Il santuario di Sant’Anna di Massanova tra Cutro e Isola Capo Rizzuto
La località, ricca di sorgenti e d’acque, che scendendo dai valloni, confluiscono alimentando l’Esaro, fu prescelta fin dall’antichità come luogo di culto legato alla fertilità. I recenti numerosi rinvenimenti testimoniano la presenza di un edificio sacro d’epoca magnogreca (V-VI a. C.).
Il santuario
L’esistenza di un santuario, dedicato alla patrona della maternità, delle partorienti e della fecondazione, vale a dire Sant’Anna, è documentata già poco dopo il Mille. Nei privilegi che, secondo i vescovi di Isola, erano stati donati dai regnanti normanni, vi era quello concesso al vescovo Luca dal re di Sicilia Ruggero II nell’anno 1145 (6653). In questo documento, tra i luoghi sacri sotto giurisdizione vescovile, troviamo il monastero, o chiesa, di San Giovanni di Massanova con i suoi privilegi e proprietà. Nella descrizione dei confini della tenuta signorile così si esprime il documento “a principio venae descende.s usq. ad aquam labrica., et de inde vadit per cristam cristam fundentem usq. ad ecclesiam Santae Annae et similiter per cristam usq. ad vallonum et de inde descendit per vallonum ipsum usq. ad molendinum”.[i]
Anche se l’atto è scarno e la sua autenticità è dubbia, esso, nel tracciare i labili termini di questa possessione, mette in evidenza che la chiesa di Sant’Anna, allora di rito greco, pur essendo situata presso i confini, era una “obbedienza” del monastero di San Giovanni di Massanova. Sul finire del Duecento “Sanctus Ioannes de Massa nova” è uno dei tanti piccoli villaggi agricoli del giustizierato di Valle di Crati e Terra Giordana.[ii] In seguito tra le terre soggette al marchese di Crotone, Nicola Ruffo, e poi alla figlia Errichetta, compare il casale di Massanova. Esso sarà confiscato al marchese di Crotone Antonio Centelles dopo la sua sconfitta.
La gabella Sant’Anna
Durante il Medioevo il vescovo di Isola continuò a possedere nella località le due gabelle di Santa Anna e di San Giovanni di Massanova. Nel Cinquecento esse saranno cedute con contratto enfiteutico al feudatario di Massanova, il quale, a sua volta, si impegnerà a versare alla chiesa di Isola un’annua quantità di frumento.
Nella seconda metà di quel secolo le due gabelle fanno ormai parte delle proprietà del barone di Massanova che, nel 1573, pagava un censo enfiteutico di salme 11 di grano al vescovo di Isola Annibale Caracciolo. L’anno dopo sono citate, in un atto di concordia tra il barone di Massanova Ottavio Lucifero e Giovanni Ferdinando Barricellis, relativo al pagamento dell’annuo censo enfiteutico al vescovo di Isola.[iii] Allora del monastero di San Giovanni di Massanova non c’era più memoria, mentre esisteva ancora il casale di Massanova (con la sua chiesa dell’Annunziata), che si estinguerà alla metà del Seicento. La piccola chiesa rurale di Sant’Anna, soggetta al vescovo di Isola, invece, continuò ad esistere nel “loco dicto Sanctae Annae” della baronia del feudo spopolato di Massanova, situato in diocesi di Isola.[iv] Dal Lucifero, il feudo verrà ceduto ai Firrao, e da questi venduto nel 1618 a Marcantonio Doria. I principi Doria, baroni di Tacina e Massanova, ne avranno il possesso fino all’inizio dell’Ottocento.[v]
La costruzione della nuova chiesa
Il vescovo di Isola, in quanto possessore e patrono della chiesa, vi eleggeva il procuratore, il quale, a metà Settecento, per sua provvigione si tratteneva dalle entrate della chiesa due ducati ogni anno. Furono procuratori della chiesa di Sant’Anna: l’arciprete di Isola Francesco Antonio Vajanelli (1745-1753), il decano di Isola Filippo Poerio (1754-1756), il primicerio di Isola Bruno Carcea (1756-1758), il canonico Valentino Murgante (1758-1770), il canonico Antonio Inglese (1770-1772) ed infine, nuovamente il canonico Valentino Murgante (1772-1784).[vi]
Durante l’amministrazione della procura, iniziata il 15 ottobre 1745 e terminata il 31 dicembre 1753, dell’arciprete Francesco Antonio Vajanelli, eletto dal vescovo di Isola Pietro Alessio de Majo (1722-1749), ebbe inizio la costruzione di una nuova e più ampia chiesa, vicino e soprastante l’antica “chiesola”. Il vecchio edificio, infatti, oltre ad essere angusto, era stato danneggiato durante il 1744 dalle continue piogge e dal terremoto che dal 21 marzo, con repliche, aveva scosso violentemente il Marchesato.
Cessato il flagello delle piogge e delle scosse, con i soldi dati da Giovanni Le Rose nella terza domenica di maggio del 1746 alla fiera di S. Janni, il Vajanelli comprò un calice d’argento per la nuova chiesa, spendendo ben 13 ducati. Ai primi giorni di luglio dello stesso anno cominciavano i preparativi per dare avvio alla nuova opera. Era riattivata una vecchia calcara e mentre, con carri e cavalcature, si trasportavano sul luogo pietra, calce, arena e acqua, procedeva lo scavo delle fondamenta. Lunedì 18 luglio 1746 il Vajanelli annotava: “si principia la fabrica della nuova chiesa per S.a Anna, che c’andai io di persona e vi posi alcune reliquie in specie quelle d’Innoc. XI e fu nel pontone di mano destra a lato della porta di d.a chiesa, che vi buttai ancora diversi reliquie con denari”.
Tre fabbricatori e quattro discepoli procedettero per alcuni giorni nei lavori, ma prima della festa della santa tutto si fermò. Il primo aprile 1747 l’arcidiacono Giovanni Caracciolo, razionale eletto per la revisione dei conti della procura della chiesa, dopo aver confrontato le entrate e le uscite, osservò che restavano in mano al procuratore circa 50 ducati, inoltre molte offerte e voti erano detenuti ed usati da diverse persone, senza alcun utile per la chiesa. Egli, perciò, invitò l’arciprete a riscuotere, a recuperare ed a procedere alla vendita, in modo da poter utilizzare il denaro per il costruendo edificio. Sollecitato, l’otto aprile seguente l’arciprete incaricava Francipane, Caccuri, Puerio e Franco a fornire nuovamente pietra e arena, ma solamente il 29 maggio, sotto la sorveglianza di Giuseppe Luise, tre mastri fabricatori e cinque discepoli (Masciari, Greco, Napoli, Catanè e suo figlio) riprendevano i lavori alla fabrica.
Nel frattempo, era iniziata la costruzione di una nuova calcara ed erano state portate sul luogo numerose tavole e “tijlli”. Si arrivava così al 29 giugno, quando i due mastri Masciari e Paula alzavano “li pedamenti della lamia seu nel choro”, ma subito dopo i lavori si arrestavano nuovamente, rimanendo fermi per parecchi mesi. Il 18 giugno 1748 i razionali eletti dal visitatore apostolico della città e diocesi di Isola, il vescovo di Umbriatico Domenico Antonio Peronacci, ordinavano nuovamente al Vajanelli di darsi da fare per rientrare in possesso dei molti beni votivi, dati a credito a diverse persone, e di convertirli in denaro “tanto più, che si sta in atto di fabrica, la quale verrebbe più sollecitata alla perfettione, qualora ci fusse il comodo, ed acciò via più si aumenterebbe la divozione del Popolo non men di questa città, che dei paesi convicini, che mossi dall’assistenza all’avanzi di d.a chiesa, non mancarebbero soccorrere colle loro elemosine ed aggiustare la perfettione e complire dell’incominciata chiesa”.
Essi, inoltre, richiamavano il procuratore ad essere più solerte ed a prestare maggiore “diligenza ed attenzione che quando li perverrà certa notizia ed esibizione di alcuni voti fatti da forastieri ad essa Venerabile Chiesa, non trascuri con sollecitudine mandare persona puntuale da farsino l’istrumento, giache osserviamo che col tratto del tempo sole mutarsi l’intenzione de votanti ed adducono per scusa che non ci è stato a chi consegnarla”. Da ultimo, poiché le entrate risultavano inferiori a quelle reali e le spese gonfiate a dismisura, invitavano il procuratore a farsi l’esame di coscienza. L’arciprete replicava che da alcuni debitori non c’era speranza di riscuotere, come dall’agente della baronia Boccardi, il quale tratteneva un somaro, dal signor Siciliano, che era in possesso dei “cupelli”, dal fu canonico Golino, che aveva avuto una somara, e dal signor Musitano, che doveva tomoli 18 di grano. Aggiungeva poi, a prova del suo impegno, “che io me c’ho litigato più volte per esigerli, e perciò non posso fare miracoli”. In verità il Vajanelli continuò a far orecchie da mercante e solo all’approssimarsi della festa avviò i lavori, facendoli andare avanti fino alla fine dei festeggiamenti. Durante tale periodo furono portati numerosi cantoni lavorati e tavole per le due porte, l’arco della chiesa e per la sacristia. L’attività riprenderà di nuovo il 12 agosto per nove giornate e, quindi, si lavorò solo dal 13 ottobre al 4 novembre.
Iniziava il 1749, passavano i giorni e tutto rimaneva fermo. Il 5 maggio 1749, per le dimissioni di Pietro Alessio de Majo, veniva eletto vescovo di Isola il napoletano Giuseppe Lancellotti (1749-1766) dell’ordine dei minori conventuali che, tramite il suo vicario, il primo luglio dello stesso anno, confermava procuratore della chiesa di Sant’Anna il Vajanelli. Con l’arrivo in sede del nuovo presule le cose cambiarono. Dalla revisione dei conti, fatta nel febbraio 1750, risultò che il Vajanelli, oltre ad essere debitore verso la chiesa di Sant’Anna di oltre 70 ducati, doveva rispondere anche di numerosi oggetti votivi, che da anni risultavano invenduti. Il procuratore, messo alle strette, portò a sua discolpa la difficoltà del vendere ed ancor più del riscuotere, aggiungendo che in quanto a “quelli poi, che non vogliono pagare, S.a Anna l’habbia a memoria, perché io non posso fare miracoli”.
L’arciprete, tuttavia, si accorse che il vento era cambiato ed i lavori di costruzione, che prima proseguivano a rilento e con lunghe interruzioni, con la scusa che mancava il denaro, ora procedevano spediti ed in modo continuo. Le entrate della chiesa, come per un miracolo, erano quasi triplicate. Sul finire del 1750 l’edificio era già arrivato al tetto e col nuovo anno si cominciava la copertura, come dimostrano i numerosi acquisti ed i pagamenti per la messa in opera di tavole, travi, legname, tijlli e ciaramidi. Lo stesso vescovo, per rendersi conto di persona ed accelerare i lavori, si recava quasi ogni anno col calesse in visita alla costruzione.
Sul finire del 1751 maestri carpentieri di Sersale costruivano le capriate, ed erano impegnati nella soffittatura e sul tetto; altri mastri lavoravano a rifinire le porte e le finestrelle della chiesa, ed a far la scala e la porta della camera sopra il coro. Il tetto era ormai completo e sopra la copertura si elevava la croce di ferro con la ventarola. Durante l’anno seguente si abbellivano la facciata e l’ingresso principale della chiesa, usando cantoni lavorati e tavole di castagno per il portale, e ponendo davanti ad esso altri cantoni lavorati. Iniziava la costruzione del nuovo altare e delle vetrate, mentre cominciavano ed andavano avanti anche i lavori alla vicina torre, o campanile, con la costruzione della porta e delle finestrelle. In attesa che venisse completata la torre, sopra la chiesa batteva una “grossa” campanella. Questa era appartenuta alla cappella dell’Icona Greca ed era stata data dal beneficiato della cappella, Don Francesco Talarico, in cambio di una più piccola, comprata con i denari di Sant’Anna.
Si incominciò anche ad arredare l’interno della chiesa, comprando dalla confraternita dell’Immacolata di Crotone una preziosa cappella di legno indorata con oro fino. Mentre la chiesa e le camere venivano intonacate, imbiancate ed arredate, due mastri ed un manipolo costruivano l’altare, mentre altri lavoratori sistemavano le due vetrate del coro con i loro 25 vetri. Anche la chiesa piccola era riparata e munita di una campanella e di una “mascaturella per la vitriata della cappella”, dove c’era il quadro della santa.
Il 18 marzo 1754 il vescovo Lancellotti visitò la chiesa e visionò la platea. I conti sembravano in ordine, infatti ai circa 182 ducati di entrata corrispondevano 174 di spesa, e la chiesa era completa. Tuttavia, il presule fu turbato e si adirò tanto da fare stilare nel corso della visita una severa reprimenda contro il procuratore. In essa si prendeva a pretesto il fatto che di molti beni non c’era traccia nel libro contabile, e si evidenziava che, comunque, era in beneficio della chiesa di Sant’Anna “tutto quanto di esistente si attrova in potere tanto di esso R.do Procuratore, che di altri, tanto se fusse danaro, comesse, oro, argento, rame, animali di qualsivoglia sorte, e specie majorca, grano, orzo, fave, lino, tavole, ferro ed ogn’altra cosa, che in pro della medesima andasse, tanto di quelli annotati nello presente libro, quanto delle robbe non già annotate.”
Non passarono molti giorni che il Vajanelli per “indisposizione” lasciava. Il 30 marzo 1754 il Lancellotti nominava il nuovo procuratore, il decano Filippo Poerio, obbligandolo però, “con patto espresso, ed inviolabile, che subito, subito, subito si levi la camera sopra l’altare magiore, o si levi il pavimento di detta camera e resti quel che ora è camera come se fosse una cupola, diroccandosi la scala di fuori, che non apparisca vestigio alcuno di detta scala. Questo lo raccomandiamo in virtù dello Spirito Santo e per Santa Ubidienza volendo in tutti i conti, che subito si levi detta camera, subito, subito, subito. Assicurando il Sig. Procuratore, che farà cosa grata a Dio e darà a Noi una somma consolazione ed alleviamento di coscienza quanto più presto si leverà, tanto più noi lo ringraziaremo non potendo tollerare che sia la detta camera sopra l’Altare ove discende un Dio e Dio sa che si potrebbe succedere di sopra essendoci detta camera”.
Appena nominato, il decano si mise all’opera per esaudire le sollecitudini del vescovo e cominciò a fabbricare l’arco della chiesa ed a far riassestare la scala in modo da levare l’inconveniente della camera situata sopra l’altare, che era stata costruita dal precedente procuratore per suo comodo e per “altri che assister devono nel giorno della festa e di ogni altra persona decorata che si porta per sua divozione in detta chiesa”. Quindi tolse la cappella della santa, che si trovava dentro l’arco ed era al di sotto della camera, e la spostò fuori dell’arco. Risistemò l’altare, lo fornì di un gradino di tavole e fece fare dei sedili a lato per i sacerdoti. Quindi incaricò il pittore catanzarese Domenico Leti di dipingere un avanti altare ed il soffitto. Quest’ultimo era composto da 80 tavole “comprate per servizio e comodo dello pittore, che pittò per pura divozione del signor Barone di Majida di Cutro”.
La chiesa fu fornita di un apparato di candelieri, fiori ed altro, comprato dal vescovo a Napoli, di un altro apparato di fiori acquistato dai romiti a Cirò, di un’acquasantiera di marmo, fatta venire dal vescovo da Napoli, e pagata con i soldi della chiesa, e di un’altra fatta venire da Strongoli. Fu arredata con confessionali, sedili, sedie e “stipi”. Fu inoltre costruito il sepolcro con la sua lapide e rifatto il gradino dell’altare in cantoni. Anche la camera, che era stata oggetto dello scandalo, fu resa più accogliente ed arredata con sei sedie grandi, fatte venire da Policastro.
La procura del decano Poerio terminava il 30 aprile 1756, con una chiesa rinnovata e completa in ogni sua parte. Seguiva la procura del primicerio Carcea, durante la quale veniva costruita per ordine del vescovo una casella, composta da una camera con le sue scale ed il suo basso, che andò ad aggiungersi alla chiesa, alla chiesola, alla camera ed alle celle. Durante la procura del canonico Valentino Murgante (1758-1770) erano completati il nuovo campanile, o torre, e la sacrestia. Nel 1758/1759, mentre mastri e manipoli sono applicati al completamento della torre, si compera una campana a Napoli. Essa viene trasportata via mare Crotone e da qui condotta a Sant’Anna. A maggio 1760, “a Dio piacendo”, si dà inizio alla sacrestia sotto la guida del mastro fabricatore Domenico Cortese. I lavori proseguiranno per tutto l’anno. Finita la costruzione dei nuovi edifici, segue la manutenzione, l’arredo, i restauri e gli abbellimenti. Secondo il vescovo Giuseppe Lancellotti che sovente la visitava, accompagnato dai suoi servitori, dai chierici e dal decano Poerio, essa si sosteneva per le numerose elargizioni di benefattori e devoti alla santa e con l’aiuto di coloro che vi convenivano. La chiesa era provvista di sufficienti suppellettili e di adatti ornamenti. Durante la visita, effettuata all’inizio del 1762, il vescovo non mancò di lodare, sia la generosità degli offerenti che la solerzia del procuratore. Ad entrambi egli raccomandò di continuare ad alimentare la cura e la venerazione.[vii]
Proprio in quell’anno si dipinse il soffitto della sacrestia e si riparò la torre. L’anno dopo si fornì la torre di un camino per fare il fuoco. Seguono interventi di ordinaria manutenzione alle porte della casella, alle finestre della torre, ai tetti delle chiese e delle celle. La crisi economica ormai faceva sentire tutto il suo effetto devastante. I lavori rallentarono ed il procuratore dovette “pratticare il maggior risparmio che sia possibile nelle spese occorrenti”.
Durante la procura del canonico Antonio Inglese (1770-1772) si sistemano il tetto della chiesa e la sacrestia, mentre i due mastri, Gio. Imperiale e Onofrio Venturi, coadiuvati da otto manipoli, lavorano per sei giorni a sistemare la torre. Il 3 maggio 1772 il vescovo Angelo Monticelli (1766-1798) nominava procuratore il cantore D. Valentino Murgante, incaricandolo di stringere i debitori e di erogare il denaro per il riparo della chiesa, essendo già stati commissionate le travi necessarie a Antonio Jerimonti.
Durante la procura del Murgante (1772-1784) i fratelli mastri, Domenico, Luca e Vincenzo Cortese, operano per cinque giornate a “mettere travi alla torre, fare l’incannata, fabbricare finestre, voltare la chiesa e fabricare la cavallera di detta torre e chiesa, bianchire la chiesa, torre e sagristia e riattare le mattonate, quagliare le porte”. Nel 1773 si commissiona un quadro con l’effigie di Sant’Anna al pittore Vitaliano Alfì, mentre i mastri Domenico Cortese e Annenio Anselmo, sostituiscono nella torre la scala di legname con una di cantoni. Nonostante che gli interventi siano per la maggior parte diretti verso la nuova costruzione, non si tralascia l’antica chiesola, o “chiesa piccola”, detta anche “di sotto”.
Il primo maggio 1774 nel confermare il Murgante, il vescovo Monticelli gli ordina “di mettere in maggior polizia la chiesa di sotto, e munirla d’una buona porta”. Ordine subito eseguito, come dimostra l’acquisto di una porta di castagno, tavole, pedarelli, dobroni, anelletti, maniglie, passaletti, chiodi e mascatura. Dopo il terremoto del 1783 e poco prima della soppressione, nel marzo 1784 i mastri Domenico Gallo ed Antonino Ventura, aiutati dai manipoli Francesco Carbone e Gaetano Messina, sono ancora al lavoro per “voltare la chiesa, mettere due travi alla chiesa piccola” e riparare l’abitazione dei romiti.
La festa
Durante l’anno il procuratore faceva celebrare nella chiesa di Sant’Anna numerose messe nei giorni domenicali, ed in quelli festivi per i benefattori, per i romiti e per i coloni, che abitavano e lavoravano nelle campagne del territorio di Massanova. La maggior parte, tuttavia, veniva celebrata nei giorni che precedevano, in quelli della festa e nei successivi. Alla festa partecipavano molti devoti provenienti soprattutto dai paesi limitrofi, cioè Isola, Cutro e Crotone. Una carovana composta da più carri con relative cavalcature partiva da Isola e trasportava a Sant’Anna i sacerdoti, gli aiutanti e tutto ciò, che era necessario per i tre giorni della durata della festa.
Tra le cose essenziali vi erano la polvere da sparo, le cibarie e la neve. Arrivati sul luogo, si raccoglieva la legna ed un cuoco allestiva il focolare per preparare il cibo per i sacerdoti e gli assistenti. I due giorni di vigilia erano dedicati ai preparativi: si accomodava e si abbellivano la chiesa ed il luogo antistante, si costruiva la loggia dove ricevere i voti e custodire gli animali, ed iniziava la celebrazione di messe basse.
Il 26 luglio, giorno dedicato alla santa, nella chiesa si avvicendavano i sacerdoti per celebrare le numerose messe basse, le messe cantate e la messa solenne, in soddisfazione delle numerose offerte dei benefattori. Le messe, in soddisfazione delle elemosine ricevute dai devoti, proseguivano anche nei giorni seguenti. Esse venivano fatte celebrare dai capitolari e dai monaci del convento di San Nicolò di Isola. Gli aiutanti raccoglievano le elemosine, vendevano le misure di Sant’Anna e di San Bruno ed assistevano i sacerdoti. La festa procedeva all’aperto, allietata dagli spari dei maschi, e dalle danze al suono di “bifari” e “bifarelli” e dei tamburi dei “tamborinari” di Cutro e di Isola, che a gara percuotevano di continuo i loro strumenti.
Durante la festa si svolgeva la fiera con la partecipazione di numerosi mercadanti. Due soldati spagnoli erano a guardia della quiete pubblica. La festa perse importanza col passare del tempo. Dai 50 ducati che, tra il 1746 ed il 1753, dava in media ogni anno, scese negli anni tra il 1754 e 1771, a 44 ducati, e dal 1772 al 1783, a 38. Pur tuttavia essa rimase una delle entrate principali della chiesa, rappresentando il 26 % delle entrate tra il 1746 e il 1753, il 43 % tra il 1754 ed il 1771, ed il 37 % tra il 1772 ed il 1783. A dimostrazione che il culto della santa e la visitazione della sua chiesa si restrinsero sempre più al giorno della festa.
Devoti e benefattori
Molti, ritenendosi colpiti dalla malattia, o dalla sventura di non avere figli, a causa di un castigo divino, per una colpa ignota, o dimenticata, ricercavano l’aiuto della santa, rivolgendosi alla sua chiesa, specie nel giorno della sua festa. Essi speravano così di ottenere la grazia della liberazione dalla colpa ed il ripristino della sanità, offrendo come espiazione offerte e messe votive e penitenza. La maggioranza di coloro che si rivolgevano alla santa era costituita da devoti e devote di Isola, Cutro e Crotone, i quali offrivano, soprattutto, piccoli ornamenti femminili in oro e argento, animali e prodotti del mondo rurale. Non mancavano, comunque, le offerte in denaro: il marchese Giuseppe Lucifero di Crotone nel 1763, donò ben 40 ducati, Saverio di Majda di Cutro offrì 18 ducati, da “applicarsi nella mattonata” da farsi nella chiesa, un devoto di Umbriatico diede 15 ducati e grana 50, ecc.
Molto veniva alla chiesa dalla questua annuale del grano, dell’olio e degli agnelli. Il tutto doveva essere venduto e convertito in denaro dal procuratore, il quale lo doveva utilizzare per pagare le messe votive, riparare, arredare e mantenere la chiesa, e fare la festa. Anche se la maggior parte delle offerte proveniva da devoti dei paesi limitrofi, non mancavano benefattori di paesi lontani. Il duca di Santa Severina regalò cera bianca e denaro contante, il principe di Massanova diede in elemosina il dì della festa sei libre e once 7 di cera, il principe di Cerenzia del denaro, Gio. Natale di Crucoli una giovenca, Galzarano di Mesoraca e Gio. Domenico Pittella delle Castella del denaro, il chierico Arcangelo Bruno e la sorella di Crucoli un “annicchio”, Nicola Patrice di Crucoli una giovenca, un corriere con i romiti fu mandato a Umbriatico per prendere in consegna un giovenco dato in voto da una persona di quella città, una “giovencarella” fu offerta da uno di San Giovanni in Fiore, dei devoti di Umbriatico diedero denaro, massari di Rocca di Neto e di Strongoli del grano, Francesco Russo e mastro Saverio Calendino di Melissa due “giovencharelli”, ecc. Altri offrirono materiali da costruzione e giornate di lavoro. Antonio Tirimonti di S. Giovanni in Fiore, portò a Sant’Anna tre travi e tre tavole di castagno, Tomaso Nicastro abbonò due carrate di calce, altri fornitori ne diedero dodici, il signor Buchi regalò dieci tavole, un pittore catanzarese dipinse gratuitamente il soffitto della sacrestia, il mastro fabricatore Domenico Cortese per devozione, non volle pagate due giornate di lavoro, ecc.
Oggetti votivi
Tra le offerte spiccavano gli animali, i prodotti dei campi e gli oggetti in oro e argento. Per quanto riguarda la consistenza dei primi, nel ventennio 1746/1765, risulta dalle platee che i devoti offrirono 27 bovini (11 giovenchi, 4 giovenche, 3 vacche, 4 buoi, 1 annicchio, un vitello, 2 giovencarelle e un vitellaccio), 11 equini (4 somare, 3 somari, 3 puledre e un cavallo), almeno 14 suini (2 verri, 2 porcelle, un porcastro, 5 porcelli, 3 scrofe e una frisinga), oltre a numerosi agnelli. Dalla loro vendita per ogni bovino si ricavarono in media 10 ducati, da ogni equino 3 e da ogni suino 2. Gli acquirenti furono quasi sempre massari di Isola, spesso congiunti o parenti del procuratore; a volte, specie i suini, furono venduti alla fiera di Sant’Antonio.
Un altro prodotto, che contribuiva alla formazione delle entrate della chiesa, era il grano. La maggior parte era offerta dai massari al tempo del raccolto, quando i cercatori, o i romiti, facevano la questua delle aie in territorio di Isola e nei luoghi vicini, regalando in cambio tabacco in polvere ed in corda, figurine e “zagarelle seu misurelle” della santa. Se la maggior parte del grano veniva raccolto al momento del raccolto, attraverso la questua non mancava quello offerto durante l’anno da singoli devoti, assieme a fave, orzo, cicercola, lana, lino, olio, cera rossa e bianca, ecc. Parte del cereale era venduto a massari di Isola, Crotone e Cutro, mentre il di più rimaneva nel magazzino del procuratore e nei sacchi dei questuanti, i quali ne facevano un uso speculativo, dandolo di solito in prestito alla semina ai massari, con pagamento alla voce del maggio successivo, quando il prezzo del grano era particolarmente alterato.
Poiché tutta la gestione del grano era poco chiara e si prestava a frodi ed omissioni in danno della chiesa, il vescovo Monticelli intervenne più volte. Dapprima, il 21 maggio 1771, ordinava al procuratore, il canonico Antonio Inglese, di “invigilare con maggiore attenzione nella questua del grano” e poi intimava, il primo giugno 1773, al successivo procuratore, il cantore Valentino Murgante, di “abbadar meglio intorno alla questua del grano”. Parole che caddero nel vuoto, perché sia per la crisi economica, sia per il venir meno del culto, sia soprattutto per le frodi dei procuratori e dei cercatori, anno per anno la quantità del grano, che risultava offerta alla chiesa, diminuì tanto da ridursi in poco tempo alla metà.
Un posto particolare, per la loro importanza ed il loro significato, occupavano i numerosissimi oggetti votivi in oro, argento e corallo, offerti alla santa. Dal punto di vista quantitativo essi rappresentavano circa un quarto dell’entrate, mentre da quello qualitativo, indicano quanto fosse vivo il culto verso la santa da parte delle giovani spose, che donavano la cosa più preziosa e cara che possedevano: l’anello nuziale; spesso il loro unico ornamento.
La sola platea comprendente le entrate tra il 15 settembre 1745 ed il 31 marzo 1747, enumera la vendita, dopo essere stati apprezzati dall’orefice Vitaliano Bonfante, di ben 30 oggetti preziosi. Ma nello stesso tempo si ha notizia, che almeno altri 12 restano invenduti o dati in prestito. Quasi la metà di essi è costituita da anelli d’oro con pietre più o meno preziose, mentre il rimanente comprende altri ornamenti femminili (“ciarcelli”, “boccoletti”, “torchine”, “file di migliuzzi d’oro”, “ammidaglie”, “lazzetti d’ingranatini”, “morticelle”, “crocette”, “nizze”, “recchini”, “pendenti”, ecc.).
Sempre riferita al mondo femminile è l’altra categoria di oggetti votivi, quella formata da tovaglie, “muccatori di seta”, “faldali di seta”, “coperte di lana”, “tovaglioli”, “veli”, “drappi”, “salviette”, “tele”, “terzanelli”, ecc. Il procuratore Morgante teneva in casa una cassa dove erano custodite numerose “robbe di tela e seta”, appartenenti alla chiesa di Sant’Anna. La quale ne era così abbondantemente provvista, che il vescovo Lancellotti, nel 1760, gli ordinò di fornire una o più tovaglie per ciascuna chiesa di Isola e, precisamente: a quelle del Carmine, di Santa Domenica, di Santa Maria degli Angeli e di Santa Caterina, mentre altre quattro tovaglie “fini” se le tenne per sé. Fanno parte del lungo elenco degli oggetti votivi anche arnesi da lavoro e di uso quotidiano, come una falce, una scopetta, ecc.
Spesso l’offerta degli oggetti era solo formale in quanto, essendo particolarmente cari agli offerenti, erano dagli stessi ricomprati. Così Francesco de Vennera di Cotrone ricompra il giovenco che ha offerto, il chierico Arcangelo Bruno e la sorella offrono un “annicchio”, ma è “dall’istessi trattenuto per il prezzo di docati sei”, un paio di pendenti d’oro sono venduti alla stessa padrona, che li ha offerti, Antonio Cerrutto compra i suoi “ciarcelli” dati in voto, Onofrio Leti offre un diamantino e poi lo ricompra, ecc. Altre volte sono gli stessi devoti che si incaricano di vendere l’animale o l’oggetto, a chi vogliono loro e versano poi il denaro alla chiesa.
I romiti
Durante l’anno avevano cura della chiesa i romiti. Il loro numero variava a seconda della stagione e delle annate. Quasi sempre erano uno o due, ma a volte ne troviamo tre o quattro. Essi detenevano la chiave della chiesa, che custodivano, curavano ed all’occasione tenevano aperta. Servivano nelle messe e suonavano il Mattutino, il Mezzogiorno, l’Ave Maria ed il “Pater de’ Morti”. Raccoglievano le offerte dei devoti, che durante l’anno si recavano in visita, che poi inviavano, almeno in parte, al procuratore. Svolgevano anche numerosi servizi, quali la riscossione di denaro e grano dovuti alla chiesa, la cerca con “la bertola”, la gestione e la vendita delle pecore e di altri animali della chiesa, avevano cura delle arnie (“cupelli”), prestavano aiuto alla costruzione ed alla riparazione della chiesa e della sacrestia, ecc.
Facevano la questua nelle mandrie e nelle aie, e col consenso del procuratore vendevano gli agnelli, la lana ed il grano offerti. Abitavano nel “romitorio” e potevano servirsi di un cavallo e di una somara della chiesa. Il cavallo morì, o fu rubato; la somara se la prese un certo malandrino. Per il loro sostentamento potevano contare sia su parte dell’elemosine che, a volte, intascavano senza darne conto, che sulla coltivazione di una tomolata e mezza di terra. Questa, racchiusa da siepi e contigua alla chiesa, era coltivata dagli stessi romiti ad orto ed a giardino per loro comodo, ed era stata a loro concessa in fitto, previo assenso del feudatario, dall’agente generale del duca di Massanova.[viii] Il giardino negli anni della crisi (1760/1764), a causa della siccità andò in abbandono e si dovette perciò rifarlo, come dimostrano le spese per “serrare il giardino, uomini per tagliare spine, carri per conduttarli ed uomini per serrarlo” (1765), e quelle per “serrare altra volta l’orto, vanghieri, e giornate dieci di due uomini” (1766). I rapporti con l’agente della baronia di Massanova erano piuttosto conflittuali, tanto che nel 1755, questi li incarcerò nella torre dello Steccato, ed il procuratore dovette mantenerli finché non riuscì col denaro ad ottenerne la liberazione. Sono ricordati fra Giuseppe, fra Rocco, fra Domenico di Natale, fra Domenico Nicoscia, fra Antonio Mandile, fra Pasquale Marinelli, fra Santo, fra Teodoro, fra Paolo Barbiero e fra Antonio di Satriano.
La festa del 26 luglio 1770
Dopo che per circa dodici anni il canonico Valentino Murgante aveva esercitato la procura, il vescovo Angelo Monticelli, il 12 giugno 1770, eleggeva procuratore il canonico Antonio Inglesi, ingiungendogli di esigere il denaro spettante alla chiesa, di moderare alcune spese, e di vigilare sulle offerte in natura, “e rispetto ai voti, che si vendono, ne facci prima seguir l’apprezzo con l’intelligenza del provicario”. Il denaro ricavato nel giorno della festa, che durante la procura del Murgante si era aggirato intorno a 40 ducati, col nuovo procuratore si elevò oltre i cinquanta. Fu questo l’unico tentativo di ravvivare una festa, che anno dopo anno perdeva di importanza.
Nei giorni precedenti la festa furono fatti accurati preparativi per la sua riuscita. Furono acquistati e raccolti gli oggetti e gli alimenti che, a spese del procuratore, dovevano servire sia per la festa di Sant’Anna, sia per nutrire per tre giorni alcuni sacerdoti e gli assistenti, che avevano il compito di accomodare la chiesa, cercare l’elemosina ed altri servizi. Gli acquisti furono: polvere da sparo (rotola 12) per i maschi, che non trovandosi da acquistare in Santa Severina, si dovette inviare un corriere a Catanzaro, neve (una soma e rotola 2), carne vaccina (rotola 4), che fu comprata a Crotone, pane (un tomolo), una pezza di cascio, una provola, cozze (rotola 3), citrola e cipolle, aceto, olio, sale, miele (mezzo rotolo), cinque pitte con l’olio, coccozelle fritte, dieci galluzzi, pepe, pane della cozzarella, due barili di vino, fiche (rotola 3), sarde, frutti, pera, anguille e spinotta, cera (libre 5) e zagarelle per l’altare, un paio di cannatelli per la messa ed una cistella.
Sempre il nuovo procuratore pagò il romito fra Antonio da Satriano, che andò a comprare le figurine di Sant’Anna, ed affittò i carri e le cavalcature per portare le cose, gli assistenti ed i sacerdoti da Isola a Sant’Anna. Egli, inoltre, regalò denaro e alimenti ai due uomini, che diedero il loro aiuto durante la festa, uno era addetto ai maschi e l’altro alla neve, al cuoco, al famulo, ai tamburinari, e fece portare cose dolci ai seminaristi. Inoltre, regalò a Paolo Gentile, baglivo di Tacina e Massanova, cinque misure di Sant’Anna, pagò al procuratore capitolare di Isola le messe cantate e le 28 messe basse, ed introdusse la “elemosina della tassa sulla fiera”, che si svolgeva durante la festa. Da essa però ricavò solamente in quell’anno poco più di un ducato e l’anno successivo la metà.
Quarant’anni di vita economica
Dall’analisi dei conti di quaranta anni (1745-1784), così come sono stati annotati nelle platee dai vari procuratori che amministrarono la chiesa, si rileva che la festa in onore della santa fu particolarmente florida di offerte per voti e messe, negli anni compresi tra 1750 ed il 1756, cioè nel periodo in cui maggiore era necessario l’aiuto concreto dei devoti per completare la nuova chiesa. Nel giorno di festa di quegli anni, i benefattori offrirono per voti e messe numerosi oggetti in oro, argento e rame che, tramutati in denaro, furono in media quasi il doppio degli anni precedenti e successivi (in media 64 ducati circa contro i 38). Questo fu favorito dal richiamo della nuova costruzione, che ravvivò il culto della santa, e da annate discrete.
Durante il periodo considerato le entrate della chiesa diminuirono costantemente, segno da una parte, dell’avanzare del laicismo e, dall’altra, del decadimento economico delle campagne. Nelle cattive annate, comprese tra il 1761 ed il 1770, in media erano un terzo di quelle tra il 1745 ed il 1753. Dopo la crisi ci fu un leggero aumento. Da una media annuale di offerte per il valore di circa 200 ducati (1745-1753), si scese a 70 (1761-1770), per risalire a 110 ducati (1772-1784). Per quanto riguarda le spese, esse erano condizionate dalle entrate e perciò diminuirono progressivamente, riducendosi in media nelle annate tra il 1772 e il 1784, ad un terzo di quelle del 1745-1754.
Negli anni della grande crisi agricola, compresi tra il 1758 ed il 1769, il procuratore chiuse i conti sempre in passivo, tranne che nel 1765. L’attivo di quell’anno, più che ad un aumento dell’entrate, è da attribuirsi alla drastica riduzione delle spese, che dai circa 102 ducati del 1763, passarono ai 90 del 1764 e si ridussero a 59 nel 1765. Comunque, il procuratore Murgante, sollecitato a recuperare il denaro degli animali dati a credito, non riuscì a ripianare i debiti accumulati negli anni precedenti, ed a riportare i conti in attivo, infatti all’introito degli ultimi tre anni di circa 268 ducati, si contrappose un esito di 272.
Le pecore di Sant’Anna
Uno dei proventi della chiesa era rappresentato dal frutto delle pecore e degli agnelli. Quest’ultimi provenivano ogni anno dalla questua delle mandrie. Il loro numero risulta quanto mai vario e difficilmente quantificabile, in quanto spesso fu oggetto di frodi da parte dei cercatori e dei procuratori. Perciò l’utile e la spesa della loro gestione risulta di difficile riscontro. Nel 1746, secondo il procuratore, sono solo 10 e gestite dal romito, l’anno dopo diventano 56 e solo il romito sa dove sono. Nel 1749 sono aumentate a 62, 34 pecore e 28 “anniglie” (agnelli), e sono affidate a Pietro Abruzzino d’Aprigliano.
Pur contribuendo per un sesto dell’introito annuale, il loro utile, tolte le spese, è minimo, anzi spesso sono di danno. Nel 1752 sono perciò vendute all’Abbruzzino per ducati 25 e grana 19. Passeranno alcuni anni prima di ritrovarle nelle platee. Nel maggio 1756 i due romiti fra Domenico di Natale e fra Santo Viscome, col consenso del procuratore, vendono 30 anniglie a Le Castella, ma poiché, secondo i romiti, gli acquirenti sono persone povere e miserevoli, la vendita avviene sotto prezzo. Seguono negli anni seguenti alcune vendite di agnelli che provengono alla chiesa dalla questua. Bisognerà arrivare al febbraio 1760 per avere ancora notizie sulle pecore. Allora la chiesa possedeva un gregge di 26 pecore di cui 10 di due anni e 16 di un anno. L’anno dopo, come risulta dalla platea, vengono venduti cinque agnelli primitivi, otto agnelli posterari, 6 pise di lana rustica e due rotola di lana gentile, ma si deve pagare l’erbaggio e la quarta ai pecorai, così per la chiesa non rimane niente.
Lo stesso vale per gli anni seguenti. Nel 1763 le pecore, secondo il procuratore, rendono 18 ducati e 73 grana, ma le spese per l’erbaggio della Sila e della marina e la quinta, che spetta ai pecorai sulla lana, e gli agnelli venduti, ascende a 18 ducati e grana 94, mentre l’anno dopo è ancora peggio: ai 17 ducati e 58 grana in entrata, corrisponde il pagamento di ducati 20 e grana 40 ad Aloisio Vigna per erbaggio, fida, scarpe ed altro nella marina e nella Sila. Essendo più di danno che di utile per la chiesa, si decise di dare le 125 pecore, tante erano, tra stirpe e figliate, nel marzo 1766, in gabella ad Aloisio Vigna, previo il pagamento di ducati 5 e grana 50. In seguito poiché le pecore avevano creato gravi danni, intervenne direttamente il vescovo di Isola Angelo Monticelli, il quale, il 12 giugno 1770, nel nominare il nuovo procuratore della chiesa, il canonico D. Antonio Inglese, gli ordinava di procedere subito alla vendita delle 110 pecore, che stavano in potere di Aloisio Vigna di Aprigliano, in quanto date in gabella alla ragione di ducati 6 a centinaio, e di esigere da quest’ultimo i ducati 6 e grana 60 maturati nella fiera di S. Janni per detto affitto. Il Vigna, tuttavia, manterrà l’affitto delle pecore per i successivi dieci anni e risulterà pagare sempre lo stesso prezzo, anche se nel decorso del tempo le pecore si erano quasi raddoppiate.
Il 9 maggio 1781 il vescovo Monticelli, nel riconfermare per procuratore il cantore Valentino Morgante, gli ordinava di comprare per conto della chiesa di Sant’Anna altre 10 pecore, in modo che le pecore, che erano 190, raggiungessero il numero di 200, e fissava l’affitto in ducati 11 e grana 40. Due anni dopo con l’acquisto di altre 40 pecore, esse divenivano 240: 220 pecore grosse e 20 anniglie. Il 28 maggio 1783 in Isola, era stipulato un contratto tra Aloisio Vigna del Casale di Aprigliano, ed il procuratore della chiesa di Sant’Anna Valentino Morgante. Il Vigna prendeva in fitto per tre anni a partire dal primo giugno 1783, e finendo all’ultimo giorno di maggio 1786, le 220 pecore grosse e le 20 anniglie (che conteggiate fanno 10 pecore grosse), impegnandosi a restituirle tali e quali alla scadenza del contratto al procuratore, così come le aveva ricevute. Per tale affitto egli si impegnò a pagare ogni primo giugno, a partire dal 1784, ducati 13 e carlini 8, alla ragione di ducati 6 per ogni centinaio di pecore.
A causa del terremoto del 1783, l’anno dopo la chiesa rurale di Sant’Anna, assieme a molti luoghi pii di Isola, fu soppressa ed i suoi beni amministrati dalla Cassa Sacra. Dallo “Stato attuale delle Rendite e de Pesi della soppressa Chiesa rurale di S. Anna della Città di Isola estratto dal Dissimpegno dell’Uffiziale Commissionato in tempo della Generale Soppressione e da Libri e Platee sistenti in Archivio”, si ricava che, all’atto della soppressione, essa possedeva solamente 220 pecore e 20 anniglie (agnelli), valutate per un capitale di ducati 230 e grana 52, per annua rendita di ducati 13 e grana 80. Esse si trovavano per tal prezzo affittate, con pagamento ogni mese di giugno, ad Aloisio Vigna di Aprigliano. La chiesa in compenso non aveva alcun peso, e perciò tutta la rendita poteva andare a beneficio del Sacro Patrimonio.[ix] In seguito, gli animali furono affittati per lo stesso prezzo a Giuseppe Angotti e, quindi, unitamente alle 100 pecore che possedeva la chiesa cattedrale, furono vendute a Giuseppe Cosentino, che nel 1792 saldò con 330 ducati all’amministratore della Cassa Sacra.[x]
Il ripristino
Durante il Decennio francese, dopo la legge sull’eversione della feudalità, il territorio di Massanova che costituiva l’omonimo feudo, andò a far parte del territorio del comune di Cutro, divenendo una delle sei sezioni, in cui fu ripartito nel 1807 quel territorio. La chiesa rurale di Sant’Anna venne così a trovarsi sul confine col territorio di Piani di Bosco del comune di Isola. Essa, tuttavia, continuò a far parte della diocesi di Isola.
L’edificio sacro con la Restaurazione fu ben presto ripristinato, anche se, a causa della vendita effettuata al tempo della Cassa Sacra, risulterà privo di ogni proprietà. Facendo parte delle chiese di Isola, con la soppressione di quel vescovado, avvenuta nel 1818, andò soggetta alla visita del vescovo di Crotone. Nel 1838 la chiesa rurale di Sant’Anna, distante cinque miglia dall’abitato, è una delle nove chiese presenti nel comune di Isola.[xi] È di alcuni anni dopo la succinta annotazione del vicario foraneo della collegiale di Isola, che visitò le chiese rurali di Isola, su delega del vescovo di Crotone Leonardo Todisco Grande (1833-1849): “Visitavit ecclesiam sub tituto S.ae Annae et laudavit”.[xii] Segno evidente della nuova situazione creatasi nella località, con la vendita delle vicine terre da parte dei De Nobili e dei Doria ai Barracco, i quali di fatto divennero i proprietari anche della cappella.
Gli Albanesi a Sant’Anna
Il vescovo di Crotone Luigi Maria Lembo (1860-1883) così la descrive: “Chiesa di S. Anna della famiglia Barracco, posta nel fondo dello stesso nome, dal popolo chiamata S. Anna del Bosco, dove i fedeli si raccolgono ogni anno il 26 luglio.”[xiii] Lo stesso vescovo, il 26 luglio 1882, trovò che vagavano per la città numerosi uomini e donne albanesi di rito greco, provenienti dai luoghi circostanti. Egli interrogò uno di questi il quale rispose: “Illustrissimo Signore, dai nostri anziani è stato conosciuto che l’immagine di Santa Anna, che oggi si osserva nella chiesa rurale di Isola sotto la vostra giurisdizione, fu venerata nell’antica sacra edicola posta nel fondo Gradia in territorio di Pallagorio, di proprietà del barone Giuranda della città di Umbriatico. In quel luogo erano soliti convenire da molti anni per assolvere i voti e per santificare il giorno 26 luglio, dedicato alla madre della madre di Dio, tutti gli albanesi abitanti a San Nicola di Alto, Carfizzi, Pallagorio, Santa Sofia, Marcedusa, Andali, ecc. In seguito, violata ogni cosa, la sacra immagine della antica edicola di Pallagorio fu sottratta da mano sacrilega e riferiscono che fu ritrovata nel luogo nel quale ora si vede la chiesa rurale del bosco. Conosciute queste cose, la devozione degli Albanesi non diminuì e diressero il loro cammino alla vigilia della festività, in modo da santificare e con rito albanese e con canti elevare inni alla loro santa patrona. Anzi tutti quelli che non possono andarvi, salgono sulle colline dalle quali si può vedere la chiesa isolana di Sant’Anna e qui contenti trascorrono il giorno da festeggiare tra suoni e canti, in cori, in invocazioni e lodi recitati graziosamente in dialetto.”[xiv]
Dalla visita del vescovo di Crotone Giuseppe Cavaliere (1883-1899) del 1885, sappiamo che sul finire dell’Ottocento, continuava ancora la venerazione degli abitanti dei paesi albanesi. Molti di loro, infatti, nel giorno dedicato alla santa, ogni anno continuavano a riunirsi presso la chiesa di S. Anna per festeggiare.[xv] Frattanto il barone Barracco costruiva una sua chiesa presso il suo vicino palazzo e cercava di sopprimere l’antica chiesa, trasportando nella sua cappella la ricercata icone, fonte di tanta devozione.
Il vicario foraneo di Isola, Francesco Vona, solerte verso il Barracco, con lettera del 7 novembre 1899 cercava di convincere il vicario di Crotone a cedere alle offerte del barone: “Posso accertarla che la chiesa di S. Anna è cadente, la tettoia gronda acqua da ogni parte e può crollare. La porta è cadente, la chiesa è indecente. Sarebbe necessario, giusta la dimanda del Barone Roberto Barracco, trasportare la immagine preziosa di S. Anna e collocarla alla pubblica venerazione nella chiesa novella eretta in quelle vicinanze dallo stesso Barracco e dichiarare interdetta la chiesa cadente”.[xvi]
La chiesa attuale
Nelle vicinanze dell’antica e piccola chiesa, divenuta ormai un “diruto avanzo”, con l’avvio della riforma agraria che espropriò il fondo S. Anna e altre terre vicine, sorse all’inizio degli anni Cinquanta, da parte dell’Opera Valorizzazione Sila, il nuovo borgo di Sant’Anna. Situato in territorio del comune di Isola, tra Isola Capo Rizzuto, Cutro e Crotone, il borgo doveva essere centro di socializzazione e di servizi per le circa 150 famiglie insediate, in maniera più o meno sparsa, nei nuovi poderi.
Tra gli edifici che attorniavano la piazzetta che, secondo il progetto, doveva rappresentare il centro del nuovo abitato, oltre alle botteghe con le abitazioni per gli artigiani, all’osteria, alla stazione dei carabinieri, all’ambulatorio, agli uffici per l’assistenza tecnica ed attività di cooperazione, all’ufficio PP. TT. ed ad un locale per la Delegazione Comunale, vi era anche la nuova chiesa.
Di pianta rettangolare ed ad unica navata l’edificio sacro copriva una superficie di 180 metri quadrati e si elevava per circa otto metri, ed aveva a fianco la casa canonica. Secondo il progetto “Al piano-terra, oltre alla sagrestia con ingresso proprio, erano distribuiti i locali per ufficio, catechismo e servizi relativi; al primo piano l’abitazione del parroco comprendeva un soggiorno-pranzo, cucinino, due camere da letto e servizio igienico.”[xvii]
Ben pochi edifici conserveranno la destinazione d’uso prevista dai progettisti del borgo, tra questi la chiesa parrocchiale di S. Anna. Essa attualmente sorge in contrada Sant’Anna, in territorio di Isola Capo Rizzuto, mentre una vicina ed abbastanza recente edicola votiva, situata sul confine tra i comuni di Isola Capo Rizzuto e Cutro, ricorda l’antica chiesa in località Sant’Anna. Essa è fornita di un altare marmoreo e di una immagine che rappresenta la santa mentre insegna alla sua bambina a leggere la Bibbia. Il quadro è recente e non ha niente a che vedere col prezioso dipinto, meta a suo tempo della devozione degli Albanesi. Quest’ultimo, ancora una volta, fu rubato agli inizi degli anni Settanta.
Note
[i] AVC, Processo grosso di fogli cinquecento settanta due della lite che Mons. Ill.mo Caracciolo fa fatto con il S.r Duca di Nocera per il detto Vescovato nell’anno 1564, f. 419v.
[ii] Minieri Riccio C., Notizie storiche da 62 registri angioini, Napoli 1877, p. 215.
[iii] AVC, Inventario et Nota delle scritture pertinentino al Sacro Vescovato della Città dell’Isola et al suo Capitolo, quali si conservano dentro un Baulio per ordine di Mons. Ill.mo Caracciolo vescovo di detta Città.
[iv] ASCZ, Busta 1126, anno 1759, f. 69v.
[v] Pesavento A., Origini e vicende della baronia di Massanova, in Il Paese n. 6, 1988.
[vi] ASCZ, Libro de’ conti della Procura della Ven. le chiesa di S.ta Anna (1745 – 1784).
[vii] AVC, Acta Sactae Visitationis … Josephum Lancellotti, 1762.
[viii] Il 12 luglio 1754 in Napoli, il duca di Massanova, accogliendo la supplica del decano, concedeva ai romiti della chiesa di S. Anna di Massanova l’uso del giardino fino a tutto dicembre 1759. ASCZ, Busta 1180, anno 1754, f. 17.
[ix] AVC, Stato Attuale delle Rendite e de Pesi della Chiesa rurale di S. Anna della Città dell’Isola, n. 21, C. S. n. 3.
[x] Maone P. – Ventura P, Isola Capo Rizzuto, Rubbettino Editore 1981, p. 221.
[xi] AVC, Cartella 71.
[xii] AVC, Visita alle chiese di Isola del vescovo Leonardo Todisco Grande, 1846.
[xiii] AVC, Visita del vescovo Luigi Maria Lembo del 26 maggio 1876.
[xiv] AVC, Visita del vescovo Luigi Maria Lembo, 1882.
[xv] AVC, Visita del vescovo Giuseppe Cavaliere, 1885.
[xvi] AVC, Lettera del vicario foraneo di Isola al vicario di Cotrone, Isola 7 novembre 1899.
[xvii] Rogliano G., La casa rurale nel comprensorio dell’O.V.S., Cosenza s.d., pp. 56-59.
Creato il 27 Febbraio 2015. Ultima modifica: 12 Giugno 2023.
È possibile ricevere o vedere una immagine della Santa Anna vestita con il costume albanese (a suo tempo trafugata e poi ritrovata)? Nel 1972 avevo a mia volta svolto delle ricerche su questa Santa, culto degli abitanti albanesi della zona del crotonese.
Grazie e saluti
Enrico Ferraro
Mi spiace ma non possediamo tale immagine, altrimenti l’avremmo subito pubblicata.