Il monastero era il maggiore ente creditizio della città. Esso, infatti, aveva un capitale impiegato in censi bollari che era di ducati 6376 ed una rendita annua di ducati 255:07. Oltre alle terre ed ai censi, il monastero possedeva una casa, due botteghe ed un magazzino, che affittava, e godeva di due censi enfiteutici.
I pesi del monastero ammontavano a ducati 1333-95-9 e si riferivano soprattutto alle quote annuali che spettavano alle monache per il loro sostentamento. Si trattava di un vero e proprio stipendio, che nel 1790 ammontava per ogni suora professa a ducati 72 annui, mentre le converse avevano diritto a 27 ducati. Il monastero doveva al fisco ducati 79-75-9: rimaneva quindi una rendita netta di 149 ducati e grana 37.
Le professe facevano vita in comune ed in comune prendevano le decisioni, che riguardavano la gestione ed i possessi del monastero. I contrasti non mancavano e si facevano più aspri quando tra le famiglie scoppiavano le liti per accaparrarsi i migliori contratti o i più sostanziosi prestiti.[x] Ogni tre anni erano elette la badessa e la vicaria ed esse erano il simbolo delle famiglie più forti, che si erano coalizzate all’interno del monastero e della città.
Il ripristino del monastero
Sospeso il monastero, i fitti ed i censi sono pagati al procuratore della Cassa Sacra,[xi] mentre alle monache e alle educande è assegnato un sussidio mensile (ducati 6 e poi 7, per le monache, e ducati 2 per le educande) e nella chiesa è trasferita la parrocchia di SS. Veneranda e Anastasia.
Frattanto era nominato visitatore generale per la Calabria Ultra il monaco secolarizzato marchese di Fuscaldo ed all’inizio del 1796 era abolita la direzione ed amministrazione della C. S. In precedenza, il 26 marzo 1792 era stato nominato da Pio VI nuovo vescovo di Crotone Ludovico Ludovici[xii] che, in occasione della visita fatta dal marchese di Fuscaldo a Crotone, assunse l’impegno di riunire nel monastero le monache e di riporre la clausura con le antiche regole, ridotando il monastero dei beni, che erano stati in amministrazione alla C. S.[xiii] Lo stesso vescovo, prima della sua traslazione alla sede di Policastro, avvenuta il 18 dicembre 1797, il 27 luglio 1797 consacra l’altare della chiesa del monastero in onore di S. Chiara, con incluse le reliquie dei martiri Costanzo, Simplicio e Feliciano.[xiv]
Tuttavia, anche se il marchese di Fuscaldo approva di reintegrare il monastero dei beni nello stato in cui si trovano, la restituzione completa avverrà solo nel 1804.[xv] Lo stesso vale per le monache, poiché non tutte rientrano nel monastero; infatti, nel 1800 due abitano in parrocchia del SS.mo Salvatore, due in parrocchia di Santa Maria e dodici vivono nel monastero senza clausura.[xvi] Il tentativo del vescovo Rocco Coiro di ripristinare la stretta clausura nel novembre 1804, troverà una ferma opposizione in quanto, secondo le suore, l’intervento era contrario alle costituzioni e alle regole del monastero e soprattutto non attuabile per le “indigenze” in cui le suore si trovavano (era badessa Maria Gaetana Olivieri).
Il Decennio
La rivoluzione francese scuote anche la Calabria ed il 1799 vede l’ “albero della libertà” alzarsi sulla piazza di Crotone.[xvii] Il sussulto reazionario sanfedista distruggerà l’illusione di un cambiamento politico ed economico, colpendo duramente con la morte ed i lavori forzati la borghesia ed i nobili liberali.[xviii] Durante il Decennio si cercherà di ristrutturare la proprietà e di porre le basi per un ridimensionamento della importanza economica degli enti ecclesiastici. Tuttavia, anche il tentativo francese di creare una nuova classe produttiva, meno infida e parassitaria, sopprimendo il feudo, ridimensionando e controllando la proprietà ecclesiastica, abolendo i privilegi della nobiltà e del clero, e facilitando la formazione di un ceto cittadino antagonista, portatore di un nuovo modo di produzione e di un legame stabile con la terra, fallirà in breve tempo.
Per attuare questo progetto, il nuovo governo procede da una parte, accertando la consistenza delle proprietà e tassando tutte le rendite, dall’altra verificando la natura delle proprietà e procedendo alla quotizzazione dei demani, di parte dei terreni ecclesiastici e di altri fondi, il cui possesso risulti non provato o su cui gravino diritti della popolazione.[xix]
Mentre il ricordo della Cassa Sacra vive nella contabilità dei lunghi elenchi dei debitori morosi, le leggi francesi del 1806, 1807 e 1810 determinano la fine del feudo e la soppressione di molti conventi. La lunga agonia del monastero di S. Chiara, iniziata con la Cassa Sacra, è accelerata dalle nuove leggi, che riducono i suoi fondi. La precarietà della situazione ha come effetto immediato il venir meno delle “vocazioni” delle figlie dei nobili, i quali non intravvedono più nella chiesa l’asse portante per dominare la vita economica e politica della città.
Nel 1807 è procuratore ed amministratore il canonico Domenico Rizzuto e nel monastero ci sono undici suore (Chiara Marincola è nel monastero di Catanzaro) e quattro serve. Da agosto a novembre 1808 è badessa Caterina Ventura, segue da novembre a dicembre Maria Serafina Milelli.
Il fondo “Lampamaro” di tom. 48 è già stato affrancato nel 1803 da Fabrizio Lucifero, quando le nuove leggi intaccano le proprietà.[xx]
In questo periodo il monastero si trova anche in gravi difficoltà economiche perché, a causa della complicità tra amministratori e nobili, non riesce a far valere i propri diritti presso coloro che utilizzano i suoi capitali ed i suoi fondi.[xxi] Questa incapacità porterà al sequestro di tutte le rendite, attuato nel mese di maggio del 1810 dal Casadonte, ricevitore della Registratura e Demani, a causa del debito di ducati 475, che il monastero doveva al Ramo dei Supplenti. Un decreto del 29 novembre dello stesso anno, soppresse i monasteri femminili con meno di 12 monache e riunì le comunità minori a quelle più numerose.[xxii] Il monastero di S. Chiara, contando 11 monache, fu soppresso ma fu subito ripristinato.[xxiii]
Con ordinanza del 26.3.1811, il Commissario del re, Angelo Masci, dispose la divisione in massa delle terre soggette agli usi civici, mediante l’assegnazione di un quarto delle stesse all’università di Crotone, salvo restando le colonie.[xxiv] Le terre che dovevano essere quotizzate provenivano da:
- Istituzioni ecclesiastiche (monastero di S. Chiara, par. Maria de’ Protospatari, par. Dei SS. Pietro e Paolo, Decanato, Mensa vescovile, Arcipretura, Cantorato, Arcidiaconato, Prebenda teologale, par. S. Margherita).
- Terre acquisite dal Regio demanio e già di pertinenza di enti ecclesiastici o simili (Commenda di Malta, Seminario, Primicerato, soppresso monastero di S. Chiara di Cutro)
- Terre già appartenenti a luoghi pii e poi dalla Regia Corte vendute a privati (Barracco per le terre della Badia di Altilia, Bisceglia per le terre appartenenti alla Badia di Corazzo, Perri per le terre appartenenti ad altri ordini religiosi).
I fondi del monastero, che ricadevano sotto la legge del quarto, erano: “Cannizoli”, “Ficazzane”, “Forno”, “Massanova”, “Donatello”, “Filograni”, “Pignara”, “Sandella” e “Liotta”, “Scarò”, “Zipponetto”, “Presinace”, “Zimpano”, “Santa Chiara delle Vigne”, “Santa Chiarella di Neto” e “Scarano”.[xxv]
Con la stessa ordinanza il Commissario del re aveva disposto di ammettere le offerte fatte dal monastero di S. Chiara, dalla parrocchia di S. Maria, da quella dei SS. Pietro e Paolo e dal Decanato di Crotone, con l’espressa condizione “che i corpi de’ medesimi esibiti covrano il quarto del valore di tutti i loro fondi demaniali e siano dell’istessa qualità e natura, e non siano scomodi ai cittadini che devono coltivarli”.[xxvi] Si dispose inoltre, che le terre soggette sarebbero state assegnate al comune e poi quotizzate tra i naturali, aggiungendo a queste anche i demani comunali ed altre terre in via di acquisizione. In esecuzione di questa ordinanza, l’agente distrettuale Camillo Sarlo con verbale del 10 aprile 1811, aveva provveduto alla divisione in massa dei demani dividendoli in 611 quote. Di queste, 488 furono assegnate nominalmente ai cittadini di Crotone ed il resto a quelli di Papanice. (Il tutto è di tom. 2856, cioè 5 tom. a testa. In quell’anno Crotone aveva 3080 abitanti e Papanice 308).
Il 15 aprile 1811 furono ripartiti i seguenti fondi di S. Chiara: “S. Chiara delli Ficazzani”, “S. Chiara delli Cannizoli”, “S. Chiara del Cantorato”, “Vignale Mortilletto”, “Li Vignali Filograni”, “Vignale detto Granato e Mendolicchio”, “Vignale Granato” e “Bernale”.[xxvii] Il tutto assommava a tomolate 231 e rappresentava l’11% della estensione dei fondi del monastero e fu suddiviso in 58 quote.[xxviii]28. Tuttavia, appena il Sarlo, dopo aver effettuato la ripartizione delle quote, si sarà allontanato dalla città, niente rimarrà di tutta l’operazione. Dall’analisi del catasto del 1814 e dalle platee del monastero di S. Chiara, risulta evidente che la quotizzazione del 1811, riguardante il comune di Crotone non ha raggiunto gli scopi previsti.[xxix]
Dalle platee del monastero risulta che dopo la quotizzazione del 1811, che interessò solo una parte dei fondi del monastero soggetti a ripartizione, niente ebbero più da patire le proprietà del monastero, tranne l’affranco fatto dal barone Gallucci nel 1813 del fondo “S. Chiarella della Garruba” di tom. 30 censuitogli a suo tempo dalla Cassa Sacra.[xxx]
Dal catasto provvisorio napoleonico risulta inoltre che alcuni fondi del monastero, quotizzati nel 1811, sono già stati accaparrati dai grandi proprietari (“Filograna risulta in proprietà a Gaetano Morelli, “Mendolicchia” è accatastato a “Giuseppe Farina),[xxxi] mentre altri o dovevano essere ancora quotizzati ed erano perciò accatastati al comune di Crotone,[xxxii] o risultavano ancora in possesso del monastero.[xxxiii] Pur non potendosi le quote assegnate né vendersi né ipotecarsi per lo spazio di dieci anni, risulta che, dopo pochi anni, i proprietari di molte di esse sono: Gallucci Nicola, Morelli Gaetano, Berlingieri Cesare, Isabella Morelli, Bernardino Albani e Leonardo Messina.
Le cause del fallimento delle quotizzazioni del 1811 sono:
- I quotisti non sono mai entrati in possesso delle quote, perché la maggior parte dei terreni che dovevano essere ripartiti non lo sono stati e sono rimasti ai vecchi proprietari.[xxxiv]
- I pochi quotisti che nominalmente sono diventati titolari di quote le hanno subito svendute a causa delle pressioni subite dai proprietari.[xxxv]
Avvenne così che un progetto sociopolitico, nato per contrastare i grandi proprietari, darà invece a questi la possibilità di allargare ancora di più le loro proprietà; essi, infatti, già prima del 1820 si erano incamerati definitivamente gran parte della proprietà ecclesiastica entrata in ripartizione ed avevano fatto incetta di terre demaniali. Dalle vendite effettuate dalla Cassa Sacra e dal fallimento delle quotizzazioni francesi emergono le nuove figure economiche del Crotonese. I protagonisti di questo processo di accumulazione della terra sono: Barracco, Gallucci, Morelli, De Maida, Lucifero, Berlingieri, Zurlo, Oliverio, Orsini, Albani, Capocchiano, Grimaldi, Talamo, ecc.
Alla fine del Decennio la situazione dei fondi del monastero è così riassumibile:
- Fondi ripartiti per intero nel 1811: tom. 231 (11%)
- Fondi censuiti dalla Cassa Sacra nel 1793: affrancati tom. 72 (4%), rimasti tom. 313 (15%)
- Fondi amministrati direttamente dal procuratore: tom. 1415 (70%)[xxxvi]
Totale tom. 2031.
La Restaurazione
La Restaurazione assunse un carattere meno reazionario di quella avvenuta nel 1799; la nuova amministrazione riconobbe in campo economico gli interessi formatisi nel Regno in seguito alle riforme che, sia pure in modo incompleto, si erano potute effettuare nel Decennio. Non così si può dire che avvenne per la politica ecclesiastica, dove si ebbe da parte del nuovo governo la rinuncia a molti diritti conquistati durante il Settecento, ristabilendosi nuovamente il diritto della chiesa a possedere e ad amministrare i beni senza il controllo dello stato.
Il decreto del 27.12.1815, sopprimendo quello francese del 30.7.1812, che aveva dato a organi dello stato il controllo della amministrazione delle rendite dei monasteri delle religiose, ricondusse l’amministrazione del monastero alle suore sotto il controllo del vescovo, che doveva vigilare affinché l’amministrazione fosse esercitata secondo un apposito regolamento, che prevedeva principalmente la compilazione annuale, fatta dal procuratore del monastero, di uno stato generale dei beni e delle rendite, che approvato dalla comunità religiosa doveva pervenire al vescovo; la formazione successiva di uno “stato discusso” da parte dell’ordinario, dove era stabilita una esatta distribuzione delle rendite, seguendo il principio di provvedere dapprima alle spese fisse (cioè i pesi pubblici, il mantenimento delle religiose, il culto e gli stipendi degli impiegati al sevizio del monastero), poi ai bisogni eventuali e possibili ed infine, una politica di investimenti delle somme eventualmente rimaste che, riposte in una “cassa” a due chiavi, dovevano servire per il restauro dei beni urbani ed al miglioramento dei fondi rustici.
Il Concordato, stipulato il 16.2.1818 tra il Regno delle Due Sicilie e la Chiesa, ridiede a quest’ultima il diritto di riappropriarsi dei beni alienati durante il Decennio, eccetto “quelli confiscati e dati in donazione”[xxxvii] e ristabilì diversi monasteri. La Chiesa, da parte sua, riconobbe le alienazioni dei beni ecclesiastici e assoggettò alla intera imposta tutti i beni posseduti, anche di epoca anteriore al 1741, accogliendo l’opera già svolta dal passato governo.[xxxviii]
L’effetto immediato del Concordato fu quello di arrestare quel processo, che ininterrottamente dal Settecento in poi, aveva ridimensionato il potere del clero, e dette il via sia ad una ricomposizione del patrimonio fondiario ecclesiastico, che si alimentò dal fallimento e dalla quasi totalmente incompiuta quotizzazione dei demani, che spesso rimasero accatastati ai comuni, sia alla formazione di un clero realista e conservatore.
Il monastero riuscì così a riprendersi alcuni terreni accatastati al comune ed a sfuggire, almeno in parte, alla legge di un “quarto”. Già al tempo del Concordato il patrimonio ecclesiastico[xxxix] ed in particolare quello del monastero è più che rispettabile per la sua consistenza. Il Concordato diede la possibilità alla Chiesa ed al monastero in particolare, di aprire tutta una serie di controversie per riappropriarsi di fondi usurpati e per riscuotere crediti.[xl]
Fra tutte le vertenze spicca per importanza e per durata quella riguardante la gabella di “Prasinace e Carbonarella” di tomolate 450; questa gabella data in fitto per 29 anni al tempo della Cassa Sacra al Coccari, risulta poi in enfiteusi ed in possesso del barone Berlingieri, complice in tutta questa vicenda il procuratore del monastero il canonico D. Michele Caruso, che nel 1820 manomette le carte.[xli] Altra importante vertenza è quella contro il comune di Crotone, che si trascina ormai dal 1807, da quando cioè il monastero fu obbligato ad imprestare 342 ducati e 40 grana e nel 1838 non sono ancora ritornati.[xlii]
Se il Concordato diede la possibilità al monastero ed alla Chiesa in generale di riprendersi parte del patrimonio fondiario entrato in ripartizione,[xliii] i Reali Decreti del 1823 e 1824, estesi successivamente ai monasteri claustrali nel 1838,[xliv] permisero di ottenere rendite sicure agevolandone anche la riscossione.[xlv]
Vita economica del monastero dal 1807 al 1832
I censi
Nel 1807 i censi sono 22 con un capitale impiegato di Duc. 6176:75, nel 1832 essi sono 24 con un capitale di Duc. 6576:75. È l’unico ramo finanziario del monastero che in questo periodo aumenta sia come capitale che come rendita.
Il capitale è quasi completamente proveniente dalle doti, ed i contratti dei censi sono stati per la maggior parte stipulati tra il 1715 ed il 1780. Le variazioni nel periodo considerato sono dovute alla trasformazione di un censo nell’acquisto da parte del monastero della casa su cui gravava,[xlvi] all’estinzione per decreto della Giudicatura di Pace,[xlvii] all’accensione di un nuovo censo nel 1819 di ducati 400 a favore di D. Francesco Sculco,[xlviii] alla dote di Mariangela Galasso di Cutro (1820) di duc. 200 e alla dote di Maria Raffaella Lucifero (1831) di ducati 200.
La rendita di questo settore economico, per quanto riguarda la formazione delle entrate teoriche, concorre nel 1807 col 17%, aumentando nel 1832 al 26%; a livello effettivo, data la elasticità lasciata ai possessori nel pagamento, le entrate oscillano dall’8% nel 1807 e nel 1821 al massimo del 33% nel 1809. Nel periodo avvengono inoltre alcune variazioni per quanto riguarda i titolari dei censi.[xlix]
I fondi amministrati direttamente dal monastero
Nel 1807 essi rappresentano il 67% delle entrate teoriche mentre nel 1832 solo il 57%. A livello effettivo la variazione è molto ampia passando dal 43% del 1809 all’80% del 1821. È il ramo economico più soggetto alle variazioni del mercato, risentendo sia dell’andamento delle stagioni sia delle fluttuazioni internazionali del prezzo dei cereali.
Nonostante che l’estensione delle terre del monastero abbia subito una riduzione a causa della ripartizione del Decennio, l’aumento del prezzo dei cereali riesce dapprima a dare sostanziosi utili al monastero, che stipulando nella maggior parte contratti a tre anni (64%), o anche di durata minore, riesce facilmente ad adeguare il fitto dei fondi all’andamento del mercato.
La discesa repentina del prezzo del grano, maturata tra il 1825 ed il 1830 e causata dalla massiccia immissione a prezzi competitivi del grano ucraino nei mercati europei, determina il progressivo impoverimento della principale attività economica del monastero.[l]
I fondi censuiti dall’abolita Cassa Sacra
Pur rappresentando per tutto il periodo circa 11%, sia delle entrate teoriche che di quelle effettive, è tuttavia un settore economico in via di estinzione. Già nel 1803 il monastero aveva perso definitivamente il fondo “Lampamaro” di tom. 48, ora nel 1810 e nel 1817, perde anche i fondi di “Santa Chiarella della Garrubba” di tom. 30 e di “Tuvolo” di tom. 70.[li] Alla fine del periodo tutti i fondi rimasti, censuiti a suo tempo dalla Cassa Sacra, sono in mano del marchese Lucifero.
Le case e i magazzini
Nel 1807 rappresentano il 2% delle entrate teoriche, mentre nel 1832 sono il 5%. In questo settore il monastero amministra ciò che ha senza procedere ad interventi rilevanti. Solamente nel 1819 acquista una casa dagli eredi Messina, casa su cui già gravava un censo del monastero.
I canoni
All’inizio del periodo considerato, essi costituiscono solo il 3% delle entrate teoriche mentre a livello effettivo, tranne qualche anno (1809, 1821), essi rappresentano una somma irrilevante. Nel 1832 i canoni sono quasi nulli, segno dell’abbandono da parte del monastero di questa forma di investimento a causa della difficoltà di riscossione.
Le uscite[lii]
Le spese erano in parte amministrate direttamente dalla badessa ed in parte dal procuratore. La badessa amministrava le spese, che interessavano direttamente la vita interna della comunità, mentre il resto era lasciato al procuratore.
Le uscite erano costituite:
a) Dagli stipendi del personale che costituiva la comunità e da quello che aveva con essa rapporti continui. La comunità era formata dalle clarisse, che ricevevano ciascuna all’anno uno stipendio di ducati 72, elevato nel 1828 a ducati 84 e, successivamente, nel 1829, a ducati 96.[liii] Faceva eccezione la badessa M.T. Galasso che, con rescritto del 1.8.1829, riceveva ogni anno ducati 120. Inoltre si dovevano versare ogni anno duc. 20 a suor Chiara Maricola, vivente nel monastero di Catanzaro, vita natural durante, come dall’ordine del marchese di Fuscaldo. Anche le novizie, data la crisi delle vocazioni, cominciarono a ricevere uno stipendio: Carolina Lucifero con rescritto del 28.8.1829 riceve duc. 60 annui e Lapiccola Michela nel 1831 riceve duc. 36 all’anno. Le educande, che nel passato dovevano pagare una quota annua, ora cominciano a prendere uno stipendio: Carolina Lucifero già nel 1824 aveva ricevuto duc. 25:80 e dal 1826 riceve ogni anno duc. 36, mentre T. Lucifero e L. Milelli con rescritto del 1829 ricevevano duc. 36 all’anno ciascuna. In questo periodo il salario delle serve aumenta passando dai duc. 5 del 1807, a 6 del 1820, a duc. 12 del 1821, a duc. 18 nel 1826 e a duc. 24 nel 1829. Oltre allo stipendio ed al vitto ogni monaca professa aveva diritto a tom. 5 di majorca, cantaja 1 di carboni (2 cantaja dal 1829) e duc. 10 per vestiario all’anno. Le serve invece ricevevano, oltre al vitto, tom. 4 di grano ciascuna e cantaja ½ di carboni (dal 1829 cantaja 1). Il personale esterno era costituito dal cappellano (duc. 21 all’anno), dal procuratore (duc. 30), dal medico – fisico (duc. 20), dal chirurgo, a ciascuno di loro era regalato tom. 1 di majorca. Vi era inoltre un servo “alla scarza”(duc. 54) ed un serviente la messa (duc. 3:60 aumentato nel 1831 duc. 6). Nel 1831 oltre a queste figure risultano nelle platee anche un avvocato per le cause nella Regia giudicatura (duc. 12) ed un chirurgo (duc. 12).
b) Dalle spese di manutenzione del monastero,[liv] di abbellimento e di ricostruzione dovute a falegnami, muratori e pittori che aumentarono sensibilmente nel 1832 a causa del terremoto.[lv]
c) Dal pagamento di annui canoni dovuti all’Arcidiaconato (duc. 0:10), all’arcipretato (duc. 0:10), alla cappella del SS.mo Sacramento (duc. 0:10), all’abolito convento di S. Francesco di Paola e per esso al Seminario (duc. 1:50).[lvi]
d) Dal pagamento delle 781 messe che dovevano essere celebrate nella chiesa del monastero[lvii] e che furono ridotte a 322 con “restritti” della Curia in data 28.12.1815 e 24.8.1816. Per ogni messa il monastero pagava carlini due al cappellano o al procuratore.
e) Dal pagamento annuo alla Regia Tesoreria di Monteleone per Ramo de’ Supplimenti che ascendeva a duc. 342:40 all’anno, e fu pagato dal monastero fino al 1814, anno in cui la tassa fu soppressa con lettera ministeriale del 4 maggio 1814.
f) Dalla fondiaria pagata dapprima annualmente e successivamente con Real Decreto del 3.10.1823 a scadenze bimestrali.[lviii]
g) Dalle spese per vitto, regali, mance ecc., di cui godevano le monache, le serve e tutti coloro, che avevano rapporti col monastero, e rappresentavano la parte di spesa più elevata.[lix]
La crisi
Il processo di privatizzazione delle terre, iniziato con la Cassa Sacra[lx] e continuato nel Decennio, determinò una ricomposizione della proprietà e delle classi sociali; emersero nuovi soggetti ma, specie nel Crotonese, si rafforzarono alcune famiglie nobiliari a scapito di altre.
I nobili, ai quali “privatamente appartiene il monastero”, nel passato avevano gestito, anche se indirettamente, la vita economica e comunitaria, in quanto avevano considerato il monastero un istituto atto ai loro scopi economici e sociali, e cioè a collocare le troppe figlie, sfuggendo alla divisione del patrimonio, a gestire le terre ed il capitale stesso del monastero e della chiesa ed a dare una educazione adeguata con vitto ed alloggio quasi gratuiti fino alla maggiore età alle figlie.
Essendo mutate le condizioni storico-sociali e ridimensionato il potere ecclesiastico, essi abbandonano il monastero alla sua estinzione naturale. Nel periodo dal 1783 al 1831 si nota una diminuzione costante delle monache che, nonostante alcune immissioni,[lxi] da 19 passano alla sola Maria Angela Galasso.
Sollecitato a far fronte a questa situazione ormai insostenibile, che determinerebbe la chiusura e la soppressione del monastero, il vescovo di Crotone Zaccaria Boccardi[lxii] il 27 aprile 1830 invia da Napoli due lettere. I destinatari erano il vicario Giuseppe Maria Sculco e la badessa del monastero Mariangela Galasso.[lxiii] Con queste lettere il vescovo concede la facoltà e sollecita l’ammissione al noviziato della nobile vedova Donna Carlotta d’Aragona e di Lucrezia Avarelli, quest’ultima di anni 47 e di “civile famiglia”, ma familiare del cancelliere vescovile Benedetto Avarelli.
“Dispensando a tutto ciò, che potes’essere in contrario a queste nostre disposizioni. Si osservino quelle cose che si possono osservare tanto nella professione, quanto nella ricezione … stante le circostanze del monastero molte cose non si possono osservare, e perciò anche su di esse si dispensa[lxiv] e ciò per accrescere il numero delle monache per l’educazione delle fanciulle e per mantenere in vita il convento”.[lxv]
Alla dispensa del vescovo segue il 3 luglio 1830 quella dei rappresentanti dei “nobili primari”[lxvi] di Crotone che, costretti dalla necessità, “ma in prosieguo resti l’Istituto per come sempre è stato”, eccezionalmente permettono alla civile Avarelli di poter accedere al monastero. Segue per ultimo il permesso dell’unica e “inabilissima” monaca rimasta. Così anche se la Avarelli non entrerà, il monastero si aprirà per la prima volta, sia pure in via eccezionale e temporanea, a soggetti non appartenenti alla nobiltà. I nobili, tuttavia, riescono all’ultimo a trovare una soluzione ed a salvaguardare il loro dominio sull’istituzione: ne è artefice la famiglia Lucifero, che già fin dalla metà del sec. XVII vi ha assunto una posizione dominante.[lxvii]
L’otto marzo 1832 un violentissimo terremoto scuote Crotone ed il monastero subisce gravi danni. Le monache dapprima riparano della “sala del biliardo”, poi in una baracca di legname costruita nell’orto del monastero.[lxviii] Tra i danni risulta che il “belvedere” è pericolante e non suscettibile di alcuna riparazione e dovrebbe essere demolito, per evitare i danni che la sua caduta apporterebbe alla sottostante chiesa. Iniziano i lavori di restauro e nello stesso anno sono riparate le stanze, il campanile e si abbassa il belvedere.[lxix]
L’anno si chiude con la morte della badessa Mariangela Galasso (6 novembre 1832), con Raffaela Lucifero, che giovanissima diviene badessa a soli 21 anni, e con la novizia borghese, ma cittadina del ceto medio e legata agli ambienti ecclesiastici, Lapiccola Rosa che, il 24 ottobre 1832, fa la professione col nome di Suor Maria Michela. Seguono nello stesso giorno i voti delle converse Suor Maria Giuseppa, al secolo Lucrezia Macrì, e Suor Maria Chiara, al secolo Caterina Racco.
La transizione
Passato il pericolo di una estinzione naturale, segue una lunga fase di transizione. Il periodo dal 1831 al 1860 vede il tentativo di ripristinare l’assetto della vita comunitaria ed economica del monastero. Privato di parte delle proprietà, il potere ecclesiastico ha subito un ridimensionamento sociopolitico; la nuova classe emergente laica e borghese, costituita da latifondisti-mercanti, sostituisce nella gestione delle istituzioni economiche e politiche quella nobiliare.
La ristrutturazione del potere mentre pone in crisi gli istituti nobiliari, priva degli usi civici i contadini, i quali si vedono espropriati dei secolari diritti sulle terre comuni e sui boschi.[lxx]
La scomparsa dei piccoli proprietari e l’ulteriore depauperazione dei braccianti segnano il nascere e lo svilupparsi dell’economia latifondistica, che procede e si consolida attraverso la conversione di ampie aree di demanio boschivo e di pascolo a cerealicoltura estensiva, all’allevamento ovino ed al pascolo brado.[lxxi] Comincia il lungo assedio al sistema latifondistico da parte dei marginali, che ridotti nella miseria, all’occasione, vi compiono razzie ed incursioni, alimentando il fenomeno del brigantaggio.
Il monastero, essendo una istituzione nobiliare, segue il destino della classe sociale alla quale appartiene e dopo un tentativo di restaurazione, andrà lentamente in estinzione. Già nel 1837, ridotta la comunità a solo quattro suore, era stata eletta badessa Maria Michela Lapiccola, la prima badessa non nobile.[lxxii]
A livello amministrativo, il monastero impiega i propri capitali in operazioni di tutto riposo, cioè in titoli pubblici, tentando con ciò di assicurarsi una entrata sicura e continua, lontana dalle variazioni del mercato dei cereali, in questo periodo in crisi. Abbandonando la speculazione fondiaria ed il deposito inoperoso,[lxxiii] il monastero impiegò dapprima il capitale nell’acquisto di rendite iscritte sul Gran Libro del Debito Pubblico e poi sul Gran Libro del Debito Consolidato.[lxxiv]
Per quanto riguarda la continuità della comunità, finché non maturerà un accordo definitivo tra le famiglie nobili, il monastero, per poter svolgere la funzione educativa, farà ricorso a personale proveniente da altri monasteri.[lxxv]
Dalla compilazione del ruolo definitivo, contenente “i nomi dei debitori di rendite di qualunque natura appartenenti al monastero, che non han prodotto opposizione alcuna alle rispettive partite”,[lxxvi] si evince che i crediti, che il monastero vantava, ascendevano a più di 500 ducati ed erano costituiti dal non pagamento di 14 censi e di 7 canoni.
La proprietà fondiaria era ancora costituita da tom. 1556 di terra, ma di questi ben 281 (18%), censuite a suo tempo dalla C. S. al marchese Lucifero, davano canoni sempre minori (duc. 113 nel 1840 contro i duc. 157 del 1807), tom. 410 erano stati usurpati dal barone Pietro Berlingieri e del rimanente, direttamente amministrato dal monastero, ben tom. 656 (26%) erano in fitto al nobile Anselmo Berlingieri[lxxvii] e tom. 209 (14%) ad altre quattro persone. I censi su cui il monastero poteva contare erano ancora 23, ma di questi 13 dovevano ancora essere rinnovati.[lxxviii]
Il ripristino della vita claustrale
Il 24 maggio 1839[lxxix] il vescovo di Crotone Leonardo Todisco Grande,[lxxx] proseguendo la visita ai luoghi pii della diocesi, entrò nella chiesa e nel monastero.[lxxxi] Contemporanea a questa visita è la notificazione alle religiose,[lxxxii] una prima era stata fatta il 31.12.1838, con la quale il vescovo tentò di ripristinare la vita claustrale, cercando di ridare il prestigio e la funzione, che aveva avuto nel passato.
Per far questo egli attuò un intervento autoritario, ripristinando ed imponendo il regolamento interno del passato, che ricondusse tutti i poteri nelle mani della badessa ed annullava ogni forma di decisione autonoma e di vita comunitaria. Creando inoltre all’interno della comunità tutta una serie di proibizioni e di sospetti reciproci, annullò ogni tipo di relazione se non di gerarchia tra coloro che vivevano recluse. A queste notificazioni seguirà nel 1842 la ristampa aggiornata delle Costituzioni, già pubblicate dal vescovo Costa nel 1749, nelle quali il disegno regressivo è reso organico.[lxxxiii]
Nel 1840 ha pratica esecuzione l’accordo, e sarà l’ultimo tra i nobili, che da sempre hanno avuto la gestione e protezione del monastero, fornendo il personale. Quest’ultimo riassetto ha la sua concreta esecuzione quando, a poche settimane di distanza l’una dall’altra, accedono alla professione all’età di 21 anni M. Gabriella Lucifero, M. Serafina Milelli e M. Emanuela Oliverio.
In questo anno riprende veramente la vita comunitaria dopo la sospensione del 1783. Tuttavia, troppe cose sono cambiate e nonostante tutti i tentativi di ripristinare il vecchio assetto con editti, regolamenti, decreti e notificazioni, il disegno restauratore avrà breve durata. I rapporti socio-economici tra le classi sociali sono mutati e con essi anche le forme e gli istituti del vecchio ordine. La nobiltà, in piena crisi, o scompare dalla vita economica e politica, o si aggrega alla nuova classe emergente: i grandi latifondisti borghesi e la burocrazia di stato, trasformandosi economicamente e culturalmente.[lxxxiv]
Il monastero si scontra con la nuova realtà ed è chiaro che o esso si trasformerà radicalmente, dandosi nuove funzioni sociali e aprendosi al nuovo ceto, o si estinguerà. Nonostante gli accorgimenti accordati nel 1829, che cercavano di incentivare la vita claustrale, aprendola, anche se in via eccezionale, a nuovi soggetti ed aumentando “la mesata”, sia della badessa che delle suore e delle serve ed addirittura concedendola anche alle educande, le vocazioni si fanno sempre più rare.
Nel 1847 si pone concretamente per la prima volta la possibilità di far entrare nel monastero la figlia non nobile e non cittadina ma di un alto burocrate: Astorino da Cirò, già direttore della Fondiaria in Basilicata e quindi molto utile per avere un trattamento di favore per quanto riguarda la tassazione annuale (fondiaria), che la mensa vescovile deve al Regno.
La reazione immediata delle monache è quella di respingere,[lxxxv] ma niente esse possono contro ciò che il vescovo ha già deciso e che trova una giustificazione nel nuovo assetto economico e politico.[lxxxvi] La figlia del burocrate, Concetta al secolo Eleonora, entrerà nel monastero e darà la professione il 7.7.1849, ma rimarrà sempre ai margini della vita comunitaria e nelle cariche del monastero.
Frattanto all’esterno alcuni nobili si trovano in grave difficoltà economica[lxxxvii] e cercano, per quanto è ancora possibile, trarre profitto dalla “discreta floridezza” del monastero.[lxxxviii] Distrutta all’interno la compattezza e l’omogeneità con l’entrata di altri soggetti sociali, non appartenenti alle tradizionali famiglie nobili cittadine, e vivendo la crisi che ha colpito la classe di appartenenza, le monache manifestano questo stato conflittuale nelle votazioni del 1853, quando sono rinnovate la badessa e la vicaria.
Il 16 gennaio 1853, dopo due votazioni, è eletta badessa Maria Emanuela Oliverio,[lxxxix] ma per la vicaria dopo cinque votazioni le posizioni sono ancora quelle di partenza e, non riuscendo le monache a trovare al loro interno un accordo, si arriva alla sospensione delle votazioni. Il 20 gennaio 1853 è eletta vicaria Maria Maddalena De Leon, una suora non appartenente ad una famiglia nobiliare cittadina, presente nel monastero fin dal 1849.[xc]
Le famiglie nobili sempre meno premono perché le figlie accedano al monastero, trovando il fatto di nessuna importanza per risolvere la loro situazione economica e sociale; al contrario ci sono molte famiglie del ceto medio, che cercano di far entrare le proprie figlie nel monastero. Risulta chiaro che la borghesia agraria e burocratica ormai assestata ed egemone economicamente, cerca ora di acquisire tutti i simboli, i modi di vita e le istituzioni in cui si esprimeva il vecchio potere nobiliare, per trovare ed avere la legittimazione sociale del proprio status economico e la giustificazione sociopolitica, che la renda garante e continuatrice legittima del vecchio potere. Il vescovo di Crotone, facendo presente questo stato di fatto alla Congregazione, chiede di poter far entrare le figlie della borghesia, tentando con ciò di aumentare il numero delle clarisse,[xci] ma la risposta è di ritardare e di procedere con molta prudenza e cautamente, per non turbare la pace nel monastero.[xcii]
La fine economica
L’unificazione dell’Italia[xciii] e l’estensione della legislazione piemontese al Mezzogiorno determinarono la fine economica del monastero. Durante il 1861 il nuovo parlamento emanò alcuni decreti importanti, riguardanti le relazioni tra stato e chiesa nel Mezzogiorno.[xciv] Fu dichiarato decaduto il Concordato del 1818 tra il Regno delle Due Sicilie e la Santa Sede e fu resa operante anche per i nuovi territori la legge sarda del 29 maggio 1855, che contemplava la soppressione di diversi ordini religiosi.[xcv]
“La soppressione degli ordini religiosi colpì quasi 20.000 tra frati e monache, danneggiò gli interessi di molte famiglie, fece sorgere difficili problemi per la sua attuazione. Il risultato politico immediato dei decreti Mancini fu dunque la netta prevalenza del clero reazionario su quello liberale e l’intensificazione dell’attività propagandistica del clero stesso contro il nuovo regime soprattutto tra i contadini”,[xcvi] che videro gli usurpatori diventare i rappresentanti del nuovo stato.
Un decreto del 13 ottobre 1861, andato in vigore il 20 novembre, accordava agli enti soppressi e quindi anche alle clarisse di Crotone, desiderose di rimanere nel monastero, la facoltà di farne domanda entro tre mesi “al Regio Commissario in Napoli per l’organo del Regio Giudice di Mandamento”.[xcvii] Mentre le clarisse inoltravano a Napoli una supplica per poter rimanere nel loro convento, un altro decreto del 22 dicembre dava la possibilità di occupare le case religiose per il servizio militare e civile.[xcviii]
Il comune di Crotone, approfittando della situazione di incertezza e di confusione che regnava in tutto il Mezzogiorno, e “arrogando a se i poteri, prevenendo le superiori disposizioni”,[xcix] decise allora, per proprio conto, la soppressione del monastero, con l’intento di acquisirlo e di adibirlo a scuola.
Successivamente, mentre il vescovo faceva presente al Prefetto l’illegalità della delibera comunale e le conseguenze che la sua esecuzione avrebbe determinato,[c] il Consiglio municipale, in seduta straordinaria proseguì nel proprio intento, e volendo “profittare a vantaggio del popolo crotonese, stabiliva alla unanimità intanto di destinare le rendite del convento, tolta la somma per il mantenimento delle suore, a beneficio della istruzione popolare”, e quasi all’unanimità, cioè con un solo discordante, decise che il monastero fosse adibito a Ginnasio.[ci]
Passato il monastero con i suoi beni in amministrazione dello stato, il barone Berlingieri ne approfittò per raggiungere, nel dicembre 1864, un accordo col Demanio ed entrò in definitivo possesso della gabella “Presinace e Carbonarella”, impegnandosi a pagare nel tempo una somma, che ammontava a circa un quarto del valore del fondo.[cii] Anche il Comune di Crotone cercò di trarre profitto della situazione e, continuando a premere per ottenere i locali del monastero, avviò nel 1865 una pratica per acquisirne definitivamente una parte,[ciii] parte che, in virtù dell’art. 20 della legge 7 luglio 1866 n. 3083, gli fu consegnata nel 1868.
Mentre il vescovo provvedeva a restringere le monache nella parte ad esse lasciata, salvaguardando così la clausura, il Consiglio Comunale propose l’adattamento della parte avuta ad uso di asilo infantile ed a scuola primaria.[civ] Due anni dopo il Consiglio Comunale deliberò all’unanimità di “riattarsi e rendere adatto ad asilo infantile il locale in quella parte del convento delle Clarisse già consegnato al comune, locale che sarà assolutamente segregato dallo stabilimento religioso”, e di adibire “ad altri stabilimenti municipali il restante superfluo all’asilo infantile, e all’uopo invita la Giunta a far redigere ed attuare il relativo progetto”.[cv]
La parte migliore del monastero, quella cioè costruita di recente, fu allora definitivamente separata e fu fatto un asilo d’infanzia, gestito dalle suore di Sant’Anna. Tutta l’operazione ebbe per protagonista il barone Luigi Berlingieri, che ne divenne anche il direttore e, molto probabilmente, volle con questo atto dare dimostrazione dei nuovi rapporti di forza che si stavano creando all’interno della città e, su questa linee anticlericale, si attuò infatti la trasformazione e l’aggregamento della ricca borghesia terriera, adeguandosi alle posizioni del nuovo governo, e mettendo una ipoteca su di una acquisizione molto vantaggiosa degli ultimi ma molto sostanziosi beni ecclesiastici, destinati alla liquidazione stabilita dalle leggi del 7 luglio 1866 e dalla successiva del 15.81867.
L’esecuzione di queste leggi darà l’avvio a tutti quei fenomeni di accumulazione, usurpazione e violenza, che caratterizzano il salire e lo scendere di nuovi soggetti sociali. Questi fenomeni accompagnano la nuova distribuzione della terra, come già era avvenuto nel periodo della Cassa Sacra e della Quotizzazione, accentuando ancor più il divario fra le classi sociali nel Crotonese e deprimendo ampie aree agricole, togliendo dalla terra il capitale necessario per il suo miglioramento, capitale che fu rastrellato dal governo per compiere lavori di difesa militare ed opere pubbliche nelle aree più avanzate economicamente. Secondo la legge del 7.7.1866, i terreni che dovevano essere alienati, previa divisione, dovevano essere “in piccoli lotti, per quanto sia possibile, tenuto conto degli interessi economici, delle condizioni agrarie e delle circostanze locali” (art.9).
“Gli acquirenti erano tenuti a pagare un decimo del prezzo all’atto dell’acquisto e gli altri nove decimi in diciotto anni con interesse scalare al 6%. La legge tolse ogni riconoscimento giuridico agli ordini, corporazioni e congregazioni religiose e assegnò i loro beni al demanio dello Stato coll’obbligo di iscrivere a favore del Fondo per il Culto una rendita del 5% eguale alla rendita accertata dei beni incamerati. Il Fondo per il Culto, che sostituì la Cassa Ecclesiastica di cui assorbì i beni, le rendite e le funzioni, doveva provvedere al pagamento di una pensione ai membri degli ordini soppressi. I fabbricati dei conventi e dei monasteri soppressi dovevano essere assegnati ai comuni e alle province, che ne facessero domanda, per uso di scuola, asili infantili, ospedali ed altri istituti di beneficenza”.[cvi]
Del latifondo
Questa ulteriore immissione nel mercato di fondi,[cvii] porterà invece alla completa formazione nel Crotonese di quel sistema latifondistico,[cviii] già funzionante, che espandendosi dalla marina alla Sila, ha assunto come forma economica tipica, l’integrazione della granicoltura estensiva, praticata da piccoli e medi proprietari–fittavoli, accoppiata alla transumanza del bestiame brado, gestita in proprio dai grandi latifondisti, i quali controllano soprattutto l’incetta, la lavorazione ed il commercio dei prodotti (grano e formaggio), avviati ai mercati di Napoli e del nord.[cix]
I protagonisti nella conduzione e nella gestione moderna di questa antica forma economica sono soprattutto i Barracco, i Lucifero ed i Berlingieri, che controllando le amministrazioni comunali riescono a farsi fittare, a volte svendere,[cx] altre volte ad usurpare, spesso utilizzando prestanome, le proprietà demaniali, che poi subaffittano e, rastrellando tomolata su tomolata, creano un insieme di proprietà continua dal piano al monte. All’interno di queste estese proprietà essi costruiscono delle masserie di raccordo, di trasformazione e di immagazzinamento dei prodotti (grano, formaggio, olio, liquerizia, ecc.); centri che utilizzano a volte tecnologie avanzate e sono collegati ai maggiori mercati.
Per avere un’idea della espansione e del modo con cui operano sul mercato, basta pensare che il solo barone Luigi Berlingieri acquista dall’asse ecclesiastico, nel periodo dal 1863 al 1882, ben 81 fondi per un valore di circa un milione di lire,[cxi] mentre il Barracco negli stessi anni possiede più di 100.000 tomolate di terra.[cxii] La situazione che viene a crearsi a Crotone è una stratificazione sociale piramidale con “pochissimi sfondolati ricchi, di ben pochi comodi civili di secondo ceto e di una turba di pezzenti che formano la massima parte”.[cxiii]
Sul tessuto sociale distrutto dalla miseria e dalla precarietà della vita si innestano fenomeni di massa tesi a creare nuove condizioni più umane e situazioni di servilismo,[cxiv] di abbruttimento e di patologia sociale.[cxv] Le migliori condizioni igieniche, l’inaugurazione della ferrovia (31 maggio 1874), la costruzione di una struttura commerciale nuova ed aperta al territorio, non creano condizioni migliori per la popolazione, che è completamente estromessa dalla terra e dal processo produttivo.[cxvi]
Il tentativo di creare una struttura commerciale più avanzata, favorito dal rialzo dei prezzi delle derrate alimentari (che si dirigevano a Napoli, da dove i grani, o in natura o sotto forma di pasta, e gli olii erano esportati) e dei prodotti caseari e quindi degli animali,[cxvii] avevano creato la condizione per un ulteriore arricchimento dei latifondisti, che si apprestavano con i nuovi capitali ad una trasformazione e ad una vendita più razionale dei prodotti.[cxviii] Ma all’inizio degli anni ’80,[cxix] a causa dell’immissione massiccia nel mercato europeo dei cereali provenienti dall’America, “i produttori dei nostri cereali non trovano più a piazzarne delle grosse partite presso gli speculatori”.[cxx]
Caduto in crisi un polo del latifondo, cioè la granicoltura, tutto il sistema economico risulta compromesso. Una trasformazione dell’altro fattore economico, cioè del sistema armentizio, si scontra con la desolazione creata dalla monocoltura,[cxxi] con un capitale ormai immobilizzato nelle terre improduttive e con la mancanza assoluta di opere strutturali per la stabulazione e l’irrigazione dei terreni, che dovrebbero essere coltivati a foraggio.[cxxii]
L’impresa risulta impossibile; si cercano allora nuove vie; dove è possibile si impianta il vigneto e si estendono gli agrumi e l’olivo, ma gran parte del terreno, lasciato per anni senza miglioramenti, è soggetto all’azione erosiva ed al ristagno delle acque ed è diventato sterile e malarico.[cxxiii]
Come sempre la crisi economica colpisce dapprima i braccianti (giornalieri), che vedono ridursi il salario da 1.30 a 1 lira (anche 0,80), e le donne che sono pagate metà e trovano sempre meno occasione di lavoro.[cxxiv] Migliaia di famiglie contadine sono ridotte alla fame. Il capitale comincia a fluire verso la speculazione creditizia e la proprietà immobiliare. Nel 1886 l’integrità delle mura viene meno e la città si estende al di fuori con due porticati, uno a destra ed uno a sinistra.[cxxv]
Si popola il rione nella “Marina” ed altre abitazioni sono costruite nella parte occidentale della città. La città stessa si presenta come una tipica corte baronale, con al suo interno le forme vistose dei palazzi dei baroni e con rioni completamente degradati e miserevoli. Mentre le ultime proprietà del clero e del demanio passano nelle mani dei latifondisti, “molti dei piccoli proprietari veggionsi alla giornata sparire, sol perché non hanno dei capitali proprii; né tampoco puon trovare un pubblico stabilimento che, con modesto interesse, potesse loro offriglierli”.[cxxvi] Stretti dalla mancanza di capitali e dal cappio dell’usura, gli ultimi piccoli proprietari[cxxvii] si confondono ormai con i braccianti e con i pastori, che “non sono in proporzione dei bisogni del comune. Però si aumentano d’un migliaio, correndo l’autunno e l’inverno”.[cxxviii]
Verso l’estinzione del monastero
Il monastero è spogliato dei beni ed alle monache assegnato un sussidio per poter vivere. Finisce così l’importanza economica del monastero e con esso si estingue il simbolo ecclesiastico-nobiliare, che rappresentava all’interno della città.[cxxix]
Nel 1870 è eretto un piccolo altare in marmo dedicato alla M.V.M. Salette, che è consacrato il 23 luglio 1871 dal vescovo Luigi Maria Lembo (1860-1883), il quale in precedenza aveva visitato il monastero.[cxxx] Il vescovo, resosi conto delle mutate condizioni economiche e dell’età ormai avanzata delle monache,[cxxxi] considerando la impossibilità di osservare alcune prescrizioni emanate in altri tempi, decretò il 10 gennaio 1877 l’annullamento di tutte le notificazioni emanate dal vescovo Todisco Grande e quelle degli altri predecessori, eccettuando l’obbligo di osservare scrupolosamente la clausura, pena la scomunica. Egli permise ai soli consanguinei, di primo e secondo grado, di poter parlare con le monache senza licenza del vescovo.
Questo è praticamente l’ultimo atto importante riguardante la comunità.[cxxxii] Seguono le visite consuetudinarie e triennali del nuovo vescovo Giuseppe Cavaliere nel 1885,[cxxxiii] 1888,[cxxxiv] 1891,[cxxxv] e 1894.[cxxxvi] Nel 1895 poiché il numero delle monache è sceso a cinque e quindi, secondo la legge del 7 luglio 1866, esse dovrebbero lasciare libero il monastero e riconcentrarsi in un altro, il vescovo, essendo le monache molto vecchie e di salute cagionevole, dapprima chiede alla Congregazione la facoltà di acquistare il monastero,[cxxxvii] poi raggiunge un accordo con il Comune, che per legge acquisisce il fabbricato ma si impegna a rispettare la dimora delle poche monache rimaste, finché vivono.[cxxxviii]
Nel 1898 il vescovo, essendo ormai la comunità delle clarisse in estinzione, chiede che il monastero non sia più soggetto a clausura papale ma a quella vescovile.[cxxxix] Il 6 maggio 1899 è firmato il verbale di consegna al comune di Crotone del corpo di fabbrica del convento di Santa Chiara, in esecuzione dell’art. 20 della legge 7 luglio 1866 n. 3036. Sono presenti nel monastero: la badessa M. Angelica De Mayda di 62 anni, M. Emanuela Olivieri di 80 anni, M. Serafina Milelli di anni 80, M. Concetta Astorino di anni 73 e M. Filomena De Mayda.
Il ceto degli Industrianti
All’inizio del ‘900, mentre la comunità delle clarisse si estingue, Albani dismette ogni industria armentizia[cxl] e il marchese Nicola Berlingieri, pur introducendo vacche di razza svizzera ed adottando il sistema misto, “cioè di tener a pascolo il bestiame di giorno e di farlo rientrare in istalla di notte”, sembra non riesca a far “produttivo il capitale impiegato”.[cxli] I latifondisti abbandonano l’attività armentizia, delegano a fattori ed amministratori la gestione dei beni, e si trasferiscono a Napoli, Roma e Firenze.
Il latifondo perde ogni connotazione economica e diventa un insieme di estese proprietà terriere. Su queste lande desolate gli industrianti,[cxlii] cioè i grandi fittavoli ed i fattori, scompongono e ricompongono, ristrutturano e riconvertono le parti migliori del territorio. Essi, stipulando contratti di fitto a lunga durata e, rilevando il bestiame, vi fanno sorgere industrie agrarie che, sfuggendo all’ammasso e praticando il mercato nero durante la guerra, sfruttando “gli alti prezzi raggiunti dai formaggi, dai latticini e dalla lana”[cxliii] nell’immediato dopoguerra, raggiungono un grande sviluppo produttivo. Gli industrianti riescono inoltre a bloccare, con la violenza dello stato autoritario-fascista, il movimento bracciantile- socialista sulle terre sterili e incoltivabili.
L’abbandono
Da ultimo, rimasta la sola clarissa Maria De Mayda ormai vecchia, entrarono nel monastero due sorelle per assisterla ed aiutarla. Il tentativo di prolungare ancora la vita comunitaria è malvisto dal Comune, che vede allontanarsi nel tempo la possibilità di prendere possesso dell’intera struttura.
Da una relazione[cxliv] veniamo a conoscenza che le ultime tre monache, le sorelle De Mayda, pur avendo ottenuto dal sindaco Anselmo Berlingieri “la licenza di terminarvi indisturbate i loro giorni, come era loro vivissimo desiderio”, nel 1916 o giù di lì, pensarono meglio, con rescritto della Santa Sede, di rifugiarsi nelle case dei parenti, per non morire innanzi tempo”. Infatti “il monastero faceva acqua da tutti i punti, ed era signoreggiato da tutti i venti, per le sconnesse vetrate e porte sgangherate”. Il municipio ne prese possesso: restaurò alcuni locali per adibirli a scuola, in altri vi accolse dei poveri senzatetto ed affidò, il 15 giugno 1916, la chiesa al parroco di Santa Veneranda senza richiedere alcun compenso. Finisce così la comunità delle clarisse, monastero che doveva “la sua originale esistenza a poche distinte famiglie che, erigendolo a proprie spese, lo dotarono de’ propri fondi coll’obbligo di numerosi legati di messe”.
Due Notificazioni
“Notificazione alle Religiose Clarisse di Cotrone nella Santa Visita del 1839
Formando parte del mio Pastorale Ministero prender particolar cura dell’unico Monastero delle Clarisse esistente in questa Diocesi a Noi affidata per vederlo di giorno in giorno progredire nella via della virtù: Eseguita la S. Visita in questo andante anno 1839; venghiamo a far noto alle Religiose, e altre tutte ivi rinchiuse quanto nella medesima v’è decretato.
- Confermiamo quanto, sin dal momento che si pose la comunità vi sia da Noi disposto con Decreti, Editti e Notificazioni. Che perciò:
- La Madre badessa baderà all’esatta osservanza di quanto si trova disposto, non arbitrandosi specialmente di fare stare la Ruota aperta dopo le ore 23 ½ eccetto qual caso espresso nell’Editto e Regolamento, come ancora badare adattarsino le Monache Novizie e tutte l’altre a quanto è prescritto nel medesimo Editto e Regolamento circa il vestire e nell’alzarsi dal letto e coricarsi ciascuna. Come ancora starà vigile la Madre Badessa a far osservare l’ora del silenzio e da badare che in tale tempo niuna ardisca andare sopra il belvedere.
- Il Parlatoio non solo ne’ giorni proibiti deve essere sempre chiuso, tenendosi la chiave dalla Madre Badessa, ma anche in ogni altro tempo, dovendosi volta per volta quando il bisogno il richiede, darsi la chiave a chi manderà per ascoltatrice.
- La Badessa si uniformerà esattamente a quanto è prescritto nella Nostra Notificazione de’ 31 Dicembre 1838.
- La porta della stanza del Comunichino resterà chiusa continuamente dandosi la chiave dalla Madre Badessa nel bisogno, come anche reswterà chiusa la porta della scala segreta, che mena alla stessa stanza.
- La Madre Badessa o chi in di Lei vece presiederà al Coro nella recita del diario Ufficio ed altre Orazioni; avrà cura che si osservi silenzio, modestia e tutte le decenze che si conviene ad un luogo si tremendo. In controvenzione la madre Badessa, alla quale sola appartiene penitenziare, farà genuflettere la manchevole in mezzo al Coro senza appoggio per un tempo discreto per la prima volta, per la seconda la manderà in pane e acqua, e la terza volta poi la farà genuflettere in refettorio, in pane e acqua, dandone parole a Monsignor Ill.mo. Baderà la Madre Badessa o chi presiede al Coro, a vedere l’ordinario prima di farsi iniziare l’Ufficio, per le Orazioni e Lezioni, che occorrono e così non esserci motivi di disguido. Non mai permetterà la Badessa o chi presiede al coro sospender l’Ufficio o di riprincipiar da capo nel caso una religiosa o novizia verrà che è principiato il Coro.
- La lettura in Refettorio eseguendosi a seconda dei Nostri Editti ed essendo la medesima un cibo dell’anima, dovrà la medesima eseguirsi sia alla sopratavola, leggendosi pian piano e facendosi pausa, acciò si dia tempo a riflettere a chi sente. La novizia o altra che leggerà, mangerà alla seconda tavola contemporaneamente alle altre di seconda tavola, ma a tavola divisa e sotto la vigilanza della Madre Badessa. Le Converse, che sono libere, specialmente quando si legge la Regola, mangeranno riunite a tutte l’altre religiose e nel luogo infimo del Refettorio.
- Qualunque monaca o altra dovendo entrare nella stanza d’una qualunque, deve picchiare la porta e dopo intesa resposta affermativa entrare, potendosi dire “Sia lodato Gesù e Maria”. Da ciò s’eccentua la Superiora la quale di quando in quando deve dare delle sorprese, per osservare se chi è rinchiusa è osservante delle regole e prevenzioni di S. Visita.
- Ogni religiosa inferma dovendosi confessare e comunicvare al letto dovrà avere un vestito a maniche netto e lavato e si procurerà eseguire lo stesso lla presenza del medico.
- Restano espressamente proibiti i così detti mantisini sopra dell’abito di qualunque colore fossero alle religiose, professe, converse, novizie, potendolo usare le converse, solo nell’atto che sono in cucina o che puliscono foglie o altro ma immediatamente terminata tale operazione, subito se lo toglieranno. Come del pari le Religiose o le Novizie non useranno in testa facciolettoni specialmente in tempo d’està essendo segno di vanità, in tempo d’inverno poi pe’ freddi potranno usare un facciolettone di lana tutto nero di poca spesa dovendosi eliminare ogni minimo segno di vanità dalle Religiose tutte.
- Restano proibite le vostre nelle stanze delle Religiose potendo esser coverte di tela di colore scuro. In detta stanza dovranno rimanere tre sedie ed un tavolino, dovendosi essere in ogni stanza un crocifisso ed un piccol vaso con acqua santa e qualch’altra immagine.
- La chiave della stanza di deposito di cose giornaliere di ciascuna Religiosa suol trattenersi dalla Madre Badessa e dovendosi prendere cosa di qualche religiosa, sarà presente la madre badessa, e le casse così dette delle particolari religiose esistenti in detta stanza non dovranno chiudersi con chiave.
- Il Confessore dovrà sentire le confessioni di ciascuna religiosa, e di qualunque altra che si ritrova in Monistero, in giro, principiando dalla Superiora fino all’ultima serva e dopo intesa questa principiare da capo in giro, e nel caso che per qualche circostanza alcuna non potraà confessarsi quando li spetta il giro, anderà subito quando potrà venendo preferita alla Superiora istessa senza attendere il nuovo giro, ricordando al confessore d’ascoltare la colpa di ciascuna e non dare retta ad accuse, che una possa fare dell’altra, anche se fosse la Superiora stessa, dovendo dire, che si diriggesse dal vescovo o Vicario qualora affacciasse di non essere intese le di lei ammonizioni, e se non fosse la Superiora, ma altra che accusasse darà per risposta il confessore che si diriggesse dalla Madre Badessa, o da Mons. Ill.mo o vicario, e ciò per assicurare ciascuna religiosa a manifestare con tutta confidenza, sincerità al confessore la propria colpa, senza che s’alteri loi spirito con sospetti e temerarii giudizii, e non si distragga la penitente dal concepire un vero dolore delle proprie mancanze nel confessionile, ricordando che Clemente VIII ed Urbano VIII proibirono a’ Regolari di servirsi della notizia avuta in Confessione per esteriore governo, acciò non si rende odiosa una azione si santa e si conservi il rispetto dovuto ad un luogo si tremendo qual è il Confessionile.
- Resta a cura della Madre Badessa l’esatta osservanza di quanto è prescritto nella presente notificazione sotto la di Lei stretta responsabilità per la parte che riguarda la di Lei vigilanza per l’esecuzione.
Dato dal Palazzo Vescovile in Cotrone in tempo di S. Visita il dì 24 maggio 1839. Leonardo Vescovo di Cotrone.”
*****
“Cotrone 13 Marzo 1891
All’Illus.ma Suor Abbadessa delle Clarisse. Cotrone
Ill.ma Madre Abbadessa
In esito della Santa Visita pastorale eseguita in cotesto Monastero li occorre dare talune disposizioni, che riguardano la monastica disciplina, e le comunico a Lei per farle note alle sue Dipendenti, e procurarne l’esatta osservanza.
- Le celle che hanno la finestra sporgente sulla strada, o che hanno delle case a vista, o pure vi si possano ascoltare le parole, e discorsi che si dicono e si fanno nella strada sottoposta alle dette celle, si debbono lasciare libere e le persone che attualmente vi abitano passeranno in altra cella, la quale non abbia simili inconvenienti. Tale disposizione è di grave importanza e si dovrà eseguire nel minor termine possibile.
- Il complesso delle regole in grande si dovranno leggere due volte al mese, e quelle in piccolo formulate da noi si leggeranno in ogni venerdì di ciascuna settimana
- Allorchè si ricevono visite dalla ruota di fronte alla porta d’ingresso, dovrà tenersi chiusa la porta interna nel fine di non essere vedute le persone, che attingono acqua dalla cisterna, e non dar luogo a curiosità da parte di coloro che sono all’esterno della grata.
- Non sarà lecito alle Domestiche ricevere visite da persone estranee e non legate in parentela al dilà di una volta all’anno, e non si potranno prolungare più di mezzora. Tali visite si permettono alle sole donne, le quali non debbono portare con sé uomini di qualunque età. Le Domestiche nel ricevere delle visite debbono tenere il capo coperto e debbono evitare dimande e discorsi inutili.
- Se le Domestiche ricevessero parenti o consanguinei o affini in 2 grado, questi non possono condurre estranei di qualunque sesso, siano pure di piccola età.
- Occorrendo di ricevere parenti sino al secondo grado, i ricevimenti saranno permessi solo due volte al mese, tranne se fossero genitori, che potranno essere ricevuti anche più frequentemente, ma non al di là di ogni otto giorni.
- Le Religiose che riceveranno visite da persone estranee terranno il volto coperto col velo.
- Il silenzio dovrà essere osservato con maggiore esattezza anche nel tempo della fatica e si sorveglierà da chi ne ha il dovere e la responsabilità
- La porticina del comunichino si aprirà da chi sarà la prima a comunicarsi e si chiuderà da chi farà l’ultima la Comunione immediatamente.
- Il piattino della Comunione si terrà sull’altare, ove è il sacro Ciborio. Terminata la Comunione, il Sacerdote la caverà fuori del comunichino immediatamente per vedere se siavi alcun frammento, e riporlo nella pisside.
- La chiave della porticina interna del finestrino si conserverà dalla Badessa e quella della esterna dal Sacerdote che fa la Comunione.
Lettere dalla clausura
“Supplica al vescovo di Crotone Giuseppe Capocchiani della badessa Maria Rafaela Olivieri.
Cotrone 29 marzo 1784.
Ill.mo e Revendiss.mo
La Badessa del Venerabile Monastero di questa città di Cotrone Suor Maria Rafaela Olivieri riverentemente espone a V.a Ill.ma e R.ma, qualmente dappiù tempo a avuta intenzione di ricorrere per essere levato dalla economia, e procura di d.o Monastero il can.co D. Vincenzo Smerz per aver negletto, e poco curato l’interessi di d.to luogo pio, il che sinora non à eseguito lusingandosi l’oratrice che il d.o procuratore avesse potuto cambiar sistema con disimpegnare più diligentemente alla sua carica; ma siccome egli tuttavia persiste in tal negligenza, la quale ridonda in positivo danno del monastero, tanto più; che trovandopsi d.to Can.co D. Vincenzo Smerz occupato in altre cariche non puote tutte con ugual diligenza disimpegnare; Supplica perciò V.s Ill.ma e R.ma di ordinare che subito dia li conti della amministrazione del monastero sud.to e fra tanto lo proveda di altro sogetto da poter dissimpegnare con abilità ed efficacia la di lui procura o sia economia. In oltre
Trovandosi l’oratrice mal sodisfatta, e poco contenta della reddizione dei passati conti data da d.to Can.co Smerz, perché giammai ella è stata intesa di quelle tali partite di esito e di introito, che ella sola poteva giudicare della realtà di esse, particolarmente per le spese fatte nella nuova fabrica di d.to monastero, perciò istantemente la Supplica di ordinare la nuova reddizione, e visura dei conti sud.ti. Tanto spera ottenere da V.s Ill.ma e R.ma per essere cosa giusta, e perché trattasi dei vantaggi di un povero monastero, la finanza del quale oltre di essere troppo ristretto, trovasi disordinate, e sconvolte e il tutto l’avera ut Deus.”
*****
“A Sua Ecc.a R.ma Monsig.r Vescovo di Cotrone. Palazzo
Monastero del Clarisse di Cotrone 2 Giug.o 1847
Ecc.a R.mo
D. Fabrizio mi fa conoscere che siete un po’ dispiaciuto per la lettera, che ieri vi fece riguardo alla Sig.a Astorino, io e le moniche mai abbiamo inteso contrariare la vostra volontà percui si faccia quanto Voi volete perché noi stiamo contente tutte percui disfriagate la nota di ieri. In questa mattina vi attendiamo per confermarvi la nostra volontà, che abbiamo di fare quanto Voi volete.
Vi bacio la mano con tutta la comunità. Benediteci e sono
V.a Ubb.ma Sudd.ta Suor M. a Olivieri”
*****
“A Sua Ecc.a R.ma Monsig.r Vescovo di Cotrone. Palazzo.
Monastero del Clarisse 2 Giug.o 1847
Ecc.a R.mo
Siamo assai mortificate perché Voi vi dimostrate così dispiaciuto con noi, finalmente dovete compatirci perché siamo donne, e di poco esperienza. Allorché vi era Bottazzi ci faceva palese la vostra idea, ma adesso regolandoci da noi stesse non sappiamo risolverci, quindi e perciò dovete più scusarci in qualche mancanza, che da noi osservate. Certo che se sapea, che Voi restavate dispiaciuto in questo modo, ieri non mi palesava nella mia lettera di quella fatta maniera, del resto ingenuamente, e con tutta sincerità vi fo conoscere, che si io che le monache tutte accettiamo la Astorino con tutto piacere, percui vi prego fate disbrigare le carte, e scrivete subito, e finitela, e perdonateci, e subito vi attendiamo al parlatorio.
Vi bacio la mano con tutta la comunità. Benediteci e sono
V.a Ubb.ma sudd.ta Suor M.a E. Olivieri Badessa”
*****
“A Sua Ecc.a R.ma Monsig.r Vescovo di Cotrone. Palazzo
Ecc.a R.mo
Vi avea già scritto con farvi conoscere, che mai abbiamo inteso contradire la vostra volontà con con la lettera, che ieri vi fece. Voi avete ragione quanto ci dite alla vostra lettera speriamo portarci meglio per l’avvenire. Non è stata per fine di nobiltà perché lungi da noi un tal pensiero. Percui accettiamo la Sig.a Astorina con tutto piacere e si faccia quanto Voi volete perché noi sempre vi siamo state ubbidiente, e vi saremo fino alla fino con l’aiuto del nostro sposo Gesù. Scusateci, e in questa mattina vi attendiamo.
Vi bacio la mano con tutta la comunità. Benediteci e sono
V.a Ubb.ma sudd.a Suor M.a E. Olivieri”
Note
[i] 1784, Cotrone. Inventario del monastero delle Monache di S.ta Chiara. In carte scritte n. ventuno. C.S. n. 21, ASCZ. 268/4.
[ii] Vaccaro A., Kroton, Ed. Mit 1965, II, p. 255.
[iii] Sempre in questo anno risultano affittate per 29 anni i territori a granicoltura estensiva di “La Ferrara” di tom. 90 a D. Annibale Montalcini, e di “Lampamaro” a G. Lucifero. La corsa all’accaparramento delle terre a grano in questo anno è intensa ed è dettata dalla buona rendita della granicoltura. La C. S. fornì di fatto nel Crotonese, dopo una relativa stabilità della proprietà durante il sec. XVIII, la prima vera occasione ai nobili per la estensione delle loro proprietà. Questa operazione portò al formarsi ed al consolidarsi di una forma economica nuova: il latifondo. Le terre accumulate in mano a pochi proprietari aggravarono e depauperarono sempre di più i piccoli proprietari e spinsero i braccianti fuori dalle campagne nei paesi – ghetto da dove ne uscivano solo per i grandi lavori della raccolta del grano.
[iv] AVC, Stato attuale delle fabbriche de’ monisteri, conventi e luoghi pii della città di Cotrone che si consegnano al Regio amministratore D. Giacomo d’Aragona li due giugno 1790.
[v] Nel 1792 il monastero era abitato da nove monache e da due educande, che vivevano senza clausura, senza badessa e non osservando le regole della fondatrice. ASV, Rel. Lim. Ludovico Ludovici, 1795.
[vi] Stato attuale ossia lista di carico formata dal signor ispettore D. Domenico Ciaraldi avvocato fiscale della Cassa Sacra nella Regia Giunta di Catanzaro per l’amministrazione del distretto della città di Cotrone e Papanice conferita da S. M. al Signor D. Giacomo d’Aragona d’Ajerbe e consegnata al medesimo nel dì due giugno 1790.
[vii] Di regola il rinnovo delle cariche era ogni tre anni ed ad esso era legato la stipola dei contratti. AVC, Platee del monastero.
[viii] Successivamente gli estagli dei fondi rustici che prima “si facevano tutti per Mulerà, all’infuori se gli effetti erano fatti agli industrianti di animali pecorini, che avevano domicilio nella provincia di Cosenza, si sogliono esigere nelle fiere di S. Janni e Mulerà (III domenica di maggio e 8 settembre) oppure metà a S. Janni e metà a Mulerà; ma si possono convenire anche in epoche diverse” (3 rate: a Natale, Pasqua e agosto, specie per gli orti). I fitti dei fondi iniziavano il 15 agosto o il primo settembre. La durata era in genere di tre anni, specie per i fondi in subaffitto a intenso sfruttamento (un anno a maggese e due a grano) oppure a rotazione tre anni a pascolo a “uso di erba” e tre anni a semina, a grano o ad ogni uso. Il pagamento avveniva in denaro oppure, specie durante i sec. XVI-XVII, in salme e tomoli di grano, e nel caso di fitto a pascolo, in denaro più forme di “cacio in piccolo” (AVC, Cart. 109, 110, 117). Il conduttore si obbligava “a custodire e far custodire i fondi fittatigli da buon padre di famiglia rispettare e far rispettare i boschi e di non danneggiare ne far danneggiare gli alberi fruttiferi, come querce, olivastri e soveri specialmente, restandogli accordato il solo legname di lentisci e di altri infruttiferi per uso delle mandre e masserie”, poteva inoltre essergli data “la facultà di potere fidare, associare e subaffittare” i fondi. Contratto tra P. Bottazzi procuratore della mensa vescovile e D .G. Zurlo Galluccio per i fitti dei fondi dei fondi “Salica “ e “Ritani” (AVC, Cotrone 31. 8. 1840).
[ix] Stato attuale ossia lista di carico formata dal signor ispettore D. Domenico Ciaraldi avvocato fiscale della Cassa Sacra nella Regia Giunta di Catanzaro per l’amministrazione del distretto della città di Cotrone e Papanice conferita da S. M. al Signor D. Giacomo d’Aragona d’Ajerbe e consegnata al medesimo nel dì due giugno 1790, pp. 4-16.
[x] In una supplica del 1814 si chiede la riconferma della badessa Maria Giuseppa Lucifero già eletta nel 1811. “Ad una tale conferma non concorrerebbero due sole monache cioè M. Raffaela Olivieri, che ha qualche pretenzione pel badessato e suor Mariantonia Lucifero cugina e dipendente di detta Olivieri”. AVC, Supplica al vescovo delle suore Caterina Ventura, M. Serafina Milelli, M. Elisabetta d’Aragona, M. Giuseppa Zurlo, M. Giuseppa Galasso e Teresa Galasso, Cart. 109.
[xi] Nel 1793 procede l’opera di concentrazione della terra in poche mani. Sono infatti censuiti dalla C. S. al marchese Lucifero, i seguenti territori appartenenti al monastero: Lavaturo, Zimpano, e Lampamaro (poi affrancato definitivamente da D. Fabrizio Lucifero il primo aprile 1803); è censuito al barone Francesco Gallucci il fondo S. Chiarella della Garruba (affrancata poi dalla Cassa di Ammortizzazione il 28 marzo 1813); il fondo Tuvolo è censuito a D. Carlo Ventura nel 1795 (AVC, Catasto Cotrone, 1793, ff. 180-181; Platee del Monastero 1807-1833).
[xii] Su interessamento del vescovo la C. S. intervenne e furono riparati i tetti, le pareti, le transenne, il pavimento e le finestre del monastero. ASV, Rel. Lim. Ludovico Ludovici, 1795.
[xiii] AVC, Vertenza tra il procuratore del monastero di S. Chiara e gli eredi del canonico Smerz.
[xiv] “Anno Domini nostri Jesu Christi MDCCLXXXXVII die vigesima septima mensis Julii ego Fr. Ludovicus Ludovici Episcopus Crotonensis consecravi Altare hoc in honorem S. Clarae Virginis et Reliquias SS. Martyrum Constantii Simplicii et Feliciani in eo inclusi, et singulis Christifidelibus hodie unum annum et in die anniversario consecrationis huiusmodi ipsam visitantibus quadraginta dies de vera indulgentia in forma Ecclesiae consueta, concessi. Ego Fr. Ludovicus Episcopus Crotonensis”, AVC.
[xv] AVC, Pel monastero di S. Chiara di Cotrone contro il barone Berlingieri, 1843.
[xvi] AVC, Stato delle anime, 1800/1801.
[xvii] Lucifero A., Il 1799 nel Regno di Napoli in generale ed in Cotrone in particolare, Cotrone 1910.
[xviii] Pieri P., Ancora di Cotrone nel 1799, Napoli 1924.
[xix] Tutti i terreni di origine feudale ed ecclesiastica di Crotone e dei casali vicini erano aperti ai cittadini tutto l’anno per “legnare, petrare, acquare” ed erano soggetti allo “sbarro”, cioè al libero pascolo da maggio alle prime piogge autunnali. Su queste terre i cittadini erano esenti da qualsiasi pagamento mentre i forestieri pagavano la “fida”. Secondo le antiche consuetudini della città, i terreni soggetti a sbarro erano aperti al pascolo dal primo di maggio fino al “banno, che si faceva pubblicamente dopo la terza pioggia autunnale. Secondo il Galanti fino al 15 novembre per le vacche ed al 15 dicembre per i buoi; secondo il Masci da aprile ad ottobre. I baroni per contrastare i diritti della popolazione chiudevano i terreni con fossi e mura assoldando sgherri e guardiani. Galanti M. G., Giornale di viaggio in Calabria (1792), SEN Napoli 1982, pp. 121-122; Angelo Masci, Rapporto di riscontro al Ministro, Catanzaro 3.4.1811.
[xx] Dalla platea del 1807 risulta che il monastero ha entrate per ducati 1411 e grana 70, ed uscite per ducati 1382 grana 8 e cavalli 3. AVC, Platea del Monastero 1807.
[xxi] “A 6 giugno 1808 … Siccome questa Università a 26 febbraio 1807, si servì per la fornitura militare di quel tempo di ducati 242.40 che il venerabile monastero di S. Chiara doveva depositare in Monteleone, così oggi venendo astretto detto venerabile monastero a pagare duc. 100, per una bancale intestata al signor controloro Sarlo, il Procuratore del medesimo monastero mi ha chiesto il sodisfacimento per ora di ducati 100 per non essere vessato il suo principale”. Lucifero A., Cotrone dal 1800 al 1808, Pirozzi 1922, p. 660.
[xxii] Caldora U., Calabria napoleonica (1806-1815), Napoli 1960, pp. 199, 224.
[xxiii] AVC, Monastero di S. Chiara, Platea 1811.
[xxiv] Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949.
[xxv] Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949.
[xxvi] Lettera di Angelo Masci, Catanzaro 26.3.1811.
[xxvii] AVC, Platea del Monastero di S. Chiara, 1812.
[xxviii] Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949.
[xxix] Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949.
[xxx] Platee del monastero 1807-1833.
[xxxi] Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949.
[xxxii] Nel 1862 il sindaco Morelli dichiarava che il comune pagava l’annuo contributo fondiario sul fondo “S. Chiarella della Ferrara”, pur essendo questo fondo sempre rimasto in proprietà al monastero. ACC, Cons. Com. Crotone, 1862.
[xxxiii] Platee del monastero 1807-1833. Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949, f. 21.
[xxxiv] Un esposto del Capitolo e del clero di Crotone faceva presente nel 1818, che la Mensa Vescovile aveva sofferto solo “qualche discrepito nella ripartizione delle terre fatta nel 1811”. AVC, Cotrone 17.4.1818, Esposto del Capitolo e clero della chiesa cattedrale al re.
[xxxv] Il Sottointendente di Cotrone informava il ministro Santangelo che “nel 1811 i tentativi, le minacce ed altri simili mezzi prevalsero nell’animo dei quotisti a cedere le quote ai prepotenti, non solo per l’illusione che ricevevano denaro, che loro si offriva in compenso, ma anche perché mancavano loro i mezzi di semina”. Caldora U., Calabria napoleonica (1806-1815), Napoli 1960, p. 170; Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949, ff. 14 -15.
[xxxvi] Di queste tom. 1415 fanno parte tom. 450 che sono oggetto di una lunga vertenza tra il monastero ed il Coccari prima, e poi il Berlingieri. Il fondo oggetto della vertenza è quello di “Prasinace e Carbonarella”, che preso in fitto risulta poi in enfiteusi. Il fondo non ritornerà più al monastero ma sarà ceduto sottoprezzo al Berlingieri nel 1864. Pel Monastero di S. Chiara di Cotrone contro il Barone Berlingieri, Napoli 7 settembre 1843.
[xxxvii] Robertazzi E., Stato e chiesa nelle Due Sicilie, in Ricerche di Storia Sociale e Religiosa, n.1, 1972, p. 409.
[xxxviii] Robertazzi E., Stato e chiesa nelle Due Sicilie, in Ricerche di Storia Sociale e Religiosa, n.1, 1972, pp. 410-411.
[xxxix] “… la chiesa vescovile … conserva una rendita annua di Duc. Tremila ed ottocento circa, rendita piucchè bastevole pel mantenimento del vescovo (a termini dell’art. 4 del med. Concordato). E se il Ricevitore de’ Demanij di Cotrone porta la rendita d’essa Mensa in somma minore, ciò è derivato dai di lui intrighi per aver dato fin dal 1813 in affitto de’ fondi a ragione di grana 55 il moggio, quando il loro merito era estramente maggiore, e per aver trascurato di esigere le decime d’un fondo specioso detto Buciafaro, di moggi 800, tutto in coltura … E ancor da rimarcarsi che le rendite effettive della medesima Mensa sorpassa di molto li duc. 3.800; giacchè la rendita imponibile ne’ registri pubblici fu assegnata con molto riguardo alla stessa Mensa”. AVC, Esposto del Capitolo e Clero della chiesa Cattedrale al Re, Cotrone 17.4.1818.
[xl] Vertenze del monastero contro il cav. Pelliccia, Giuseppe Torchia e Maccarrone, eredi Lerosi, eredi Oliverio detto di Presterà, Martire, Grimaldi ed Aragona poi Barracco, Camposano, Montefusco, Maria Carvello e Ferdinando Adamo, D. Gregorio Montalcini, Prestinici ed altri, eredi D. Giuseppe Falbo, Barone Lucifero, D. Pietro Berlingieri, Eredi Fernandes, ecc. AVC, Consegna delle Carte del monastero al sacerdote Fabrizio Zurlo, Cart. 109, 1110.
[xli] Il barone Berlingieri trasse “partito dalla buona intelligenza, che eravi tra lo stesso e gli amministratori di quell’epoca del monastero”, infatti nel 1814 “il fratello del Barone era governatore del Monastero”. Pel monastero di S. Chiara di Cotrone contro il Barone Berlingieri, Napoli 7 settembre 1843, f. 7. Platee del monastero 1819, 1820.
[xlii] AVC, Istanza del Procuratore del Monastero di S. Chiara D. Fabrizio Zurlo Soda al Sindaco di Cotrone D. Alfonso Lucifero, Cotrone, 24.12. 1838.
[xliii] In data 17.7.1855, il re approvò il parere espresso dalla Gran Corte in base al quale la Mensa Vescovile di Crotone, dopo lunga vertenza, rientrò in possesso del quarto del demanio “Salica”. Salica, gabella di salmate 100, nella quale sorgeva l’antico monastero greco di S. Nicola, era parte degli antichi privilegi della chiesa di Isola, confermati al tempo dei Normanni. A metà del sec. XVI, la gabella risultava coperta di boschi (querce, olivastri, soveri, lentisci) e inselvatichita e si poteva ancora vedere la vecchia chiesa. Nel 1812 il comune di Crotone, come da ordinanza del Masci, era stato immesso nel possesso del quarto del fondo. Contro tale decisione ricorse la Mensa Vescovile di Crotone alla quale era stata unita nel 1818 quella di Isola. Dopo l’Unità il fondo fu venduto dall’Asse Ecclesiastico ed 1/3 fu comprato nel 1868 dal barone Luigi Berlingieri. Famiglia che lo tenne fino al 1950, quando fu diviso tra i quotisti O.V.S. AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città di Isola, Visita Mons. Caracciolo, 1575. Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949.
[xliv] Il decreto del 2.12.1838 estese ai monasteri la facoltà di beneficiare “dei ruoli esecutivi dei debitori di rendite costituite”, che i reali decreti del 2.5.1823 e 19 aprile, 28 giugno e 16 novembre 1824, avevano concesso solo alle Amministrazioni Diocesane, ai titolari de’ Benefici, ai seminari, al Patrimonio regolare e alle chiese ricettizie. Ministro e Real Segr. di Stato degli Aff. Eccl. N. 250, Napoli 2.12.1838.
[xlv] Dal 1807 al 1832 le entrate effettive del monastero furono in media annualmente di duc. 1396, contro le entrate teoriche di duc. 1555, cioè il 10% in meno. Platee del monastero 1807-1833.
[xlvi] “Il censo annuo non si paga più avendo il monastero fatto acquisto dagli eredi di Gio. Pietro Messina della casa sopra della quale era infisso il detto canone nel luglio 1819”. Platea del monastero 1820.
[xlvii] Il marchese Lucifero per capitale di Duc. 400, doveva 20 ducati annui. Per decreto della Giudicatura di Pace nel 1810 venne ridotto a Duc. 200 cioè a duc. 10 annui. Platea del monastero 1812.
[xlviii] Nel 1829 D. Francesco Sculco restituisce il capitale di Duc. 400 sul quale pagava un annuo censo di duc. 32 (8%), con decreto del 2.12.1829 si permette al monastero di impiegare il capitale restituito alla ragione del 7% “liberi da ogni ritenuta” coi parroci, zio e nipote, D. Gaspare e D. Vincenzo Smerz. Platea del monastero 1831. Valente G., La Calabria nella legislazione Borbonica, 1977, p. 161.
[xlix] La più importante è dovuta al barone Francesco Gallucci che nel 1831, comprò i fondi Zigari, Margarita e la Garrubba di Nao, da Gregorio Montalcini sui quali erano infissi Duc. 2016:76 del monastero. Platea del monastero 1832.
[l] Durata dei contratti di fitto dei fondi del monastero (1800-1832): Minore di un anno (contratti n. 6, uso pascolo); 1 anno contratti n. 9; 2 anni contratti n. 3; 3 anni contratti n. 66; 4 anni contratti n. 2; 5 anni nessuno; 6 anni contratti n. 14; 29 anni contratti n. 2. Platee del monastero 1807-1833.
[li] Dei fondi censuiti dall’abolita C.S. “Lampamaro” censuito nel 1793 a Lucifero, è affrancato nel 1803 dal Monte Frumentario di Catanzaro da Fabrizio Lucifero; “S: Chiarella della Garrubba” (tom. 30), censuita nel 1793 al barone Gallucci, è affrancata dalla stesso dalla Cassa di Ammortizzazione nel 1810; “Zimpano” (tom. 103) e “suor Laudonia” (tom. 18), censuite entrambe nel 1793 al marchese Lucifero, rimangono censuite al marchese assieme a “Lavaturo” (tom. 160), un quarto del quale entra in ripartizione; infine “Tuvolo” (tom. 70), censuito nel 1795 a D. Carlo Ventura, è affrancato nel 1817 dalla Cassa di Ammortizzazione di Napoli da D. Pietro Berlingieri, che si obbliga però a pagare una annua rendita al 5% al monastero. Platee del monastero 1807-1833.
[lii] Le spese erano suddivise fino alla platea del 1828 in: 1) Pesi di messe, 2) pesi di annui canoni, 3) altri pesi, 4) esito di compra di majorca, grano e carboni, 5) esito per la fondiaria, 6) esito del procuratore fatto per conto del monastero in cui erano compresi anche i ricevi della badessa. Dal 1831 le spese risultano divise in: 1) stipendi, 2) spese varie, 3) spese straordinarie, 4) spese imprevedute.
[liii] Con rescritto della curia vescovile del 28.8. 1829. Platea del monastero 1829.
[liv] Nel 1820 sono duc. 221:96:6; nel 1821 duc. 31:31, nel 1823 duc. 97:59, nel 1824 duc. 141:79:9, nel 1826 duc. 324:95, nel 1828 duc. 63:91, nel 1831 duc. 440:91, nel 1832 duc. 629:89 + duc. 1000 “presi dal deposito per riattare il monastero danneggiato dal tremoto e per costruire le baracche per uso di monache”. Platee del monastero 1820-1833.
[lv] Si riparano i danni causati dal terremoto del 1783 e dall’abbandono: si restaurano le muraglie all’interno ed all’esterno, si ripara il tetto della chiesa (1828), si rifà la copertura del belvedere ed il palterra sopra la cisterna (1831). Si costruisce il “Santo sepolcro” che è pitturato con 18 figure dal capomastro Giuseppe Spanò e da Francesco Romano (1824), ed il pittore Domenico Russo ritocca i quadri di S. Giuseppe e dell’Assunta (1823). Nel 1807 operano il mastro falegname Pasquale Cirrelli ed il mastro Nicola Russo.
[lvi] Dal 1831 invece di duc. 1:50, duc. 1:20. Platea del monastero 1831.
[lvii] Le messe erano: 71 per domeniche e feste, 104 per Carlo Sillano, 43 per Lucrezia Pelusio, 520 per Suriano e 43 per Laura Pelusio. Platee del monastero 1807-1833.
[lviii] Nel 1820 era di duc. 203:67:8, nel 1821 di duc. 206:07:2, nel 1823 di duc. 207:68, nel 1824 di duc. 219:78, nel 1826 di duc. 209:56, nel 1828 di duc. 209:02, nel 1831 di duc. 210:41 e nel 1832 di duc. 194:35. Platee del monastero, 1820-1833.
[lix] Fanno parte di questo capitolo anche le spese per le feste della comunità. Le principali erano: la festa della Porziuncola o di S. Francesco (duc. 20:30), la festa di S. Chiara (duc. 5:45), l’acquisto di mortaretti per la processione del Corpus Domini (duc. 2:60) e la festa della B.V. detta la Madonna degli Angeli (duc. 2:60). Platee del monastero, 1807-1833.
[lx] La C. S. soppresse, sospese ed amministrò i beni oltre che dei conventi della città (Osservanti, Cappuccini, Conventuali, Clarisse), anche di 15 luoghi pii cittadini e di altri enti ecclesiastici, che avevano proprietà nel territorio di Crotone (Badia di S. Maria di Altilia, convento dei Teatini di Catanzaro, convento dei Certosini di S. Stefano del Bosco, convento dei Domenicani di Cutro, Monastero di S. Chiara di Cutro, Monastero di S. Chiara di Catanzaro, ecc.). Per quanto riguarda le proprietà degli enti ecclesiastici cittadini, la C. S. nel 1785 provvide ad una prima vendita di 20 fondi e di 20 tra case e magazzini, che rappresentavano circa il 20% della rendita annua degli enti ecclesiastici sopressi o sospesi (duc. 674 su duc. 3456). I maggiori acquirenti furono: il marchese G. M. Lucifero (duc. 4648), D. B. Suriano (duc. 2780), D. B. Zurlo (duc. 1650), D. B. Millelli (duc. 1301), il barone F. A. Lucifero (duc. 950), D. C. Oliverio (duc. 824), D. F. Gallucci (duc. 720), ecc. Il pagamento era fissato tra i 5 ed i 10 anni con versamento in 2 o 4 rate ed un interesse al 4%, ma nel 1790 quasi nessuna rata era stata pagata. Nel 1793 e nel 1795 intervennero ancora sul mercato dei fondi C. S. con acquisti o con contratti a censo: il marchese G. Lucifero (duc. 7350), M. Grimaldi (duc. 3167:75), S. Orsini, C. Ventura, il barone F. Gallucci, ecc. A queste vendite sono da aggiungere quelle riguardanti gli enti ecclesiastici forestieri che avevano proprietà nel territorio di Crotone, e che furono acquistate da Barracco, Lucifero, Bisceglie e Perri, e tutta l’attività riguardante i censi bollari. Nel 1790 la C.S. amministrava ben 131 censi per un totale di duc. 17.504 degli enti ecclesiastici della città soppressi o sospesi. Collettiva generale delle rendite liquide de’ luoghi pii soppressi e sospesi nel distretto di Cotrone, 1790. Principato F., Comune di Crotone. Relazione generale istruttoria sulle sistemazioni di demani, Catanzaro 1949. Stato attuale ossia lista di carico formata dal signor ispettore D. Domenico Ciaraldi avvocato fiscale della Cassa Sacra nella Regia Giunta di Catanzaro per l’amministrazione del distretto della città di Cotrone e Papanice conferita da S. M. al Signor D. Giacomo d’Aragona d’Ajerbe e consegnata al medesimo nel dì due giugno 1790. Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria. La privatizzazione delle terre ecclesiastiche (1784-1815). Catasto Cotrone 1793.
[lxi] Dopo le due suore M. Giuseppa e M. Scolastica Lamannis (1806-1807), familiari del cantore della cattedrale Bernardino Lamanni, il 14.1.1812 entrano come educande Teresa e Diana Galasso di Cutro, figlie del fu Pasquale Galasso di Crotone. In questi anni sono presenti nel monastero le clarisse Maria Angela Galasso (1814-1832), Maria Giuseppa Galasso (1814) e Maria Teresa Galasso (1816-1827). Platee del monastero 1807-1833.
[lxii] Zaccaria Boccardi fu vescovo di Crotone dal 1829 al 1833, anno della morte. Egli, tuttavia, non prese mai possesso della sua diocesi, residendo a Salerno e delegando ad un vicario la cura della diocesi. Capialbi V., La continuazione all’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovati di Calabria: Cotrone e Isola, in A.S.C. 1914, pp. 517-519.
[lxiii] “Voi non dovete avere veruno scrupolo se mancasi all’osservanza delle Costituzioni, perché vi è la dispensa. Dovete accogliere le novizie con tutto il piacere, e colla carità religiosa trattarle in tutto e come maestra istruirle nella condotta religiosa, che debbono tenere. Non dovete però pretendere certe date osservanze, che a persone di età avanzata riescono di grave peso, e di molestia, bastando l’osservanza delle cose essenziali per lo stato di monache”. Lettera del vescovo Z. Boccardi a suor Mariangela Galasso, Napoli 27.4.1830.
[lxiv] Lettera del vescovo Z. Boccardi al vicario G. M. Sculco, Napoli 27.4.1830.
[lxv] Sempre nel 1830 erano stati mandati a Napoli per mano di D. Pietro Berlingieri, e per ordine del vicario G. M. Sculco, ducati sessanta che dovevano servire per il viaggio delle due figlie del tenente Mandile “dal monastero di Lecce in questo monastero di S. Chiara in qualità di educatrici, ma tale venuta non potè effettuarsi”. Avverrà tuttavia in seguito. Inoltre il 24 giugno 1830, suor Mariangela Galasso, funzionante di abadessa, fa presente che la serva del monastero Isabella Rizzo si è determinata di licenziarsi ed essendosi trovata la donzella vergine Caterina Racco, chiede di poterla rimpiazzare. Platea del monastero 1830.
[lxvi] Il documento era firmato da Pietro Berlingieri, Marchese Lucifero, Mirtillo Grimaldi, Pietro Paolo Venturi, Michele Lucifero, Cav. Pietro Maria Zurlo, Lelio Montalcini, Carlo Berlingieri, Nicola Zurlo Soda, Luigi Zurlo Soda, Francesco Barone Galluccio, Filippo Albani, Gaetano Zurlo Galluccio, Domenico Zurlo, Antonio Milelli, Francesco Antonio Sculco, Fabrizio Suriano. AVC, Lettera al vescovo dei nobili primari, Cotrone 3.7.1830, Atti per l’ingresso della D.a Lucrezia Avarelli nel monastero di S. Chiara in qualità di novizia, Cart. 109.
[lxvii] Dall’analisi di 102 contratti stipulati tra il 1800 ed il 1832 e riguardanti il fitto dei fondi del monastero, risulta che quattro sole persone (Marchese Lucifero, Coccari Nicola, Berlingieri Pietro e Messina Giuseppe) hanno in fitto il 57% delle terre, mentre il resto è suddiviso tra 45 persone. Platee del monastero 1807-1833.
[lxviii] All’interno del monastero ci sono 2 cisterne, che sono pulite ogni anno e raccolgono l’acqua piovana, un giardinello o piccolo orto con pila e pozzo. Ci sono inoltre tre portoni esterni, un magazzino e la porta dell’orto. Platee del monastero 1807-1833.
[lxix] Il belvedere ha 12 finestroni ed il campanile ha tre campane con le seguenti iscrizioni: + IHS MCCCCLXXVI; + S. CLARA ORA PRO NOBIS A. D. 1692 Gio. Ant. PALMIERI F.; + IESU MARIA IO. DE NA.PLI DE GALLIPOLI FEC. 1668. In quest’ultima ci sono tre ovali (simbolo eucaristico, S. Chiara con pisside in mano e Madonna con bambino in braccio).
[lxx] “Nell’aprile del 1833, i massari di Crotone e Papanice inviarono una supplica nella quale affermavano tra l’altro: “riammassate tutte le terre in quattro, o cinque mani per effetto della progressiva e sempre crescente dissolazione dei piccoli proprietari, è stato facile di creare un mostruoso monopolio diretto a sacrificare la numerosa classe degli industrianti e degli agricoltori, i quali d’anno, in anno precipitano da fallenza in fallenza sino a che compiuti i loro danno altro non resti che che il ristrettissimo numero dei grandi proprietari; ed allora si che altro partito non rimane che quello di creare la schiavitù della gleba …”. Caldora U., Calabria napoleonica (1806-1815), Napoli 1960, p. 171.
[lxxi] Nel 1839 anche lo “sbarro”, cioè il diritto , esercitato da coloni, industrianti, piccoli proprietari, ecc., di fare pascolare liberamente il bestiame da lavoro da aprile ad ottobre, è dapprima limitato da giugno ad ottobre e poi di fatto abolito, sia attraverso l’introduzione dell’obbligo ad una prestazione corrispettiva a favore dei grandi proprietari dei fondi, sia dalla possibilità data di recintare i fondi soggetti a sbarro, estinguendo così il diritto. Supplimento al Giornale dell’Intendenza della Provincia Calabria Ultra Seconda, n. XII, CZ 16.10.1839.
[lxxii] Alla scadenza del triennio Maria Michela Lapiccola sarà riconfermata badessa nel 1840. Eletta per voti segreti a maggioranza, poiché è proibita la riconferma senza il permesso di Roma, il 3 settembre 1840 il vescovo, ottenutolo la riconferma. AVC, s.c.
[lxxiii] “Presso la ricevitoria generale di Catanzaro sono depositati ducati 400 del monastero di S. Chiara senza che indicassero l’oggetto e tuttavia sono inoperosi”. Lettera del Ministro e Real Segr. di Stato degli Affari Eccl. – Napoli 4.5.1836 al vescovo di Cotrone.
[lxxiv] Lettere del Min. e R. Segr. di Stato degli Affari Eccl. Napoli: Autorizzazione all’impiego: Duc. 200 nell’acquisto di rendita iscritta sul Gran Libro del Debito Consolidato (Napoli 6.4.1839); idem Duc. 404 (Napoli 6.5.1840); idem Duc. 219:13 (Napoli 23.10.1840); idem Duc. 220 (Napoli 25.2.1843), Duc. 811:05 nell’acquisto di rendite iscritte sul Gran Libro del Debito Pubblico del 1.7.1836 (Napoli 9.11.1836).
[lxxv] Nel 1839 sono presenti nel monastero quattro suore: la badessa M. Michela Lapiccola, M. Raffaela Lucifero, M. Chiara Mandile e M. Filomena Mandile; queste due ultime prima erano nel monastero di Lecce. Visita al monastero del vescovo Leonardo Todisco Grande, 24.5. 1839.
[lxxvi] Compilato in esecuzione del Real Decreto del 2.5.1823 e del Real Rescritto del 2.2.1838, e trasmesso dalla Curia di Cotrone all’intendente della Provincia di Calabria Ulteriore Seconda che, il 28.3.1843, ordinò ai Procuratori generali, ai Procuratori regi ed ai comandanti ed ufficiali della forza pubblica di renderlo esecutorio.
[lxxvii] In questi anni assume sempre più importanza la famiglia Berlingieri, che gestisce quasi tutti i terreni migliori del monastero e, nel 1837, chiede ed ottiene di chiudere come educanda per tre anni, la figlia Eleonora “per provare la vocazione”. AVC, Cart. 109.
[lxxviii] Carte consegnate nel 1836 al sacerdote Fabrizio Zurlo procuratore del monastero di S. Chiara. AVC, Cart. 109.
[lxxix] Nel 1839 sono presenti le clarisse Michela Lapiccola badessa, M. Raffaela Lucifero vicaria, M. Chiara Mandile, M. Filomena Mandile; le novizie Teresa Lucifero, Gaetana Oliveri, Laura Milelli; le converse M. Chiara Racco, M. Giuseppa Macrì; le educande D. Eleonora Berlingieri, D. Maria Berlingieri, D. Marianna Franco, D. Maria Sculco, D. Maria Franco, D. Chiara Sculco; le domestiche Margarita Bleferi, Raffaella Lucenti, Teresa Rizzo. Visita al monastero del vescovo Leonardo Todisco Grande, 24.5. 1839.
[lxxx] Leonardo Todisco Grande fu vescovo di Crotone dal 1833 al 1849. Capialbi V., La continuazione all’Italia Sacra dell’Ughelli per i vescovati di Calabria: Cotrone e Isola, in A.S.C. 1914.
[lxxxi] Nella chiesa visitò: l’altare maggiore, i quadri, il tabernacolo dalla parte della grata, le sedi in cui si ascolta il sacramento della confessione, l’altare dell’Immacolata Conc., l’altare di S. Francesco d’Assisi e la sacrestia. Nel monastero visitò: il coro, i finestroni, le stanze delle suore, delle converse, delle novizie, delle educande, delle serve, la stanza di ricreazione, la stanza di deposito delle cose giornaliere, due stanze per i carboni, la dispensa, il refettorio, il belvedere, la cucina, la stanza della grata “dove vi sono due tabelle: in una delle quali vi è il proivilegio che nella morte di una religiosa tutti gli altari che sono in detta chiesa sono privilegiati, l’altro contiene il privilegio che ogni sabato l’altare maggiore è privilegiato. La data di ambi privilegi è 3 marzo 1751”, il parlatorio, le ruote, i bassi. Visita al monastero del vescovo Leonardo Todisco Grande, 24.5. 1839.
[lxxxii] Notificazione alle religiose clarisse di Cotrone nella Santa Visita del 1839 fatta dal vescovo L. Todisco Grande. AVC, s.c.
[lxxxiii] Synodales Consitutiones et Decreta al Ill.mo et R.mo Domino D. Leonardo Todisco Grande, Napoli 1846, p. 42.
[lxxxiv] Il distretto di Crotone è caratterizzato da terreno argilloso e senza alberi, in parte paludoso (3%) ed in parte lasciato incolto (26%). È il maggiore produttore di grano duro e tenero e di prodotti pastorizi che vengono agevolati nella commercializzazione dal porto. I protagonisti economici sono i grandi latifondisti che, controllando le amministrazioni comunali e gli uffici statali, “prendono in fitto a lieve ragione i terreni comunali e poi li concedono a coltivatori con molto profitto, ricevendo il terratico di 2 tomoli di grano e fino a 10 di granone per ogni moggio”, riservandosi inoltre di utilizzare i fondi tra una coltura e l’altra per il pascolo delle loro grandi mandrie. Il Crotonese, infatti, è il distretto dove i grandi proprietari possiedono il maggiore numero di bestie vaccine, di pecore, di capre e di cavalli, mentre il popolo vi possiede meno muli, asini e porci. Grimaldi L., Studi statistici sull’industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II, Napoli 1845.
[lxxxv] “… io e le monache mai abbiamo inteso contrariare la Vostra volontà perciò si faccia quanto Voi volete … Dovete compatirci perché siamo donne di poca esperienza. Regolandoci da noi stesse non sappiamo risolverci. Certo che se sapea che Voi restavate dispiaciuto in questo modo, non mi palesava nella mia lettera in questo modo. Non è stato per fine di nobiltà”. AVC, Lettera della badessa Maria Emanuela Oliverio al vescovo, Cotrone 2.6.1847.
[lxxxvi] Verso la metà del secolo mutano velocemente i rapporti tra i grandi latifondisti ed il governo centrale. Con Ferdinando II, infatti, la questione demaniale aveva ripreso vigore e, istituito il Commissario civile per la Regia Sila, furono verificate le numerose usurpazioni. Già il Sotto intendente di Crotone Bonafede aveva messo in evidenza il legame di corruzione esistente tra amministrazioni pubbliche e grandi latifondisti, che permetteva a quest’ultimi di usurpare o affittare a bassissimo prezzo le estese proprietà demaniali, quando le numerose ordinanze emesse dal Barletta, commissario per la Regia Sila, cominciarono a colpire veramente gli usurpatori e riprendevano le distribuzioni ai contadini, con il divieto assoluto però di alienazione, delle numerose terre demaniali accatastate ai comuni. Brasacchio G., Storia economica della Calabria VI, pp. 145 e sgg.
[lxxxvii] Nel 1852 la badessa e le monache chiedono di poter accettare, in qualità di educanda, Anna Milelli di nove anni, ammettendola e ritenendola gratuitamente. “La fanciulla appartiene ad una nobile e cospicua famiglia del paese ma che trovasi al presente in ristrettissime finanze. La famiglia nel passato ha arrecato grandi vantaggi al monastero stesso e molte monache sono state appartenenti a detta famiglia”. Lettera delle suore del monastero alla Sacra Congregazione de’ Vescovi e Regolari, Cotrone 1852.
[lxxxviii] Già nel passato altre facilitazioni le aveva ottenute la famiglia Lucifero, per quanto riguarda Teresa Lucifero, mentre altre famiglie, approfittando della crisi di vocazioni, erano riuscite ad avere simili se non maggiori facilitazioni. AVC, Cart. 109.
[lxxxix] La Oliverio fu eletta con 5 voti contro 2. Nella richiesta di dispensa, in quanto la nuova badessa aveva solo 34 anni, il vescovo Aloisius Soda faceva presente che “la elezione della medesima contribuirà alla pace della religiosa comunità”. Lettera del vescovo Aloisio Soda alla Sacra Congregazione, Cotrone 28.1.1853.
[xc] Per la carica della vicaria si fronteggiarono per 5 votazioni Maddalena De Leon e Raffaela Lucifero ricevendo 3 voti per ciascuna. La Nuova vicaria ottenne 5 voti contro due. Elezioni della badessa e della vicaria, Cotrone 16.1.1853 e 20.1.1853.
[xci] “… fra le nobili donzelle appena una postulante si rinviene … al contrario vi sarebbero molte giovani di civile ed onesta condizione, fornite di ottime qualità e costumi le quali sarebbero desiderose di consacrarsi ma vendono rigettate perché non sono nobili”. Lettera del vescovo Luigi La Terza alla Congregazione, Cotrone 11.6.1858.
[xcii] Lettera della Sacra Congregazione al vescovo di Crotone, Roma 26.6.1858.
[xciii] Colpiti dalle decisioni pronunziate dal Commissario Civile per gli affari della Sila, i latifondisti tramavano per il cambiamento. L’avventura garibaldina trovò in essi dei grandi finanziatori interessati. Infatti contribuendo alla riuscita garibaldina (Barracco diede 10.000 ducati, Berlingieri 7000, Galluccio, i fratelli Giunti, il marchese Lucifero e Albani 2000, Alfonso e Antonio Lucifero 1000, i fratelli Morelli e Carlo Albani 500, Giuseppe Zurlo 400), essi aiutavano se stessi a conservare i demani usurpati. Barletta P., Decisione pronunziata dal Commissario civile per gli affari della Sila nella causa fra l’Amministrazione del pubblico demanio e gli eredi del barone Luigi Barracco, Napoli 1850; Barletta P., Decisione pronunziata … e il signor Pietro Berlingieri da Cotrone, Napoli 1851.
[xciv] Già un decreto del 17 febbraio “avea dichiarato cessare avanti la legge gli enti morali, le case monastiche de’ due sessi, e le congregazioni regolari, eccetto quelle che con un altro decreto designerebbe come benemerite per i servizi alla popolazione”. De Sivo G., Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, p. 485.
[xcv] La legge Cavour del 29.5.1855 “prevedeva la soppressione delle comunità religiose che non si dedicassero alla predicazione, all’istruzione e all’assistenza agli infermi e l’attribuzione del loro patrimonio ad un ente pubblico da istituirsi appositamente la Cassa ecclesiastica”. All’atto della soppressione del 17.2.1861 il monastero di S. Chiara conta sette clarisse: Michela Lapiccola di anni 58 e 28 di professione, Raffaela Lucifero di anni 50 e 29 di professione, Concetta Astorino di anni 35 e 11 di professione, M. Angela de Mayda di anni 24 e 3 di professione e Serafina Milelli, Gabriella Lucifero ed Emanuela Oliverio tutte e tre di anni 42 e 21 di professione. Vi sono anche 5 converse (AVC, Cart. 109). Il monastero ha rendite lorde per l’ammontare di £ 1863,64, ha pesi per un totale di £ 251,29, ha quindi rendite nette annue di £. 1612,35. Sposato P., Sull’atteggiamento del clero cit., p. 406, alleg. III.
[xcvi] Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, V, p. 141.
[xcvii] Lettera del vescovo Luigi Maria Lembo ai componenti il Corpo Municipale di Cotrone, 3.11.1861 da Napoli.
[xcviii] “Subito danno principio: sconficcare monasteri coll’asce, artefici, architetti, camorristi e birri violare clausura, farvi inventari e spogli, sprezzare le proteste di vescovi e badesse”. De Sivo G., Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, p. 485.
[xcix] Lettera del vescovo L. M. Lembo al Prefetto, Cotrone 29.12.1861.
[c] “… getterebbe nella costernazione e disperazione tante persone, alcune delle quali resterebbero in mezzo di una strada perché prive di casa, di congiunti e di ogni altro sussidio, e tutte sbalestrate in mezzo al secolo che abbandonarono in tenera età”. Lettera del vescovo L. M. Lembo al Prefetto, Cotrone 29.12.1861.
[ci] Lettera del sindaco Gaetano Morelli al vescovo, Cotrone 7.1.1862.
[cii] Quadro de’ fondi comprati dal Barone L. Berlingieri dal Demanio ed affranco di canoni, provenienti dall’Asse Ecclesiastico, Cotrone 22.3. 1885.
[ciii] Il Real Ministro avrebbe accolto la proposta di concentrare le monache clarisse in una parte del monastero cedendo il resto al municipio dopo aver fatto le separazioni”. Lettera della Sottoprefettura di Cotrone al vescovo di Cotrone, Cotrone 6.3.1865, n. 1456.
[civ] ACC, Cons. Com. 5.10.1868.
[cv] ACC, Cons. Com. 3.10.1870.
[cvi] Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, V, p. 315.
[cvii] “La vendita dei beni delle Corporazioni religiose gettò di un colpo sul mercato una massa di beni sproporzionata alle forze di acquisto: la sete di comprare, di estendere la proprietà, di impiegare capitali fu saziata”. Leone F., Relazione intorno ai lavori della Camera ed alle condizioni economiche della Provincia nel biennio 1883-1884, Catanzaro 1885, p. 43.
[cviii] Il capitale dei possidenti che era rivolto come sempre verso la rendita fondiaria aveva trovato prima di questa immissione di fondi nel mercato, difficoltà di impiego e quindi “faceva ressa intorno alle proprietà stabili per aggiogarle con mutui nella speranza di farne acquisto”, o era stato investito in grandi mandrie di vacche, pecore e buoi. Leone F., Relazione intorno ai lavori della Camera ed alle condizioni economiche della Provincia nel biennio 1883-1884, Catanzaro 1885, pp. 43 e sgg.
[cix] Il sistema economico del latifondo crotonese ha la sua origine fin dai tempi più remoti ed ebbe per protagonisti economici i grandi templi greci (Hera Lacinia), i latifondisti che abitavano le ville romane, le grandi badie basiliane, benedettine, cistercensi e florensi, i grandi feudatari, i vescovi e i commendatari, ecc. “L’economia era di far nascere i pascoli dalle terre seminatorie … Il riposo triennale, e la concimazione che ricevevano le terre dal bestiame, rendevano più ubertosa la semina, mentre si tirava vantaggioso prezzo dall’erba”. Merola G., Memoria dimostrativa, p. 55.
[cx] “Il fondo Capo di proprietà dell’Arcidiaconato fu incamerato dal demanio nel 1865 che lo mise all’asta pubblica con gara fittizia, e fu aggiudicato a vil prezzo al comune di Cotrone. Questo sotto il sindacato del Dottor Raffaele Lucente, una volta entusiasta di Capo Colonna, non si sa per qual ragione lo vendette al Barone Berlingieri. Appena tale vendita fu appresa dalla cittadinanza, questa se ne dolse molto, ma inutilmente. Il nuovo proprietario s’imposessò di quel territorio, vi costruì un muro traversale d’isolamento, perché il suo bestiame potesse pascolarvi libero”. Sculco N., Capo Colonna attuale, monografia a beneficio degli esposti del comune di Cotrone, Pirozzi 1903, pp. 5-6.
[cxi] I fondi si trovavano in Diocesi di Cotrone (14), in diocesi di S. Severina (53), in diocesi di Napoli (3), in diocesi di Cariati (5) e in diocesi di Catanzaro (3). Le terre appartenevano alla Mensa vescovile di Crotone (2), al Seminario di Crotone (2), al Capitolo di Cotrone (9), al monastero di Santa Chiara di Cotrone (1), alla Mensa arcivescovile di Santa Severina (12), al Capitolo di Santa Severina (26), alla Ricettizia di Cutro (4), alla Ricettizia di Roccabernarda (3), alla Ricettizia di Policastro (1), alla Ricettizia di Mesoraca (5), alla Collegiata di Belcastro (2), ai Capitoli della Diocesi di Napoli (3), alla Mensa vescovile di Cariati (2), al Clero di Verzino (1), alla Collegiata di Umbriatico (1), al Capitolo di Strongoli (1), al Capitolo di Catanzaro (1), e alla chiesa di S. Maria di Cropani (2). AVC, Quadro dei fondi comprati dal Barone Luigi Berlingieri dal Demanio ed affranco di canoni provenienti dall’Asse ecclesiastico.
[cxii] Per evidenziare il tipo di rapporto esistente tra i latifondisti crotonesi e la popolazione è sufficiente ricordare che “un giorno, un paesello del nostro circondario osò semplicemente tentare la rivendicazione di certi diritti su terre demaniali possedute dal barone, padrone di tutto quel territorio e di molti altri ancora. Il barone se ne vendicò con la più nera infamia; volle la miseria di quella gente: la condannò forzatamente all’inerzia, non concedendo loro per molti anni un palmo di terra per coltivarlo; e la sua felina ferocia fu soddisfatta, allorquando da quel paese sparì l’ultima bestia bovina dell’ultimo misero massaro”. Tallarico L., La nuova legislazione dei patti agrari, Cotrone 1902, p. 5.
[cxiii] “Quindi non è da meravigliarsi, se questa curia si rivolge direttamente alla S. Penitenzieria per le dispense matrimoniali dei poveri, perché sono incapaci di pagare qualunque minima tassa, che anzi non pagano diritti parocchiali, né decreti di matrimonio, nemmeno spese postali”. Lettera dello Arcidiacono L. Covelli alla Sacra Penintenzieria, Cotrone 30.8.1899.
[cxiv] “Dichiaro io qui sottoscritto Francesco Berlingieri da Cotrone che volendo comprare il fondo denominato Valle della Chiesa dal sig. Giuseppe Lacamera, a cui pervenne dal Demanio e conoscendo che detto fondo si appartiene al Capitolo a causa dell’incameramento dei beni ecclesiastici mi sono diretto alla Sacra Penitenzeria, onde essere facultato a comprarlo a ritenerlo col sottomettermi a tutte le prescrizioni della Santa Sede. Ottenuta la chiesta facoltà, e rimesso il rescritto all’Ordinario di Cotrone per l’esecuzione, mi fu imposto di sottostare alle dichiarazioni della Sacra Penitenzeria espresse nelle lettere del 1 giugno 1869 num. IV. Ed è perciò che volentieri da buon cattolico fo la presente dichiarazione obbligando me e i miei successori e eredi a tutti i capi in essa compresi, come se la presente dichiarazione avesse effetto di pubblica scrittura. Dichiaro quindi e mi obbligo: 1 – di ritenere il succennato fondo a disposizione della chiesa e di obbedire a quanto la stessa comandarebbe. 2 – di ritenerlo da buon padre di famiglia, migliorandolo piuttosto. 3 – di adempiere tutti gli oneri pii annessi allo stesso fondo. 4 – di sovvenire con la rendita del medesimo l’ente ecclesiastico, cui di diritto appartiene il fondo. 5 – di avvertire i miei eredi e successori per scrittura privata da me sottoscritta tali obbligazioni, cui debbano sottostare, e voglio che l’adempiano per non incorrere ancora essi nelle censure e pene ecclesiastiche. A togliere lo scandalo mi obbligo ancora a fare conoscere prima della compra, come io mi sia fornito di facoltà della Santa Sede per la stessa, anzi mi obbligo pure ad avvertire il venditore di provvedere alla sua coscienza, non restando lui sciolto dalle censure e pene canoniche, incorse per la primitiva compra dal Demanio. Dichiaro infine che il sudetto fondo è in territorio di Cotrone, in diocesi di Cotrone, Così dichiaro e mi obbligo. Francesco Berlingieri, Cotrone 7 agosto 1884.”
[cxv] “Neminem pudet pubblicas sensualitates exercere, usque adeo ut ipsae matres filiarum honestatem vendant, tum sorores in communi turpidine versari et sub eodem tecto vivere non verentur. Mulieres vero nuptae frequenter proprios maritus relinquunt quamadmodum viri proprias mulieres, et ita non menses sed annos et annos in adulterio marcescunt”. Sacra Limina, Cotrone, 1865.
[cxvi] “… vidimus autem tot possidentes, baronem ecclesiasticorum emptores censuras spernere, omnibus diebus carnes manducare, puellas seducere, festa profanare, blasphemare, ecclesiasticis omnibus et eorum Capiti aperte exexcrari. Vidimus Ecclesias disertas, Sacramenta derelicta, innumeros concubinos, frequenter adulteros, bigamos, vino deditos omnibus vitiis …”. Limina del vescovo L. M. Lembo, Cotrone 1876.
[cxvii] Il barone Barracco era riuscito attraverso una serie di riusciti incroci a creare e a migliorare nuove razze di cavalli, di pecore e di bovini. Questi ultimi “tanto per lavoro, quanto per carne si ritennero a ragione d’inarrivabile pregio”. Lucifero A., Mammalia Calabra, 1909, pp. 153-154.
[cxviii] Il Barracco fa costruire a Crotone uno stabilimento per la lavorazione della pasta (1848) e due grandi stabilimenti (conci) a Isola e Altilia, per la lavorazione e la commercializzazione della liquirizia, che esporta in America, Inghilterra e Russia. La produzione è pregiatissima e ottiene la medaglia d’oro alla esposizione di Parigi nel 1867 e di argento a Torino (1884). Leone F., Relazione intorno ai lavori della Camera ed alle condizioni economiche della Provincia nel biennio 1883-1884, Catanzaro 1885, p. 53.
[cxix] La diocesi di Crotone nel 1881 è composta da 6911 abitanti, 6 parrocchie (S. Dionigi, SS. Pietro e Paolo, SS.mo Salvatore, SS. Veneranda e Anastasia, S. Margarita, S. M. de Protospatariis), 5 chiese in città (S. Chiara, Immacolata, l’orfanotrofio dell’Addolorata, S. Giuseppe, S. Vincenzo Ferreri, le ultime due sono interdette), 3 chiese fuori città (S. Leonardo, Carmine, S. Antonio Abate, le due ultime sono intedette). Ci sono inoltre: la chiesetta di Capocolonna, l’orfanotrofio femminile, un asilo d’infanzia (istituito a cura del barone Luigi Berlingieri che è anche direttore dell’asilo ed è situato in un antico locale del monastero delle clarisse ed è gestito da 4 suore di S. Anna). In Crotone che è capodistretto vi è la sottoprefettura con Pretura e Delegazione, l’ospedale civile militare (cambiato nel maggio 1883 in casa comunale), è stato edificato fuori dell’abitato in via Poggio Reale a cura dello stesso Berlingieri (il vecchio è venduto al comune), il Brefotrofio (istituito il primo ottobre 1881), l’orfanotrofio di donzelle povere (diretto dalle suore di S. Anna), 2 congreghe (SS. Sacramento in cattedrale e l’Immacolata), due società (degli operai e di Mutuo Soccorso) una casa agraria, il monastero delle clarisse, il castello con truppa e carceri circondariali, scuole elementari e tecniche, seminario diocesano, municipio, la conciliazione, il Registro e Bollo, l’Agenzia delle tasse dirette, la sezione delle Gabelle e delle finanze, il Sub-economato, i carabinieri, l’Ufficio Pesi e Misure, la Ferrovia, il Porto. Relazione del vescovo di Crotone L.M. Lembo, Cotrone 1882.
[cxx] Leone F., Relazione intorno ai lavori della Camera ed alle condizioni economiche della Provincia nel biennio 1883-1884, Catanzaro 1885, p. 47.
[cxxi] “Le lande interminate che fin oggi sono state il campo della industria agraria, mancano di stalle per l’allevamento, di tettoie di conserva per i foraggi”. Leone F., Relazione intorno ai lavori della Camera ed alle condizioni economiche della Provincia nel biennio 1883-1884, Catanzaro 1885, p. 49.
[cxxii] “Nel Marchesato la persistente siccità impoverì siffattamente i terreni; che diversi industrianti dovettero abbandonare quelle lande per trovare alimento al loro bestiame, lo stesso barone Barracco proprietario per più decine di milioni di terreni nel Marchesato, dovè fare provviste di fieno nei territori di Soveria, Simeri e Catanzaro”. Leone F., Relazione intorno ai lavori della Camera ed alle condizioni economiche della Provincia nel biennio 1883-1884, Catanzaro 1885, pp. 55-56.
[cxxiii] “A poca distanza dalla città, e precisamente tra questa e la stazione ferroviaria giace la palude Esaro. Il soggiorno di questa città si rende temibile a coloro che vi dimorano, e più fatale ancora a coloro che dimorano nella stazione ferroviaria”. Caloiro I., La bonifica della palude Esaro nel comune di Cotrone, Cotrone 1888, pp. 11-12.
[cxxiv] In questi anni continuano i grandi lavori di smantellamento delle mura della città che sono giustificati dal consiglio comunale come una delle poche occasioni per dare lavoro ai numerosi disoccupati. Successivamente dopo l’approvazione del progetto nel 1888, cominciarono i grandi lavori per la costruzione del nuovo porto militare. Leone F., Relazione intorno ai lavori della Camera ed alle condizioni economiche della Provincia nel biennio 1883-1884, Catanzaro 1885, p. 49.
[cxxv] Decreto del vescovo Cavaliere, Cotrone 1.7.1886.
[cxxvi] Caivano F., Storia crotoniata preceduta da un cenno sulla Magna Grecia, Napoli 1872, p. 234.
[cxxvii] “I primi a fallire, furono … i piccoli coltivatori, e poi i grossi capitalisti … Gli usurai del Crotonese dall’idee monarchiche o repubblicane usufruirono di tanta iattura, impinguendo le loro scarselle, una ai colossi proprietari, che con lievi spese arrotondarono i loro feudi a detrimento dei poveri lavoratori”. Tallarico L., La crisi agraria nel Cotronese, Considerazioni e proposte di miglioramento, Catanzaro 1892, pp. 4-5.
[cxxviii] Caivano F., Storia crotoniata preceduta da un cenno sulla Magna Grecia, Napoli 1872, p. 231.
[cxxix] “A S. Eminenza R.ma Il Cardinale Prefetto della Congregazione del Concilio in Roma. Cotrone 20 luglio 1889. Eminenza R.ma. Il Barone Gaetano Zurlo da Cotrone trovasi possessore di una casa composta di due stanze e di un mezzanile che si appartenea a questo venerabile monastero delle clarisse. Detta casa il Zurlo comprò nel dicembre 1866 dal Demanio all’asta pubblica per £. 572, sotto ponendosi sin d’allora pagare col consenso dell’ordinario diocesano a favore della comunità l’annuo assegno di Lire 17 a titolo di sovvenzione, che sino al momento ha sempre corrisposto. Ora a sciogliersi da questo annuo obbligo desidera l’oratore venire nella composizione col prelodato monastero in vista della quale rimarrebbe padrone del fondo anzidetto, pagando in una sola volta un capitale, che dia annualmente il reddito netto di Lire 17. In tal modo, mentre assicurerebbe una rendita certa e stabile all’Ente soppresso, verrebbe a liberare i suoi eredi dal pericolo di trasandare un obligo coscienzioso dall’oratore contratto mercè sua dichiarazione depositata nella R.ma Curia Vescovile nei sensi delle istruzioni della Sacra Penitenzieria. Dal canto mio vedendo l’utilità dell’offerta presentata dal signor Zurlo, ho creduto di accettarla, proponendola alla saggezza di V. Eminenza R.ma, perché si compiaccia sanzionarla con analogo rescritto che imploro interponendo la mia commendatura. Di detta offerta non ho tenuta avvisata la comunità delle clarisse nel fine di manifestarne il consenso, perché son sicurissimo di tenere come approvato il mio operato, non potendo dissentirne per la convenienza che presenta l’offerta in parola. Nella certezza della grazia che s’impetra passo all’onore di rassegnarmi. Di S. Eminenza R.mo Dev.mo Servitore Giuseppe Cavaliere.”
[cxxx] “Monasterii interiorem reparationem praecipere obstinuit quia moniales pauperes factae sunt, earum fortunis spoliatae et modica pecunia viventes a Gubernio constituta”. Lembo Luigi Maria, De visitatione Ecclesiae et Monasterii Sanctae Clarae huius Civitatis Crotonensis, die 13 Junii 1876.
[cxxxi] Nel 1876 le clarisse erano sette. Oltre alla badessa M. Emmanuela Olivieri ed alla vicaria M. Raffaela Lucifero, vi erano M. Michela Lapiccola, M. Serafina Milelli, M. Concetta Astorino, M. Angelica De Mayda e M. Filomena De Mayda. La sopravvivenza della comunità era stata possibile per l’ingresso nel monastero di due appartenenti alla famiglia De Mayda, infatti M. Angelica de Mayda diventa professa il 10 gennaio 1858 e M. Filomena il 25 marzo 1870. Ci sono inoltre 4 converse (M. Clara Racco, M. Crocifissa Rizzuto, M. Giuseppa Le Rose, M. Graziano), 3 educande (Elisabetta de Mayda, Filomena Messina, Rosa Le Rose) e 4 “famulae” (Raffaela Lucente, Teresa Rizzo, Caterina Sessa, Rosa Andriola).
[cxxxii] Lembo L. M., Notificazione alle religiose clarisse, Cotrone 10.1.1877.
[cxxxiii] De Sancta Visitatione Ecclesiae Monalium S. Clarae, 29.4.1885.
[cxxxiv] De Visitatione Ecclesiae Monalium S.Ctae Clarae, 14. 4. 1888.
[cxxxv] De S. Visitatione Ecclesiae Sanctae Clarae et Monasterii Monalium, 12.2.1891.
[cxxxvi] De S. Visitatione Ecclesiae Monialium S. Clarae, 6.6.1894.
[cxxxvii] Lettera della Sacra Congregazione al vescovo di Crotone n. 5595, Roma 11.6.1895.
[cxxxviii] Lettera della Sacra Congregazione al vescovo di Crotone n. 12976, Roma 21.6.1897.
[cxxxix] Lettera della Sacra Congregazione al vescovo di Crotone n. 18465, Roma 5.12.1898.
[cxl] Lucifero A., Mammalia calabra, Siena 1909, p. 153.
[cxli] Lucifero A., Mammalia calabra, Siena 1909, p. 155.
[cxlii] ASCZ, Lettera del Sottoprefetto di Cotrone al Prefetto di Catanzaro con oggetto: la questione terriera, Cotrone 18.4.1924.
[cxliii] ASCZ, Lettera del Sottoprefetto di Cotrone al Prefetto di Catanzaro con oggetto: Patti agrari nel Crotonese, Cotrone 12.8. 1923.
[cxliv] AVC, Relazione del sac. Carmine Artaserse al vescovo, dicembre 1930.
Creato il 12 Marzo 2015. Ultima modifica: 20 Maggio 2022.
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